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domenica 11 settembre 2022

INTERVISTA A ANDREA CORCIONE

 





Ciao Andrea, benvenuto nello spazio interviste del blog Giallo e cucina. Grazie per aver accettato il nostro invito. Sono contento di poter fare un po’ di chiacchiere insieme a te. Hai scritto un romanzo originale divertente e che offre tanti spunti di riflessione. A me è piaciuto molto. Parleremo quindi del tuo libro ma anche un po’ di te per conoscerti meglio.

Inizierei con la domanda più ovvia, quella della presentazione. Quando sei nato e dove vivi, cosa fai nella vita oltre a scrivere? Dicci un po’ di te.

Sono nato a Napoli nel 1981 e dopo gli studi tecnici mi sono occupato di informatica e grafica digitale, ho tenuto corsi di formazione professionale sempre in ambito informatico. Attualmente lavoro in una azienda commerciale specializzata in elettronica di largo consumo. Questa esperienza, che dura ormai da oltre quindici anni, mi ha dato la possibilità di stare a contatto con il pubblico e di conoscere tante persone. Sono di origini napoletane ma la carriera professionale mi ha portato a sportarmi in un'altra regione. Sposato, una figlia di nove anni.

Oltre a scrivere sei anche un lettore? Hai un genere preferito? 

Non ho un genere preferito, spazio dai libri gialli ai romanzi di fantascienza a quelli umoristici. Amo le biografie, amo le vite degli altri, mi interessano da sempre le storie di vita vissuta, i racconti di chi ha vissuto una lunga esistenza piena di esperienze.

              

Da dove nascono le tue storie? Elabori notizie che leggi o sono esclusivamente di fantasia? I personaggi del tuo libro sono stati ispirati da persone reali?

I personaggi sono di pura fantasia ma non troppo. Le vicende del protagonista del mio libro sono spesso ispirate a fatti reali, ad aneddoti divertenti che riguardano la mia famiglia. Sono quelle storie più o meno vere che si tramandano di generazione in generazione, uno scrigno magico da cui amo attingere per scrivere i miei testi.

 

Hai solitamente una scaletta prefissata o ti fai condurre dalla narrazione?

Lavoro in questo modo : Comincio a scrivere dei raccontini, senza una precisa collocazione spazio temporale, scrivo prima le parti divertenti, quelle che mi fanno ridere a crepapelle, poi comincio mi dedico ai punti più profondi, quelli dove il protagonista parla con se stesso e descrive, attraverso il suo personale punto di vista, il mondo che lo circonda, lo stato d’animo del momento. Alla fine, come per un ricamo, ripasso il testo da cima a fondo e unisco i pezzi attraverso collegamenti logici che hanno lo scopo di mettere ordine e collocare tutti gli elementi al posto giusto.

 

Giunge a questo punto la mia classica domanda, quella che non manca mai quando intervisto un autore. Mi riferisco alla domanda sulle case editrici. Domanda forse un po’ scomoda per voi scrittori ma che ha me incuriosisce sempre molto. Devi sapere che nelle mie letture hanno una corsia preferenziale gli autori emergenti, o quelli che vorrebbero esserlo, e gli autori self. Tu per l’appunto hai pubblicato il tuo romanzo in proprio. Mi spieghi un po’ se è stata una decisione voluta o la hai dovuta prendere in considerazione dopo esserti scontrato col “complicato” mondo degli editori? E’ una scelta che pensi di rifare anche coi prossimi libri o in futuro cercherai in ogni modo di affidarti ad una casa editrice?

