FEBBRAIO 2024
Il passo della gatta ⭐⭐⭐★
su fogli sparsi ⭐⭐⭐⭐
traduzioni violate ⭐⭐⭐⭐
I quaderni botanici di Madame Lucie - Melissa Da Costa –
recensione a cura di Francesca Simoncelli
Sono talmente stravolta da questo romanzo, da avere
difficoltà a mettere in parole il turbamento che ho dentro il cuore ed il
groviglio che ho nella testa.
Il pensiero di Amande, che lotta con il destino che è stato
tanto ingiusto, della piccola Manon, che non avrà la possibilità di crescere e
conoscere il mondo, di Benjamin, strappato alla vita e all’amore dei suoi cari,
di Anne e Richard, perché un genitore che perde un figlio ha un dolore incommensurabile:
tutti questi pensieri mi hanno accompagnato in ogni momento, da quando ho
iniziato a leggere questo libro.
Porto nella mia mente questo racconto ogni attimo della
giornata, mi domando come reagirei io al posto di Amande o di Anne e Richard.
Sarà vero che la forza di reagire è dentro ognuno di noi e,
quando non si ha alternativa, la tiriamo fuori e combattiamo per sopravvivere?
Oppure solo alcuni di noi nascono con questa misteriosa
forza e agli altri non rimane che soccombere al destino, se messi duramente
alla prova?
Il turbamento per la crudele sorte di Benjamin e Manon mi ha
colpito fin dalle prime pagine; ho accompagnato Amande nei mesi che si sono
susseguiti alla tragedia: la nuova casa; l’isolamento; le prime confidenze con
i quaderni botanici di madame Lucie e con il suo giardino; sperimentare come
farsi adottare da un gattino malandato e iniziare a prendersi cura dell’orto
possa piano piano aprirci nuovamente alla vita; comprendere che il contatto con
la natura porta alla scoperta di una spiritualità che è sopra ogni religione;
capire che le persone che amiamo possono continuare a vivere nella natura, in
un albero, in un fiore.
Ho preso parte alla rinascita di una donna distrutta da un
dolore indicibile, che ha trovato la forza dentro di lei, nell'universo, nelle
persone che il destino le ha messo accanto: vecchie conoscenze e nuove
amicizie, perché quello che la vita toglie, la vita restituisce.
Spesso si sente dire “ti amo da morire”, Amande mi ha
insegnato ad “amare da vivere”, perché la luce di chi ci ha lasciato, il nostro
amore perduto, illumina il nostro cammino ogni istante ed il dolore straziante
forse un giorno diventerà più mite e riusciremo a far affiorare un piccolo
sorriso sulle nostre labbra, dolce e amaro, perché chi abbiamo amato vive
sempre in noi.
Ho iniziato le prime righe di questo romanzo con le lacrime
agli occhi e l'ho terminato in un pianto inconsolabile: dolore, amore,
tristezza, voglia di rinascita, ricerca di serenità… troppe emozioni per il mio
fragile cuore!
Coinvolgente, dolce e straziante, è uno dei romanzi più
belli che io abbia mai letto.
“Non presterò attenzione al mio cuore a pezzi, non saremo
tristi del tutto, perché non saremo soli, con noi ci sarà il nostro amore per
te, un amore da morire, ma soprattutto un amore da vivere, ancora e per sempre,
per fare onore alla luce che ci hai lasciato dietro di te”
Il labirinto di ghiaccio – Valerio Varesi
Recensione a cura di Dario Brunetti
Il labirinto di ghiaccio è un
romanzo di Valerio Varesi uscito nel 2003 e ripubblicato nel 2023 da Mondadori
editore. Un testo dai contorni noir che racconta la storia di un uomo in fuga.
Famiglia, casa e lavoro
appartengono a un mondo nel quale il protagonista non si riconosce più, si
porta uno zaino con qualche indumento e pochi viveri per fuggire per sempre,
senza dare alcun punto di riferimento e facendo perdere le tracce di sé.
In realtà è un uomo che non ne
avrebbe bisogno perché conduce una vita, dal punto di vista economico, alquanto
soddisfacente, ma il suo obbiettivo è di voler passare da una società virtuale
a uno stato di primitività.
Una scelta che pone il
protagonista nelle condizioni di ritrovare sé stesso, la sua autenticità,
interrogandosi e rimettendosi in gioco. Lo fa trovando dimora sulle montagne
che riscoprirà, ma non solo il freddo e il ghiaccio saranno suoi compagni;
deciderà di costruire un labirinto di ghiaccio formato da cunicoli per
difendersi dall’umanità.
Un romanzo che narra anche storie
del passato che sono ben permeate nel vissuto dell’uomo, storie di crimini che
non intendo svelare e che vorrei lasciare al lettore affinché possa assaporare
il retrogusto di un noir che solo una penna pregevole e raffinata come Varesi
sa offrire.
Interessante lo sviluppo di
questo romanzo e del suo personaggio che lancia una sfida a sé stesso,
costruendo un fortino in grado di proteggerlo e di tenerlo al riparo attraverso
la fatica e il lavoro.
Il dialogo interiore sarà
efficace per ritrovare la sua dimensione e il suo habitat naturale che forse
cercava da tanto tempo, per poter finalmente fuggire da quello stato di
malessere e disagio che la realtà di oggi poi provocava e il silenzio diventerà
il suo miglior alleato.
Troveremo un’ambientazione
mozzafiato e particolarmente suggestiva nonostante non venga menzionata
dall’autore, ma potrebbe essere di facile intuizione dal momento in cui l’uomo
troverà dei cadaveri appartenenti alla Prima Guerra Mondiale. Le Alpi orientali
potrebbero essere vagamente la cornice giusta per collocare la storia, ma
lasciamo anche al lettore la possibilità, grazie alla sua fantasia e
immaginazione, di focalizzarne il luogo.
Ma ci saranno persone che si
metteranno sulle tracce dell’uomo improvvisamente scomparso? Cosa restituirà il
nuovo mondo allo stesso protagonista e cosa si vorrà riprendere la società che
lui ha appena lasciato?
Un romanzo che si concentra sulla
riscoperta dell’ambiente e di quei posti sperduti, poco esplorati dove le
montagne diventano luogo di solitudine e soprattutto di ricerca, anche
religiosa, perché l’uomo riscoprirà il significato della preghiera e della
fede.
Varesi offre la possibilità al
personaggio di prendersi la sua rivincita, il vero riscatto avverrà attraverso
il sacrificio e la resistenza di un ambiente per certi versi ostile, inoltre
dovrà fare i conti con il gelo dell’inverno che lo porterà a ritrovare la sua
integrità e purezza, elementi che aveva smarrito nella vita precedente.
Il semiologo e scrittore Umberto
Eco nel suo Pape Satàn Aleppe come del resto Zyngmunt Bauman in Modernità
liquida avevano già messo in evidenza a quale società saremmo andati
incontro; la definivano “società liquida” perché aveva smarrito quei valori del
passato, una società senza ideali e ancor più priva di strumenti di
riferimento.