Devo ammettere che l’idea originale era quella di rivolgermi esclusivamente ad una casa editrice. Ricordo di aver inviato a decine di CE il mio testo, ricordo anche il mio stupore nel leggere sempre le stesse risposte, spesso superficialmente negative oppure fintamente positive. Mi riferisco all’attività preferita delle attuali CE, quella di spillare soldi al povero autore. Ormai è un mercato drogato, ci sono migliaia e migliaia di aspiranti scrittori con un libro nel cassetto e sempre meno lettori. Ormai il business è esclusivamente quello di vendere servizi (editing correzione di bozze etc.) Se ci pensiamo bene il rischio imprenditoriale di una moderna CE è pari a zero! Se va bene ed il libro vende ( spese di promozione tutte a carico dell’autore) ha guadagnato due volte, se va male ha comunque venduto i propri servizi. Il mercato del self è ancora agli inizi, tuttavia credo fortemente possa essere una valida alternativa, emergere dal nulla è faticoso, autopromuoversi è un grosso dispendio di energie ma la sensazione di essere riusciti a imporre le proprie idee, aver fatto conoscere il proprio libro, senza l'aiuto di nessuno e senza aver speso nemmeno un euro, è impagabile.

 

Iniziamo a parlare finalmente del tuo libro, La teoria degli equilibri. Come mai hai deciso di scrivere un romanzo di questo tipo? Scusa se te lo chiedo ma tu sei un po’ come Pietro o hai dovuto lavorarci parecchio per farlo cosi…scontroso? Leggendo il libro mi sembra che le battute di Pietro siano molto spontanee e coerenti, senza forzature. Sarcasmo, ironia, cinismo fanno parte del tuo carattere? Della tua filosofia di vita?

Io non sono Pietro Santini ma Pietro ha qualcosa di me, è come se fosse un mio riflesso, uno dei frammenti della mia personalità. È venuto da fuori da solo, forse era dentro di me da molti anni. Pietro è il lato oscuro che ho sempre represso. In ognuno di noi alberga un vecchietto rompicoglioni e dispotico. Pietro ha la risposta spicciola quando serve, possiede il vaffanculo facile, quello che vorresti dedicare al prepotente di turno, al collega, alla moglie pedante. Pietro Santini è uno spirito libero che, ormai vecchissimo, si guarda indietro ed è fiero della vita che ha condotto. Senza responsabilità, senza impegni. Nella sua vita ha detto molti no, questo gli ha giovato. È invecchiato fuori ma si sente giovane dentro. Guarda gli altri con disprezzo e conduce una vita in estrema solitudine. Sul lato ironico invece mi somiglia tantissimo, io amo ridere e far ridere, posseggo una sottile ironia che mi ha anche aiutato a superare momenti difficili.

 

Raccontaci un po’ la trama del romanzo facci venir voglia di leggerlo. Poi raccontaci anche cosa sono questi equilibri in cui si trova a vivere Pietro. In quale genere potrebbe essere inquadrato La teoria degli equilibri?

Osservando il mondo di oggi viene da chiedersi : Ma vale la pena correre tanto? È proprio così necessario sbattersi per arrivare primi? Se ci accomuna un destino finale a cosa è servito correre?

Pietro ha costruito la sua  personale teoria, la sua filosofia di vita, su questo concetto. Non ha mai corso in vita sua, ha sempre rallentato il passo mandando gli altri avanti. Ora è arrivato al capolinea e comincia tirare le somme della sua strana esistenza. Attraverso continui flashback ripercorre la sua vita. È un uomo finemente ironico, che usa l’arma del cinismo contro ogni cosa. Essere Pietro Santini vuol dire non avere preconcetti, non essere ipocriti e vivere la vita che si vuole senza pressioni senza condizionamenti.

Immaginate di vivere tutti in un equilibrio precario, immaginate di camminare su di un lago ghiacciato e scricchiolante. Tutte le sicurezze che ci siamo costruiti non contano, siamo tutti a rischio, il fato, il destino è sopra di noi. Non siamo gli artefici del nostro domani ma siamo solo tanti treni che percorrono binari diversi ma che raggiungono la stessa meta. Ogni volta che un equilibrio si rompe si rischia di cadere e tocca ricominciare daccapo, nessuno può sapere se il nuovo assetto, il nuovo equilibrio appunto, sarà bello o brutto, se sarà lungo o corto o se magari non c’è ne saranno altri. Per questo motivo Pietro vive un’esistenza ai margini della società. È un misantropo convinto, aspetta solo di morire ma intanto si gode il presente sempre in punta di piedi, sempre in attesa del prossimo equilibrio.