La domanda sorge spontanea:
Quanto ciascun di noi ha bisogno di trovare il suo rifugio per cercare di
interiorizzare il proprio io interrogando la coscienza per chiedersi per
davvero cosa si può volere dalla società di oggi? Se la stessa non ci piace possiamo
intraprendere un nuovo viaggio andando alla ricerca di una realtà migliore.
Il labirinto di ghiaccio non è
solo un romanzo con evidenti sfumature di noir, ma è un viaggio esistenziale
che offre la possibilità di fuggire dal vivere quotidiano per concedersi una
realtà a nostra immagine e somiglianza confacente con i propri bisogni. Le
montagne, se le si sanno contemplare e ascoltare, le scopriremo in una
dimensione sconosciuta, perché è proprio dal respiro delle pietre che si è
interrotto un dialogo antico e forse vale la pena ricominciare da quel mondo,
dimenticato forse troppo in fretta un po' da tutti.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2023
Grandi Speranze - Charles Dickens -
"Great Expectations" è uno dei tanti grandi romanzi di Charles
Dickens, autore fra i più insigni creatori di mondi. Scritto nel 1861, anni
dopo il successo di Pickwick, David Copperfield e Oliver Twist, "Grandi speranze"
riconferma la capacità magica di Dickens nel ricreare un mondo realistico
trasfigurato dalla sua penna talentuosa: ogni campo, ogni strada, ogni volto
viene inserito in un universo singolare che pare appartenere alla realtà
sebbene il lettore debba ammettere di non avere mai incontrato alcunché di
simile.
È la storia di un ingenuo orfanello di nome Pip, tiranneggiato dalla sorella
maggiore costretta a prendersene cura.
L'atmosfera è gotica, calliginosa, urta e sporca: in una palude buia e vischiosa
si deciderà la sorte del ragazzo, da un incontro singolare e fortuito dipenderà
lo svolgimento della sua crescita.
E in un gioco di malintesi, volti mascherati senza ipocrisia, si schiudono le
porte delle grandi speranze e dell'amore che porteranno Pip a entrare in un
circolo vizioso di contraddizioni, paure e sofferenze.
Il romanzo scritto con l'abilità di raccontare il reale si dipana in un regno
fantastico dove volteggiano con Pip, figura principale, personaggi
apparentemente secondari che segnano con le loro peculiarità tutta la storia.
Basti pensare a Mrs Havisham e la sua dimora bloccata in un tempo senza tempo
avvinghiata in un passato nascosto nelle ramificazioni dell'edera.
Estella con la sua regalità e freddezza, giovane bellissima e dal cuore di
ghiaccio, l'innocente Joe, la saggia maestrina Biddy, il millentatore
Pumblechook, e tanti altri personaggi mai lasciati al caso ma resi immortali
nella loro singolare caratterizzazione fisica o psicologica.
E con questi ritratti animati, a volte spettrali e surreali, il romanzo procede
a piccoli tocchi, pezzi di un inimmaginabile puzzle, raccontando la crescita e
la maturazione di Pip in un susseguirsi di composizioni apparentemente
sconnesse sino a raggiungere una loro giusta collocazione nel continuo altalenarsi
di ingenui quanto folli equivochi, di laceranti sensi di colpa e innocenti
spavalderie, di spartano coraggio e tremula paura.
Cosi facendo Dickens ha l'abilità, tutta inglese, a mio avviso, di non cadere
nel banale sentimentalismo piagnucolare cui tendenzialmente il romanzo sembra
dirottarsi, salvandolo in extremis dalla leziosità in virtù di quell'
umorismo - aplomb britannico - sottile e intrinseco in tutti i personaggi,
principali, secondari o anche solo di passaggio, creando, nell'atmosfera di una
città, la sua adorata e conosciutissima Londra, dipanata nella nebbia,
nell'attrattivo grigiore che la contraddistingue, nel suo famoso fumo inodore,
situazioni paradossali e intrecci, a prima lettura, inverosimili.
A dire il vero alcune volte mi sono impantanata nel cercare di comprendere
alcuni dialoghi o alcuni passaggi contorti tanto da essere stata
costretta a rileggere più volte retrocedendo nella storia al fine di
individuare il famoso umorismo dickensiano celato spesso nell'ossessione, nella
pazzia, nella bruma tristezza e sconsolazione o, viceversa, nello scavare in
quell'umorismo per cercare l'occulta pietas umana.
Sebbene ciò, difficoltà che ritengo tutta italiana, la penna di Dickens è una
di quelle penne che solcano indelebilmente la terra che incidono, riscattandola
dalle ingiustizie con l' humor geniale di chi le ingiustizie le ha vissute.
"Da quel giorno, ormai abbastanza lontano, ho spesso pensato a come
pochissimi si rendano conto dello stato di disperata solitudine in cui viene a
trovarsi un ragazzo preso dal terrore "
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 1861
L'Archivio del Diavolo - Pupi Avati -
recensione a cura di Alice Bassoli
Nel fitto intreccio di mistero e oscurità che avvolge
"L'Archivio del Diavolo", Pupi Avati ci immerge in un viaggio che
attraversa le nebbie oscure del Nordest italiano degli anni Cinquanta. Questo
romanzo gotico, che fonde sapientemente thriller e horror, ci trascina in un
vortice di tensione e suspense che si snoda tra i misteri della piccola
comunità di Lio Piccolo.
🔍 La storia si apre con
don Stefano Nascetti, trasferitosi in questa tranquilla parrocchia per sfuggire
alle ombre del passato, solo per trovarsi coinvolto in un intricato intrigo di
morte e segreti sepolti. Con una prosa che cattura l'essenza della campagna
veneta e i suoi abitanti, Avati ci conduce attraverso un viaggio inquietante
alla scoperta della verità nascosta dietro gli eventi apparentemente
inspiegabili che affliggono la comunità.
💡 I personaggi sono
dipinti con una precisione spietata, mostrando il loro lato più oscuro e
vulnerabile. La giovane maestra Silvana incarna un fascino ambiguo, mentre il
funzionario scomparso Furio Momentè e il questore vendicativo Carlo Saintjust
aggiungono strati di complessità al già ricco panorama di personaggi.
🌑 Ma è l'atmosfera di
terrore e sospetto che permea ogni pagina che rende questo romanzo così
coinvolgente. Avati ci trascina in un mondo di mistero e superstizione, dove il
Male si manifesta in forme inspiegabili e ancestrali. Le atmosfere cupe e
inquietanti si fondono con un realismo crudele nel descrivere i vizi e la
corruzione umana, creando un noir che affascina e spaventa in egual misura.
🔎 "L'Archivio del Diavolo" è un libro semplicemente sublime. Pupi Avati dimostra di essere un maestro nel dipingere con parole le tenebre dell'animo umano.
genere: thriller
anno di pubblicazione: 2020
La ferrovia sotterrnea - Colson Whitehead -
Recensione a cura di Miriam Donati
Con
la ratifica del XIII Emendamento del 18 dicembre 1865 firmato da Lincoln viene abolita la
schiavitù in tutti gli Stati Uniti d’America. Ripercorrere tramite la lettura
di questo romanzo una storia che affonda le radici in questo dramma aiuta a
capire la discriminazione che a più di un secolo e mezzo attraversa ancora la
società americana.
Colson Whitehead, con un
lungo lavoro di ricerca sui memoirs
degli schiavi americani, intreccia la ricostruzione della memoria storica a elementi
letterari e narra la vita della schiava Cora, figlia e nipote di schiave,
agganciando il racconto non solo alla storia, ma rifacendosi al mito e al
fantastico.
La “ferrovia
sotterranea”, una rete di abolizionisti della schiavitù, realmente esistita, è
tramutata dall’autore, con un colpo di
genio, in realtà, dando forma e ritmo al romanzo, i cui capitoli alternano le
“stazioni” ai personaggi che Cora incontra durante la sua fuga dalla
piantagione in Georgia fino ai confini del grande West dove finisce il suo viaggio
di schiava in cerca di libertà trasformandosi in un’inedita pioniera di colore rispolverando
in una forma inconsueta i grandi miti fondativi americani quali la ferrovia che
porta all’ovest, la scoperta e la conquista di nuovi territori.
Whitehead, pur mettendo
l’accento sulla società repressiva del tempo che puniva sia gli schiavi
fuggitivi, sia coloro che davano loro sostegno nella fuga, permettendo agli
schiavisti di recuperare anche a distanze lunghissime o in stati abolizionisti
i propri schiavi, non disegna in maniera manichea i propri personaggi: schiavi neri
buoni e padroni bianchi cattivi, descrive piuttosto persone imperfette con
vizi, debolezze, forza o coraggio indipendentemente dal colore della pelle e
dal ceto sociale.
Cora è doppiamente vittima
in quanto schiava e in quanto donna, preda, non solo dei padroni bianchi, ma
anche degli schiavi neri, e, a causa del carattere ribelle, è confinata in un
settore della piantagione riservata a chi è considerato pazzo o pericoloso. Vuole
ritrovare la madre, spinta non tanto dall’affetto ma mossa dalla vendetta perché
ritiene di essere stata abbandonata anche se i reali termini della vicenda
saranno rivelati nel finale. Le tappe del suo viaggio di fuga dalla Georgia
aumentano via via il suo grado di libertà facendola crescere ed acquisire
sicurezza e consapevolezza di sé.
La narrazione è molto
avvincente, ricca di colpi di scena e rivelazioni, con un taglio
cinematografico, coinvolge il lettore anche se la storia di denuncia ha pagine
feroci e crudeli quali quelle riguardanti gli esperimenti sugli schiavi.
Il linguaggio essenziale
ed efficace oltre a contestualizzare le azioni dei personaggi in modo coerente
propone anche pagine sul valore dei libri e dell’istruzione come strumento di
riscatto che sono delle perle preziose.
Whitehead con questo
libro ha vinto due premi molto prestigiosi: National Book Award e Pulitzer,
meritatissimi secondo me.
Genere
Narrativa
Anno di pubblicazione: 2016
Gli eversivi - Alessandro Berselli -
recensione a cura di Edoardo Todaro
Se uno come Berselli affronta un argomento da usare con
cura, come si direbbe nel famoso bugiardino delle medicine, come il mettere in
evidenza un “ Laboratorio Hegel “, movimento politico con qualcosa di più
dell’essere populista nonostante sfrutti
l’esistente disagio tra le masse perché la gente è stanca della “
democrazia “ e che vuole linea dura e
pugno di ferro , con tentazioni reazionarie, che ha un binomio da far
convivere: borghesi arricchiti, signore benestanti annoiate con una chiara
matrice sovranista ed euroscettica non può fare a meno che incentrare il tutto
a Bologna, una città con un clima riottoso che non ha cessato di farsi sentire
dal ‘ 77; un “ laboratorio “ che si pone come obiettivo il rovesciamento del
sistema, avendo come cavallo di battaglia, tanto per cambiare, il blocco
dell’immigrazione con atti di sabotaggio, intimidazioni, e visti i tempi, per
non farsi mancare niente, pirateria informatica, versione ripulita
dell’estremismo populista, una realtà che vive in un confine labile tra movimento
politico e quello terroristico, tra quello dichiarato pubblicamente l’essere
una sorta di loggia pidduista con annessi massoneria e servizi . Bologna, neofascisti
? Ecco che compare l’agenzia
investigativa obbligata ad avere tra le mani un caso politico, in questo caso
la Marple. Tutto ambientato oggi, ma con richiami, tantissimi, alla stagione
dello stragismo nero, con i suoi arnesi sempre in attività, anzi “bianco “ che
hanno segnato Bologna, per un progetto politico ben definito, e tutta Italia, non a caso ritorna la
stazione di Bologna . Come scritto poco sopra, leggere queste pagine non può
farci venire in mente la realtà che stiamo vivendo. No non è un brutto sogno:
tolleranza zero, “ la pacchia è finita “. Per restare alle pagine del libro:
abbiamo a che fare con l’avvocato Liam Bonaga che si rende conto che la propria
figlia, Asia, con un’adolescenza difficile, è divenuta organica con il “ Laboratorio Hegel
“, anzi andando avanti con la lettura, ci rendiamo conto che Asia Bonaga è, in
realtà, la “ first lady “ del capo e quindi il coinvolgere un’agenzia
investigativa per venire a capo degli stravolgimenti esistenziali viene di conseguenza.
Un’indagine che va avanti seguendo il ritmo dettato dalle eliminazioni fisiche
, con la Marple che i conti con ciò che resta dei suoi componenti. Interessante
ed attualissimo, un libro che accompagnato dalle credenziali di Carlotto e De
Giovanni non può che essere posto all’attenzione
di quanti ritengono il noir elemento per investigare la realtà sociale con cui
ci misuriamo.
anno di pubblicazione: 2023
La baronessa - Anne Jacobs -
recensione a cura di Ornella Donna
Anne Jacobs inaugura una nuova saga con il libro
intitolato La baronessa, edito da
Giunti editore; la quale va raccontando la saga dei Von Dranitz, nobili
terrieri costretti a fuggire dalla Berlino dell’Es; dopo la Seconda Guerra
Mondiale.
Il romanzo inizia, appunto, con la Baronessa
Franziska che, finalmente , può tornare nella Berlino dell’Est, dopo il crollo
del muro di Berlino, e riavere con sé tutti i possedimenti perduti. E’ un
ritorno all’indietro, intessuto da ricordi dolorosi e da una realtà diversa,
che non torna più. La tenuta che si ritrova, però, è diventata la sede di una
cooperativa sociale, di proprietà dello Stato:
“Franziska voleva entrare nell’atrio della casa padronale. Da lì a
sinistra, si arrivava nella sala da pranzo. Dietro c’era la stanza di caccia
del nonno. Sulla destra gli appartamenti della mamma, con una bella carta da
parati e mobili Biedermeier. Le giovani donne la guardavano con curiosità e
diffidenza”.