 

Pietro Santini, parole sue (cioè tue), è un vecchio bastardo impertinente cinico e opportunista. Io mi sono divertito un sacco a leggere le sue imprese. Sono anche sicuro che gente cosi esista veramente, certo a pensarci avere a che fare con un tipo simile deve essere alquanto problematico. Nel finale però questa sua vena sarcastica e cinica si perde un po’ per lasciare spazio ad una linea più morbida (sto nel vago per non spoilerare). Perché questo cambio di rotta? Io personalmente preferivo il Pietro misantropo e irriverente.

Perché in ognuno di noi, perfino in un bastardo impertinente come Pietro, si nasconde il bene. Ogni uomo è un abisso, l’animo umano è molto più profondo di quello che pensiamo. Anche un personaggio odioso, come il protagonista del libro, scopre un lato del proprio essere a lui sconosciuto. Un turbinio di eventi metterá scompiglio nella sua vita. In una sola settimana sará costretto a rivedere tutto, un vecchio equilibrio si sgretola e il vecchio Pietro si ritrova al punto di partenza.

 

Progetti futuri? Stai già lavorando a qualcosa o ti stai godendo il momento? Ci sarà ancora Pietro Santini protagonista in una delle tue prossime opere?

Ho pensato alla Teoria degli equilibri come ad una saga. Sarà composta da tre volumi. Il secondo è già in lavorazione. Avevo troppe cose da dire e un solo libro non mi sarebbe bastato. Spero di bissare il successo del primo, spero anzi di migliorare e di perfezionare sempre di più la tecnica narrativa.

 

Ultime due domande. Quelle che nelle interviste qui a giallo e cucina non possono mai mancare. La prima: per fare onore alla seconda parte del nome del blog ti chiedo quale potrebbe essere il piatto preferito di Pietro Santini? Lui mangia, da quando è rimasto solo, unicamente cibo preconfezionato che ha bisogno solo di un rapido passaggio al microonde. Ma conosce bene il buon cibo, prima la nonna poi Ramona lo hanno viziato non poco. Tu cosa pensi possa preferire?

Penso ad uno spaghetto aglio olio e peperoncino. Si tratta di un piatto semplice, facile da preparare, a prova di Pietro, ma buonissimo.

 

La seconda: consiglia un libro, due, tre, che noi lettori secondo te non possiamo proprio lasciarci sfuggire.

Ho amato moltissimo un libro di Erri De Luca. Si chiama Montedidio , si tratta di un libro fantastico, ironico, ambientato in una Napoli ricca di folklore e di tradizioni. Saper scrivere come Erri De Luca sarebbe il mio sogno, spero un giorno di arrivare ad avere un decimo delle sue capacità.

 

Ti ringrazio della bella chiacchierata. Se vuoi puoi aggiungere qualcosa che magari ritieni importante far sapere ai lettori….

Senza sembrare troppo autoreferenziale vi dico di acquistare il mio libro. C’è tanto bisogno di ridere, specie in questi giorni tristi che l’umanitá sta vivendo. Io non ho la soluzione ma posso farvi trascorrere qualche ora in allegria, non mi sembra poco vi pare?


domenica 28 agosto 2022

INTERVISTA A SIMONE CENSI

 





Ciao Simone, benvenuto nello spazio interviste del blog Giallo e cucina. Grazie per aver accettato il nostro invito. È la prima volta che ho il piacere di chiacchierare con te. Sono contento di questa opportunità perché credo tu abbia le potenzialità per diventare un ottimo scrittore. La tua “carriera” è solo agli inizi ma promette bene. Approfitterò di questo momento per torturarti un po’ con varie domande sulle tue abitudini in campo letterario, oltre, ovviamente, a parlare dei tuoi libri.

 

Inizierei con la domanda più ovvia, quella della presentazione. Quando sei nato e dove vivi, cosa fai nella vita oltre a scrivere? Dicci un po’ di te.

Nato alla fine dei temibili anni settanta, sono marito e padre della bella Martina, un paio di lauree e lavoro nel campo agricolo industriale. Sono molto casa e bottega, scrivo nei ritagli di tempo e di questi ce ne sono sempre meno, ma bastano per andare a infastidire i blogger come te con le follie che metto su carta.