Della bellezza e del fascino passato non c’è
più nulla:
“Non riusciva a crederci. Era ancora in piedi, non era crollata né
andata a fuoco. La casa padronale. Le sembrava più piccola di prima, più
grigia, più semplice. Il portico con il colonnato non c’era più e la porta
d’ingresso era stata sostituita, ma le finestre e la struttura del tetto erano
rimaste intatte. Le due dèpendence usate come rimesse per carrozze ed
automobili erano in rovina, ma la casa padronale aveva retto.”
Come fare? Ormai Franzisla è una donna sola,
anziana e vedova, e il sindaco non è affatto intenzionato a restituirle la
proprietà:
“Ma il ritorno di Franziska dopo quarant’anni di assenza non interessava
né alla polizia né alle autorità: erano gli abitanti del villaggio a darle del
filo da torcere. Nel corso del tempo, nei loro cuori si era insinuato l’odio
nei confronti dei presunti sfruttatori, i nobili proprietari terrieri che per
secoli avevano vissuto alle spalle dei contadini. Un odio insensato, a suo
avviso. Suo padre aveva lasciato morire di fame o di freddo i suoi dipendenti?
Era sicura di no. Li aveva mai picchiati? Non ricordava, ma quando usciva a
cavallo portava sempre con sé una frusta.”
Ma Franziska è una von Dranitz e non si arrende
mai, per nessun motivo:
“Ma
Franziska era determinata a non lasciare Dranitz. Era responsabile della
vecchia tenuta in quanto sua legittima proprietaria. (…) Non si aspettava di
essere trattata con tanta ostilità.”
Che accadrà? Franziska, la baronessa, riuscirà
nel suo intento? Ritornerà in possesso di ciò che ha perduto?
Anne Jacobs, ancora una volta, dipinge, con
tatto e acume narrativo, la figura di una donna forte e determinata. Nonostante
le indubbie difficoltà, che a prima vista paiono insormontabili, la
protagonista di questa saga si racconta nel presente e nel passato, con intatto
ed immutato fascino.
La baronessa è, dunque, il racconto di vita di
una donna capace ed ostinata, lungo ben quarant’anni. Ne scaturisce, così,
“Una saga familiare, ricca di emozioni e di colpi di scena”.
Una lettura accattivante, che scorre veloce,
emozionando ed incuriosendo il lettore amante di questo genere letterario.
Buona lettura!
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2024
Resto qui - Marco Balzano -
recensione a cura di Alice Bassoli
📚 "Resto qui"
di Marco Balzano offre un quadro dettagliato e appassionato di un pezzo di
storia. Attraverso una prosa viva e coinvolgente, si descrive l'ambientazione
tragica del Sudtirolo durante il periodo del Fascismo e della Seconda Guerra
Mondiale, dove la lingua e l'identità stessa vengono messe in discussione.
💧 La protagonista, Trina,
incarna il dolore e la speranza di una madre alla ricerca della figlia
scomparsa, mentre il Fascismo, la guerra e il dopoguerra segnano profondamente
la vita della sua famiglia. La costruzione dei personaggi è tratteggiata con maestria,
senza cadere in eccessi o stereotipi, e dà vita a figure realistiche e
sfaccettate che riescono a respirare attraverso le pagine del libro.
👩👧 La trama è
piena di tensione e di momenti toccanti, mentre l'ambientazione è descritta con
una ricchezza di dettagli che trasporta il lettore direttamente nell'atmosfera
del tempo e del luogo, conferendo un ulteriore livello di profondità e
autenticità alla narrazione.
⛰️ Va elogiata l'abilità di
Balzano nel trattare temi complessi come il dolore, la perdita, la lotta per
l'identità e la sopravvivenza, senza cadere nella retorica o nel melodramma, ma
mantenendo un tono realistico e malinconico.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2020
Il primo appuntamento - Sue Watson
recensione a cura di Eva Maria Franchi
Titolo recensione: un thriller psicologico venato di rosa.
Trama
Hannah cerca l’amore romantico, vuole
la favola, mettere su famiglia con l’uomo dei suoi sogni e avere un paio di
bambini. L’orologio biologico continua a ripeterle “ora o mai più”. La favola
sembra avverarsi quando, grazie a un sito di incontri, conosce Alex: bello,
gentile, ama cucinare per lei e ha i suoi stessi gusti. È anche molto premuroso,
forse un po’ troppo. Ma in fondo non esiste l’uomo perfetto e poi, chi non
desidera un uomo che metta la propria donna al centro della sua vita?
Punto di forza
L’autrice è abile nel creare situazioni
ambigue che lasciano il lettore nel dubbio. Certi comportamenti di Alex vanno
interpretati come segnali d’allarme o sono innocui modi di fare di un uomo che,
come tutti gli esseri umani, ha i suoi limiti e non è esente da difetti? La
protagonista fraintende le intenzioni di Alex o dovrebbe dare ascolto alla sua
voce interiore che la mette in guardia? Sono domande che l’autrice spinge il
lettore a porsi creando un’atmosfera psicologica di tensione, dubbio e ossessioni.
Punto debole
Non è un romanzo per gli amanti della
bella scrittura. Ho riscontrato parecchi refusi e svarioni grammaticali durante
la lettura. Non ho letto la versione originale in lingua inglese per cui non
sono in grado di stabilire se tali difetti siano imputabili solo alla
traduzione o se anche la versione originale del libro sia debole sotto il
profilo linguistico. È un libro che si legge perché ci si lascia coinvolgere
dalla storia, non certo per lo stile letterario.
Finale
Il finale mi ha sorpresa (in
senso buono). È originale, e congruente con gli indizi sparsi nelle pagine
precedenti dall’autrice. Un risultato non da poco. Spesso anche i migliori
giallisti e sceneggiatori cadono sul finale proponendo conclusioni o troppo
scontate, o, per stupire il lettore, imprevedibili ma prive di senso, il che è
anche peggio. Sue Watson coglie nel segno. Il suo finale mi ha soddisfatta.
Giudizio complessivo
Definire un libro come questo mera
narrativa di intrattenimento è riduttivo. Sebbene il comportamento della
protagonista, in alcune situazioni, non mi ha convinta del tutto come lettrice
(presumo uno stratagemma dell’autrice che impone alla protagonista determinate
scelte per creare suspense nella storia), la lettura del libro mi ha indotta a
riflettere sul tema della codipendenza e sul desiderio atavico di trovare una
relazione che ci completi, desiderio che in questo romanzo è forte tanto nella
protagonista femminile quanto nel protagonista maschile, oserei dire persino
più forte in quest’ultimo. Mi sono chiesta: il desiderio, inculcato da una
cultura millenaria, di avere un uomo (o una donna) accanto che ci assicuri
sicurezza e protezione, con quanta intensità ci condiziona ancora all’alba del
transumanesimo? Quanto siamo disposte a tapparci gli occhi, auto convincendoci
di avere trovato l’uomo giusto, piuttosto che rinunciare al sogno?
Una lettura che mi ha coinvolta
e mi ha fatto riflettere. Peccato che la traduzione sia poco curata.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2023
Abbiamo sempre vissuto nel castello - Shirley Jackson -
recensione a cura di Elisa Caccavale
🏰Il romanzo narra la vicenda di una
famiglia, i Blackwood, o perlomeno di ciò che ne rimane dal momento che durante
una cena sono stati tutti avvelenati e passati quindi a miglior vita; della
numerosa famiglia, composta da padre, madre, tre figli, il fratello del padre e
la moglie, sono sopravvissuti solo due delle figlie, la diciottenne Mary Katherine
(Merricat) e la sorella maggiore Constance e Julian, loro zio, rimasto invalido
per le conseguenze dell’avvelenamento al quale è però scampato.
📖La voce narrante è quella di
Merricat, l’unica che esce di casa due volte alla settimana per provvedere ai
bisogni della famiglia, mentre Constance e Julian vivono murati nella grande
villa di famiglia dalla quale non escono dal giorno della strage, sei anni
prima. Julian vive scrivendo ossessivamente le sue memorie e rivivendo, in un
cortocircuito senza uscita, l’ultimo giorno della sua famiglia, mentre Constance
veglia su tutto e tutti come un angelo del focolare, gestendo la casa e i
bisogni di Merricat e Julian in modo amorevole e con totale dedizione. Intorno
a loro la palese ostilità dei paesani che non hanno dimenticato il crimine per
il quale, a loro giudizio, chi ha colpe non ha pagato…
📚Romanzo piuttosto breve (189 pagine)
non si tratta, però, di una lettura scorrevole: l’impianto del testo è
teatrale, nel senso che, fatta eccezione per il primo capitolo in cui si segue
Mary Katherine nelle sue commissioni in paese, è interamente ambientato nella
villa e il testo, privo di azione vera e propria, è costruito quasi interamente
su dialoghi, il che rende la narrazione piuttosto lenta e a tratti noiosa. Questi
dialoghi, poi, molto spesso risultano claustrofobici, un vortice di discesa
nella follia, non quella urlata, evidente, ma quella più subdola, strisciante,
e arrivano al punto di essere irritanti nel loro essere a tratti stucchevoli, a
tratti surreali (ho perso il conto delle volte in cui l’autrice ha fatto
pronunciare a Constance l’espressione “Merricat, sciocchina”).
👤L’autrice è riuscita nella notevole
impresa di rendere odiosi tutti i personaggi, ognuno a suo modo: Merricat,
persa nel suo mondo e nel suo folle egocentrismo, Constance che nasconde ciò
che non si può nascondere e costruisce un’esistenza basata sulla menzogna,
mansueta come un agnello destinato al patibolo, Julian, petulante e ossessivo,
il cugino Charles, parassita approfittatore che un giorno piomba nella villa a
scombinare la quotidianità. Eppure, nonostante tutto, si riesce persino ad
empatizzare ed essere solidali con la famiglia Blackwood quando viene travolta
dalla cattiveria più bieca, rappresentata dalla gente del paese, la quale
incarna tutte le brutture e bassezze umane. Il personaggio corale della “gente
del paese” balza così in testa alla classifica degli elementi in grado di
logorare i nervi del lettore di questo libro, che vorrebbe entrare nelle pagine
e prendere tutti per il collo, o per strozzarli o per scuoterli e farli
rinsavire.
❌Il libro ha un sapore di incompletezza: la
conclusione è volutamente surreale, con una regressione delle protagoniste ad
un’esistenza quasi selvaggia e animale (il come e perché lo scoprirete solo
leggendo), ma quello che più esalta questa sensazione è che nulla viene
spiegato; “Abbiamo sempre vissuto nel castello” si chiude con un grande punto
interrogativo. E non parlo di un finale aperto, intendo proprio che non vi è
spiegazione su nessun aspetto: su quanto è successo sei anni prima, sul
comportamento dei personaggi, sulle vicende pregresse e future, sui rapporti
umani e sulle pulsioni e motivazioni che li governano. Il lettore resta lì,
come un voyeur sbigottito e confuso, aspettando un’altra pagina che dia
un senso a tutto ciò che ha visto dalle finestre della villa dei Blackwood.
❓Questo libro mi è piaciuto? No. Tuttavia
se ho scritto una recensione di una pagina significa che è un libro che lascia
delle sensazioni, magari non per tutti piacevoli, ma di certo non lascia
indifferenti. Ed è l’indifferenza il peccato mortale per un libro.
genere:horror
anno di pubblicazione: 1962, prima ed. italiana: 1990
Requiem di provincia - Davide Longo -
recensione a cura di Ornella Donna
Davide Longo
, nel libro intitolato Requiem di
provincia, torna indietro nel tempo. Infatti il romanzo è ambientato a
Torino nel lontano 1987 e vede protagonisti indiscussi il commissario Corso
Bramard e il suo vice Vincenzo Arcadipane. Quest’ultimo è anche la voce
narrante dell’intero romanzo.
Sono
le tre di notte, e Arcadipane sta vagando per la città in cerca del suo
superiore, a zonzo e in giro per bar e osterie, ad ubriacarsi, tentando, così,
di lenire un dolore mai superato. Torino,
“La domenica sera, da quando mamma FIAT
la calza e la veste, è di compagnia quanto una prostatite”.
Arcadipane
guida lentamente, con la sola compagnia della sua auto:
“Alfa 33 Quadrifoglio verde, comprata
un anno fa per quindici milioni e 940mila lire, scontanti del 20% in quanto in
forza alla Polizia di Stato”,
quando,
finalmente, trova Bramard sul ponte della Gran Madre, a guardare giù le acque
scure del Po.
“Con la sua aria rilassata da giocatore di
golf, i capelli che asciugati nella loro confusione sono persino belli. Prende
un sucai dalla tasca e lo colloca in bocca. Bramard mastica e non parla, che a
suo modo è un buon segno.”
Quando
vengono avvisati di recarsi a Casalforte,
“un paese a venti chilometri da
Torino. Dove ci sono l’uscita del casello, la stazione dei treni, i peperoni,
un sacco di campi nomadi e una fonderia.”
Qualcuno
ha sparato in testa a Eric Delarue, alto dirigente di una fonderia poco
lontana.
Chi
ha voluto la sua morte? Inizia una indagine discreta, sul modello piemontese,
per cui:
“la discrezione è tutto per un
piemontese”,
sulla
figura di uomo e di dirigente del ferito. Cosa si scopre? Poco o niente. Eric
Delarue era un cinquantenne benestante, con una moglie molto ricca al seguito,
piaceva a tutti, volto sempre abbronzato, di viso, dicono tutti, assomigliasse
a Julio Iglesias, sempre pronto a scherzare con tutti, ed aiutare i suoi operai
in difficoltà. Allora perché qualcuno gli ha sparato e lui ora giace in coma?
Chi dimostrava di avere una certa dose di acredine, celata ma ben presente? E
perché?
Inizia
una indagine ricca di colpi di scena, che diventa immediatamente una indagine
sull’alta società e sulla borghesia che spesso cela, non ricorda, o non vuole
affrontare vizi e mali che la caratterizzano dall’interno. Sarà una indagine
complessa, molto omertosa, molto intuitiva, dove i nostri investigatori daranno
il meglio di sé e delle loro capacità.