 

Oltre a scrivere sei anche un lettore? Hai un genere preferito?

Anche questo piacere viene gestito nel poco tempo libero che rimane. Di base ho una approfondita conoscenza del romanzo gotico, da Walpole, Shelley, Stoker, Polidori e Poe per approdare poi a Lovecraft anche se lui definiva le proprie opere weird. Crescendo mi sono appassionato ai grandi classici come Cent’anni di solitudine, Il Maestro e Margherita, Q e tutte le opere di Eco tra le quali preferisco Baudolino. Da quando sono padre mi interessano i libri rivolti all’infanzia e leggo volentieri testi di autori sconosciuti come me in cerca di pubblicazione. È come cercare perle nelle cozze, dicono, in realtà posso assicurare che si trovano.

 

Da dove nascono le tue storie? Elabori notizie che leggi o sono esclusivamente di fantasia? I personaggi del tuo libro sono stati ispirati da persone reali?

Le storie partono da una scintilla. GIALLO SOLIDAGO– Il rimorso del ciocco parte da un post di un mio amico del liceo indirizzato a un altro compagno di classe di quei tempi. Il post diceva (testuale in quanto l’ho salvato in occasione che qualcuno tipo TU me lo venissi a chiedere): “Il rimorso del Ciocco, ovvero, trovarsi a bruciare ciocchi che ti guardano e chiedono nuova vita. È una bruttissima malattia che non va d’accordo con l’inverno.” Da qui l’ambientazione invernale di Borgo Alba. Poi ho messo insieme alcuni lavori che avevo studiato ma mai realizzato in precedenza. La storia familiare di Morelli è tratta da altri lavori che avevo lasciato in sospeso e mai terminati, per la serie che il materiale di uno scrittore è come il maiale, non si butta via nulla. Allo stesso modo, anche nel primo libro GIALLO SOLIDAGO tutti i cadaveri ritrovati lungo la rete ferroviaria e descritti minuziosamente nel romanzo, sono elencati nel file delle persone morte e non riconosciute dal 1970 in poi, reperibile liberamente sul sito del Ministero dell’Interno.

 

Hai solitamente una scaletta prefissata o ti fai condurre dalla narrazione?

Nessuna scaletta, è una questione di principio e ci tengo molto. L’intento principale di questi romanzi è quello di non fornire mai al lettore il punto di vista dell’assassino. In qualsiasi punto del romanzo il lettore ha a disposizione le stesse identiche informazioni che ha il Commissario Morelli. Non solo. In qualsiasi punto del romanzo, il lettore, Morelli e soprattutto chi scrive, si trovano di pari passo. Finché il romanzo non termina non ho idea di chi possa essere l’assassino e di come verranno svolte le indagini, proprio per questo il romanzo assume una forma strana. È un po’ come immaginare un albero che dal tronco ramifica. Alcuni rami fioriscono e poi portano il frutto, altri no. Quelli che non germogliano subito rimangono buoni come gancio per le future indagini.

 

Non può mancare nelle mie interviste una domanda sulle case editrici. Domanda forse un po’ scomoda per voi scrittori ma che a me incuriosisce sempre molto. Vedo che per la pubblicazione delle tue opere ti sei sempre appoggiato a case editrici. Sovente piccole, anche se immagino molto ambiziose ed agguerrite. Perché questa scelta? Come sei riuscito a farti pubblicare il tuo primo romanzo praticamente da sconosciuto? Te lo chiedo perché molti scrittori che conosco non riescono proprio ad entrare nel giro delle case editrici benché siano autori di buonissimi romanzi. Loro li propongono ma spesso neppure ottengono una risposta.