Una
lettura precisa, che riporta indietro nel tempo, scritta con precisione
millimetrica e sapienza di linguaggio. Si nota una certa dose di amarezza, che
permea l’intera narrazione e che stupisce il lettore, che non si aspetta quanto
narrato. La trama è ben congegnata, i personaggi sono ben delineati anche nel
loro sentire intimo e intimistico, e il linguaggio è fluido. Si respira aria
torinese, di qualità e non solo. L’autore dimostra di conoscere molto bene i
meccanismi che regolano la suddetta società e i loro membri, quel certo non so
che , difficile da esprimere, ma che si intuisce bene. Ne risulta una lettura
particolarmente intrigante, che aggiunge un altro tassello al lettore che segue
fedele le vicende dei due investigatori. Una lettura di genere particolarmente
ben presentata e ben scritta, con un linguaggio preciso e molto colto. Molto
bello e divertente. Alla prossima avventura!
genere: giallo
anno di pubblicazione: 2023
Traduzioni violate - Marisa Tumia
📖Spiccioli di trama: il romanzo racconta le varie tappe della vita della protagonista. Dall'infanzia all'età adulta. Percorre anni di storia personale raccontando aneddoti persone e fatti. Momenti drammatici e momenti di serinita.
🔥Punto di forza: senz'altro la scrittura. La capacità di rendere vivi e presenti ricordi anche molto lontani nel tempo. Lo fa attraverso una scrittura vivace, propositiva anche quando gli aneddoti si fanno dolorosi o vengono ricordati momenti cruciali della sua vita.
🙁Punto debole: per chi come me ama le storie più estreme manca forse un po' di pathos ma è un giudizio basato su gusti strettamente personali.
🏁Finale: finale un pochino amaro ma di finali ne avrebbe potuti avere tanti. L'autrice ha deciso di fermare in quel punto il racconto.
🎓Giudizio complessivo: ⭐⭐⭐⭐
Un romanzo sicuramente molto interessante, divertente e coinvolgente che permette di scoprire le vicissitudini di una bambina, che si fa adolescente e poi donna, con marito e figli alla fine degli anni 80, in un piccolo paese del sud Italia.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2023
valutazione: buono
L'amore molesto - Elena Ferrante
recensione a cura di Alice Bassoli
💔🌊 "Mia
madre annegò la notte del 23 maggio, giorno del mio compleanno, nel tratto di
mare di fronte alla località che chiamano Spaccavento..." - Questo incipit
afferra immediatamente il cuore e l'immaginazione del lettore, introducendolo
in un mondo intriso di mistero e di dolorosa verità.
🔍🕵️♀️ La trama
si dipana attorno al rapporto contorto e passionale tra Delia e la madre
Amalia. Delia si trova ad affrontare il compito angosciante di indagare sulla
morte di sua madre, cercando di svelare i segreti celati dietro la sua figura
enigmatica. Chi era davvero Amalia? Cosa è accaduto quella fatidica notte?
Queste sono le domande che guidano l'indagine di Delia.
🏙️🌫️ Il contesto
è una Napoli grigia e opprimente, che funge da sfondo cupo e suggestivo per le
vicende familiari che si dipanano. La città stessa sembra essere un personaggio
nella storia, con le sue strade strette e tortuose che riflettono
l'oscillazione dei rapporti familiari.
👩👧👧 Il
romanzo esplora in profondità il legame tra madre e figlia, esaminandolo con
una brutalità e una passione sorprendenti. La rivelazione finale, sconvolgente
e inaspettata, incastra tutti i tasselli del puzzle, portando alla luce verità
nascoste e scioccanti.
💔🔍 "L'amore
molesto" è un libro duro, amaro, che scava nelle profondità dell'animo
umano. Elena Ferrante, con la sua prosa intensa e incisiva, cattura l'essenza
stessa delle relazioni familiari, esponendo le loro sfaccettature più oscure e
dolorose.
💬 Conclusione: Un romanzo
avvincente e toccante, "L'amore molesto" affronta temi universali con
una sensibilità straordinaria. È un libro che lascia un'impronta indelebile
nella mente del lettore, rivelando la complessità e la fragilità dei legami
familiari. Un'opera imprescindibile per chiunque ami le storie che parlano al
cuore.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 1992
Un divorzio tardivo - Abraham B. Yehoshua
Recensione a cura di Miriam Donati
Nove capitoli che si svolgono nell’arco di nove giorni per raccontare la storia di una famiglia al ritorno in patria dall’America del capostipite Yehudà Kaminka per divorziare dalla moglie ammalata Na’omi.
La narrazione è fatta a più voci che si
differenziano tra loro sia per il modo di raccontare attraverso monologhi,
dialoghi o flusso di coscienza, sia utilizzando la maniera di esprimersi diversa
per ognuno di loro. Una sperimentazione da parte dell’autore che affascina e
nello stesso tempo coinvolge nei punti di vista dei vari membri della famiglia.
Essi affrontano nei giorni che precedono la Pasqua ebraica, a causa della
presenza del padre, il peculiare personale “passaggio che li porti oltre” incrociando la relazione e il confronto con
l’altro attraverso il proprio vissuto e la propria psicologia.
Questo crea contemporaneamente amore e odio,
apprezzamento e biasimo nei rapporti aumentando conflitti e incomprensioni.
Ogni personaggio appartiene a un ceto sociale
diverso ed esprime una varietà di convinzioni differenti, ma il legame che li
vincola è talmente stretto da accrescere a dismisura i dissidi.
Non esiste una vera e propria trama perché l’autore privilegia il modo di raccontare e ciascun personaggio in ogni capitolo aggiunge la propria realtà soggettiva che accresce quindi di nuovi particolari e nuovi spunti la storia complessiva.
Via via conosciamo la realtà di Gadi, bambino
tenero e introverso, allevatore di bachi da seta, quella nobile e irrequieta di
Dina, il sarcasmo allo stesso tempo sprezzante e attento di Kedmi, la dolcezza
e la devozione di Yael, il razzismo e il maschilismo del marito, l’insicurezza
di Assa e la disinvoltura di Zwi.
Un capitolo è dedicato alla moglie Na’omi e
sorprende la sua coerenza rispetto a quanto di lei hanno raccontato in
precedenza gli altri personaggi. Nasce così il dubbio su chi sia il vero
malato. "Spesso la follia di una persona serve ai suoi
parenti per sentirsi normali.” E, in
effetti, i ruoli a poco a poco si invertono rivelando sia l’inquietudine
segreta che affligge ciascuno dei personaggi, sia la profonda nevrosi del
padre, che, deciso a divorziare per poter sposare la donna che lo aspetta in
America, insieme al figlio che deve nascere, è pian piano fagocitato
dall’ambiente familiare, dall’angoscia di dover tagliare tutti i legami con
Israele, la vecchia casa, figli e parenti e persino con la vecchia moglie e
giunge così a comporre un finale inatteso.
Testimone inconsapevole - Gianrico Carofiglio -
recensione a cura di Edoardo Todaro
Un magistrato prestato alla scrittura. Scrittura che
Sellerio ha colto, giustamente visto quanto di buono esce dalle pagine scritte da
Carofiglio. Dobbiamo, nel suo caso, andare a ritroso ed evidenziare “Testimone
inconsapevole “, certamente datato, ma di sicuro importante per far comprendere
il perché Carofiglio è riuscito ad inserirsi tra gli scrittori più letti
arrivando all’ultimo, “Rancore“. Carofiglio ha dato vita oltre alla figura
dell’avvocato Guerrieri, anche a quello che ormai si può considerare un genere:
il romanzo giudiziario, anzi il “legal thriller“. Detto questo non ci rimane
che mettere le mani sulle 324 pagine di “testimone inconsapevole”. Abbiamo a
che fare con l’avvocato Guerrieri un penalista in crisi con la propria
attività, oltre ad altre crisi personali/affettive, che addirittura gli produce
ansia. Una vita, la sua, senza regole, con gli attacchi di panico che portano
un po’ di novità a giornate sempre uguali e con notti caratterizzate
dall’insonnia. Un Guerrieri che è ben consapevole del fatto che le sorti di
molte persone dipendono dal suo lavoro, anzi sono nelle mani di un
irresponsabile psichicamente disturbato che piange senza un motivo reale. In
sostanza disturbi di adattamento la cui cura è rintracciabile nel connubio
whisky/nicotina, oltre ad una bella dose di pugilato che aiuta non a star bene,
ma un po’ meglio sì. Pugilato che tornerà utile quando dovrà fare i con dei
“teppisti di periferia“. Ma all’interno dei casi che deve seguire e portarli ad
una soddisfacente conclusione, ha a che fare con Abdou Thiam, senegalese, in patria maestro, in Italia
ambulante, indiziato di un crimine efferato, sottoposto a custodia cautelare in
carcere. Il capro espiatorio giusto che va incontro alle fobie diffuse, il
colpevole e/o un colpevole. Guerrieri che tenta di riprendersi, superando anche
le remore nel prendere un ascensore, ne assume la difesa, nonostante giochi a
suo favore, tenendo in considerazione, tra l’altro, che Thiam dopo aver subìto
i pestaggi di routine dalle forze dell’ordine, secondini compresi, ed essere
stato gettato nella sezione speciale riservata a stupratori, pedofili e
pentiti, non è per niente collaborativo, con il suo avvocato.
Carofiglio/Guerrieri ci mette al corrente, senza assolutamente stancarci, delle
dinamiche che caratterizzano le norme giudiziarie, di nozioni basilari che ci
permettono di conoscere il sistema penale; ad esempio: cos’è il giudizio
abbreviato, quando questo può essere richiesto e perché in casi di soggetti
come Thiam può essere l’ideale, quindi se da un punto di vista economico può
essere utile all’inquisito, lo è anche per lo stato. ”Testimone inconsapevole“
ci porta a confrontarci con la misera esistenza degli immigrati che vivacchiano
in vecchi palazzi popolari in 6/7 per stanza e con il mondo dei combattimenti
tra cani e le scommesse clandestine che vengono fatte su di loro; ed il mondo
del carcere, oltre a quanto già scritto con quanto deve fare i conti Thiam, i
corridoi squallidi e l’autolesionismo. Un avvocato che dal pugilato impara non
solo a stare più tranquillo, a difendersi ma anche come strategia
professionale: provocare per trovare un punto debole, trovare uno spiraglio,
attaccare e piazzare un bel colpo. Tirando una conclusione, si potrebbe dire che
ci troviamo di fronte ad uno scrittore prestato alla magistratura, prestito che
ci auguriamo vada avanti anche in futuro.
genere: giallo (legal thriller)
anno di pubblicazione: 2011
La Regina dei colori - Valeria Corciolani
recensione a cura di Patrizia Zara
"Perché perfetti lo siamo tutti senza esserlo nessuno e qui sta la
meraviglia nelle impagabili e splendide differenze"
"La regina dei colori" di Valeria Corciolani è uno dei libri che mi è
stato regalato il 9 novembre 2023 giorno del mio 59mo compleanno.
Chi me lo ha regalato è una persona molto speciale, per me.
Da questa personale premessa è facile dedurre che, al di là della trama, dello
stile, della scrittura e del genere, al di là del romano nel suo insieme, il
libro in questione ha un valore non solo aggiunto ma inestimabile.
L'ho letto in giorni felicemente frenetici, diciamo vivaci, in cui la famiglia
mi ha assorbito con il suo gioioso e laborioso tran tran.
E allora che dire. In definitiva il romanzo della Corciolani, pur non essendo
il genere che preferisco in quanto prediligo storie più profonde che scavano
dentro gli abissi dell'animo umano, storie psicologiche ed esistenziali, l'ho
gradito per la leggerezza con cui l'autrice ha affrontato tematiche importanti
giocando con sincerità e ingenuità con la sua eclettica cultura: sfoggio di
citazioni cinematografiche e letterarie, l'appropriarsi di tecniche strutturali
utilizzate da grandi della letteratura (ogni nuovo capitolo inizia con l'ultima
frase del capitolo precedente) e via dicendo.
È un romanzo che si legge con piacere, con semplicità poiché nulla è celato o
lasciato in balia all'immaginazione o alla personale interpretazione e per
questi motivi non richiede alcun sforzo celebrale.
Scorre così, come scorre la vita nei suoi traumi quotidiani.
La quotidianità, spesso, può essere talmente banale nella sua tragicità tanto
da perdere la sua inestimabile profondità esistenziale.
Clotilde, la protagonista, la regina dei colori, è stata un'indiscussa interior
design, star internazionale per la capacità di fare suoi i colori del mondo e
saperli accoppiare con occhio infallibile.
Ma un incidente mette fine, dopo sessant'anni di brillante carriera, alla sua
parabola lasciandola in vita con il crudele contrappasso di una cecità
selettiva ai colori.
Da quel tragico momento il suo mondo diventa bianco e nero: acromatopsia da
trauma, la chiamano i medici.
Con il grigio negli occhi ritorna nella terra natia, la Liguria, dalle sue
sorelle.
Da qui si snodano storie su storie che hanno tutto un sapore femminile.
Il finale, sorprendente, ripaga dalla superficialità baldanzosa con cui il/la
lettore/lettrice si scontra, l’innocenza nell’affrontare temi scottanti e nel
candore della loro risoluzione.
E si perdona anche all'autrice di aver costruito la storia su storie già
scritte (il personaggio giapponese, Hotaka, sa tanto di "L'eleganza del
riccio") e delle citazioni a iosa dal film "kung Fu Panda".
Sembra un romanzo scontato e di frasi fatte, cliché da effetto, per poi
scoprire che tutto sommato di scontato non c'è nulla e che i cliché è bene
sottolinearli ogni tanto per non dimenticarli perché, a quanto pare, fanno bene
all'anima.
"Strano come a volte passino anni in cui ti muovi a tentoni, poi basta una
manata sull'interruttore giusto che tutto si accende, facendoti trovare cose
che avevi perso e altre che non avevi riconosciuto"
genere; narrativa
anno di pubblicazione: 2023
Sotto il cielo di Roma – Sira Fonzi -
recensione a cura di Gino Campaner
Per me è sempre difficile rendere “giustizia” ai racconti.