Niente di scomodo, solo la verità. Amico, Nemico è stato pubblicato dalla Montag Edizioni in quanto finalista in un loro concorso. Mi hanno fatto la proposta e non potevo mancare l’occasione. Buona la prima, anche se ho incominciato a “scrivere per pubblicare” nel 2008 e la prima pubblicazione risale al 2015. Oltretutto è una casa editrice della mia zona e mi piaceva molto l’idea. Il Garzone del Boia con la Elison Publishing è stato frutto di un incontro. Erano dieci anni che riscrivevo il romanzo in attesa di trovare la giusta alchimia. Mi hanno fatto la proposta giusta nel momento giusto, ovvero quando non vedevo l’ora di passare ad altro. Il primo libro della serie GIALLO SOLIDAGO con la 0111 Edizioni è stato pubblicato in quanto finalista al concorso indetto da loro. Era qualche anno che ci provavo con altri lavori, alla fine il destino ha voluto che vincesse la resilienza del Commissario Morelli. Per il secondo, GIALLO SOLIDAGO – Il rimorso del ciocco, è stata una cosa diversa. Sono venuto a conoscenza di questa Casa Editrice, Saga Edizioni, ho visto come si muove in campo editoriale, l’impegno e la passione che ci mettono. Sono una bella squadra e faranno di sicuro strada. Una loro editor è della mia zona, gli ho proposto il romanzo, è andata. Fanno un ottimo lavoro, un ottimo prodotto, è una casa editrice giovane all’anagrafe, dinamica ma si muove con l’ottica della grande CE. Spero solo di essere all’altezza.

 

Iniziamo a parlare finalmente dei tuoi libri. Il primo fu Amico, Nemico. A cui poi seguì Il garzone del boia e la partecipazione con dei racconti a varie antologie. Correggimi se sbaglio. Poi hai creato il commissario Morelli…ti sei indirizzato su un genere preciso che chiamerei…humor giallo (sorrido). Con lui hai svoltato decisamente. Raccontami i tuoi inizi poi parleremo diffusamente di Giallo Solidago.


Come dicevo ho incominciato a “scrivere per pubblicare” nel 2008. Prima scrivevo per mettere nel cassetto, ma visto che non butto mai nulla ogni tanto quel cassetto lo riapro volentieri. A volte ci trovo cose fatte e finite, altre volte ci trovo qualcosa da poter inserire in un lavoro in corso. Ho iniziato con poesia e racconti brevi, soprattutto genere gotico. Ho partecipato a una montagna di concorsi, uno ogni tre giorni per anni (media verificabile), è stato divertente e pieno di soddisfazioni. Poi molti di questi racconti sono stati raccolti e pubblicati nel 2012 dalla D’Accolti Editore, libro oramai introvabile. Da quel momento ho incominciato a scrivere racconti più lunghi fino a quando uno in particolare non è diventato un vero e proprio romanzo: Amico, Nemico.

Poi è arrivata la travagliata, per quanto riguarda le tempistiche, storia del Garzone del Boia. Nel frattempo la vita continua, ci si sposa si mette su famiglia. I tempi a disposizione per scrivere si riducono, occorre trovare un espediente per continuare, occorre scrivere un romanzo ma con i tempi e i ritmi del racconto. GIALLO SOLIDAGO è la risposta, un modo agile di narrare, dialoghi veloci, non dilungarsi sulle descrizioni ma far raccontare le cose direttamente ai personaggi, non avere paura di essere troppo concisi.

Humor giallo mi piace. Ogni scrittore, grande o piccolo, pensa di aver scritto un capolavoro. Poi arrivato il momento di rileggere la propria opera prende campo quella vocina bastarda che tutti noi imbrattacarte abbiamo in testa, una vocina stronza e saccente che ti prende per il culo e ti dimostra agitando il ditino che hai scritto una emerita cagata. In occasione del primo libro della serie GIALLO SOLIDAGO, nel dialogo tra lo scrittore e la vocina che ho in testa, vengono fuori tutte le motivazioni del caso. Vogliono scrivere un giallo perché insieme al romance è il genere più venduto ma si rendono conto benissimo di non essere in grado di farlo quindi la buttano in “caciara”. Puntano a differenziarsi dalla massa di testi che affollano le librerie, sovvertono tutti i canoni che vanno a delineare il Giallo Mediterraneo. Un Commissario impreparato e guascone, aiutato in tutto e per tutto dal fedele Segapeli, la cui unica dote sembra essere la resilienza, innamorato della moglie e che a differenza di tutti gli altri Commissari, che si cibano di specialità tipiche della zona nei retro bottega di favolose trattorie, mangia cibo cinese d’asporto e combatte a suon di insulti con Ye il ragazzo delle consegne a domicilio.