Non lo so perché, forse non esiste una spiegazione logica o magari è semplicissima ma sono io che non riesco a definirla. fatto sta che io ho difficoltà a recensire un racconto, figuriamoci una
raccolta, come questa, che ne prevede sette. Mi dispiace non riuscire a farlo
soprattutto quando, come in questo caso, i racconti (tutti) mi sono piaciuti molto. Trovo frustrante non riuscire a far passare la mia
ammirazione ed il mio coinvolgimento. Ci provo nuovamente, perché i racconti che ho da poco
terminato di leggere, raccolti sotto il titolo Sotto il cielo di Roma, meritano
questo sforzo. L’autrice si chiama Sira Fonzi ed ha scritto questi racconti
dedicati a Roma ed ai suoi abitanti. Sono storie che ci parlano di persone
semplici e molto comuni che potremmo ritrovare nel nostro vicino o nel
commerciante sotto casa. Sono storie che parlano di maltrattamenti (sulle
donne) di tentativi di emergere da un ambiente ostile, di tradimenti, di fughe
e lo fanno appunto attraverso protagonisti che nel tentativo di tenersi a galla
vanno sempre più, a fondo. Sono tutti ambientati a Roma ed i protagonisti sono
tutti fortemente romani. Ma potrebbero essere facilmente collocati in qualsiasi
altra periferia di una città italiana. Sono scritti con semplicità ma soprattutto con grande efficacia riuscendo a far rendere perfettamente la drammaticità delle vicende narrate senza dover ricorrere a descrizioni "estreme". Per me meritano
senz’altro il massimo dei voti. Con complimenti sentitissimi per la Fonzi.
valutazione: buono
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2023
Le Ossa della Principessa - Alessia Gazzola -
recensione a cura di Alice Bassoli
📚 La trama: Ambra Negri
Della Valle, la collega perfida, è scomparsa, portando con sé il suo eterno
sguardo critico su Alice Allevi. Insieme a Claudio Conforti, ex di Ambra e
legato ad Alice da un complicato rapporto, i due si trovano ad affrontare
l'incubo quando chiamati dalla procura per esaminare un cadavere ritrovato in
un campo. Fortunatamente, non si tratta di Ambra, bensì di una giovane
archeologa scomparsa anni prima nei territori palestinesi. Il mistero si
infittisce: chi l'ha uccisa e sepolta come in un rituale con accanto una
coroncina di plastica?
📖🔍 La trama si
snoda tra l'Italia e i territori Palestinesi, e già questo di per sé mi ha
coinvolta parecchio. La scrittrice, ormai nota per i suoi successi letterari,
ha uno stile unico che cattura l'attenzione del lettore, inducendolo a divorare
il libro in pochi giorni.
🎭💖 Oltre al
mistero da risolvere, ciò che rende questo libro ancora più apprezzabile è il
realismo dei personaggi. La Gazzola riesce a conferire vita ai suoi
protagonisti, capaci di respirare sulla pagina. Alla fine della lettura, si ha
quasi la sensazione di averli conosciuti personalmente, una delle migliori
qualità che un autore possa desiderare, a mio modesto parere.
Alessia Gazzola continua a dimostrarsi maestra nel creare
storie davvero appassionanti, leggere ma mai superficiali, anzi profonde, da un
punto di vista emotivo. Leggere i suoi libri, per me, è una vera goduria📚✨
genere: giallo
anno di pubblicazione: 2021
Uno, nessuno e centomila – Luigi Pirandello -
“Uno nessuno e centomila” è l’ultimo romanzo di Luigi
Pirandello, pubblicato nel 1926, dallo stile divertente e dal lessico molto
ricercato, tipico dello scrittore.
Il libro narra le vicende di Vitangelo Moscarda, detto
Gengè, uomo comune, dalla vita agiata, al quale il padre ha lasciato la
gestione di una banca.
Un giorno sua moglie gli fa notare che il suo naso pende
verso destra e, non solo, anche altri piccoli difetti fisici, dei quali lui,
fino ad allora, ignorava l'esistenza.
Da questo, all’apparenza banale, episodio scaturisce in lui
una profonda crisi esistenziale, che lo porterà a gesti folli ed inspiegabili
agli occhi della famiglia, soprattutto della moglie, che, alla fine, deciderà
di lasciarlo.
Gengè inizia a porsi domande sulle molteplici identità di un
individuo: lui, che aveva sempre pensato di essere UNO soltanto, si accorge che
ognuna delle persone con cui interagisce lo considera un alter ego di sè
stesso e non lo percepisce come lui è in realtà e che quindi esistono altri
CENTOMILA Vitangelo Moscarda.
La sensazione di solitudine, quando si accorge che nessuno,
tranne lui, lo vede per quello che è realmente, lo porterà ad annientare le
proprie certezze ed a intense riflessioni sul continuo mutamento dell’essere e
sulla disgregazione del se.
Arriva quindi alla conclusione che, l'unico modo per trovare
la serenità è annullare la sua esistenza distruggendo i CENTOMILA alter ego,
costruiti dai vari punti di vista della gente, rinunciando a tutto, ai suoi
beni e persino al suo nome, diventando così NESSUNO.
Troverà allora la pace, donando tutti i suoi averi per
la costruzione di un ospizio per poveri, dove lui stesso andrà a vivere,
trovando serenità nella spiritualità e la libertà solo quando si sarà disfatto
di tutte le maschere che la società gli aveva affibbiato.
Pirandello, influenzato dalla filosofia
di Schopenhauer (che considera l’esistenza umana un’illusione e illustra
la sua teoria attraverso il “Velo di Maya”, nel suo celebre scritto “Il mondo
come volontà e rappresentazione”) crede che il disagio dell'uomo sia dovuto
dall'impossibilità di trovare un'unica verità e dal dualismo dell'esistenza:
meglio essere sè stessi ed essere ritenuti folli oppure indossare una maschera
e rinunciare al proprio io per essere accettati dalla società?
Ho amato questo romanzo, denso di riflessioni
sull’esistenza umana, le stesse sulle quali ogni giorno mi pongo interrogativi
anche io.
Mi sono impersonificata con il protagonista, avendo
vissuto in prima persona un avvenimento simile al suo: da ragazzina, una mia
compagna di scuola mi fece notare che la mia bocca era più piccola dei normali
parametri; io, che fino a quel momento non ci avevo mai fatto caso, cominciai a
vedere il mio viso sproporzionato; devo dire, in tutta onestà, che da
quell'episodio di molti anni fa, iniziai a guardarmi allo specchio con occhio
molto critico e a domandarmi se l'immagine che io vedevo riflessa allo specchio
era la stessa immagine che avevano gli altri di me.
Ai tempi ero ignara che Pirandello, prima di me, si era
posto un quesito identico al mio!
“Di ciò che posso essere io per me, non solo non potete saper nulla voi, ma nulla neppure io stesso”
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 1926