 

Perché Giallo Solidago? A cosa si riferisce? E’ forse il nome che hai voluto dare alla serie con Morelli protagonista?


GIALLO SOLIDAGO definisce la serie (per adesso siamo a due…) delle indagini del Commissario Morelli. Solidago per un duplice motivo. È una particolare tonalità del giallo, giusto per distinguersi da tutti quanti gli altri e Solidago è anche l’erba spontanea che dà quella inflorescenza gialla che si trova ai lati delle strade tra la primavera e l’estate. Per molti è soltanto erbaccia e come Morelli: “non muore mai!”


 

Il commissario Morelli è un investigatore completamente fuori dagli schemi. Dissacrante, incapace, scorretto, irriverente. Ama la moglie ma lei lo detesta. Come o da chi ti è venuta l’ispirazione per crearlo? Parlaci un po’ di lui.


Il Commissario Morelli, come la serie GIALLO SOLIDAGO, nasce da un semplice post di un amico all’interno di un gruppo di scrittori. IL CAZZEGGIO DI IO SCRITTORE (giusto per non fare pubblicità). Il post diceva testualmente (anche in questo caso lo avevo salvato in attesa che arrivassi TU a chiedermelo):

“Sto leggendo un giallo ben scritto e ben narrato MA... non darò un voto altissimo e

sapete perché? Ora ve lo spiego: io non ne posso più di tutti questi commissari

che spuntano come funghi e sono, di norma, tutti uguali. Anche il commissario

in questione è, a mio parere, un abile cocktail shakerato con un quinto di

commissario Ingravallo, un quinto di Montalbano e robuste dosi di Schiavone e

Lojacono. Cerco di spiegare meglio il cliché: al giorno d’oggi un commissario

Insomma, quanto basta per farmi urlare BASTA e metter mano alla pistola.”

La ricetta era servita ma erano sbagliate le dosi. Ho preso tutti i commissari, ispettori e tenenti che hanno fatto storia nel genere giallo mediterraneo e per ognuno di loro ho elencato su file Excel le principali caratteristiche. Poi ho messo tutto in ordine alfabetico e ho cancellato i doppioni (numerosi). Per ogni voce ho trovato il contrario e dal risultato, modellando quella massa informe, un po’ come in Frankenstein Junior diretto da Mel Brooks, ho creato il Mostro. Magari urlando “Si… può…fare!

 

Con Il rimorso del ciocco sei alla sua seconda indagine. Questa vicenda, come la precedente, sono

ambientate in un piccolo paese marchigiano, Borgo Alba. Qui in particolare dovrà destreggiarsi tra speculatori, assassini e sette sataniche. No non vorrei impressionare i nostri lettori. Non c’è nulla di orripilante anzi il filo conduttore è l’ironia con dialoghi brillanti e dissacratori. D’altronde con elementi come Morelli, Segapeli e Luzerda non potrebbe essere differente. Anche i nomi dei vari personaggi minori sono tutto un programma. Insomma hai proprio deciso che questa debba essere una serie più che mai divertente e rilassante, che offra svago, buon umore e…un giallo da risolvere. Raccontaci la trama e se vuoi qualche nota sui personaggi principali.


È una Borgo Alba in versione invernale. Abbiamo un morto in circostanze particolari, Luzerda punta a chiudere il caso nel modo più comodo possibile.

Morelli non ci sta, non per amore della verità ma perché l’altro gli sta sulle balle. Poi andando avanti si

trova in mano un caso più grande di quello che poteva immaginare.

Si incomincia a parlare di sette sataniche e messe nere, tutte le evidenze sembrano coincidere

in questo schema tanto che un povero cristo non può nemmeno morire di infarto in santa pace. A questo si aggiunge il furto delle ossa al cimitero di Cerresi (Cerreto d’Esi), l’affare si complica e soprattutto si intreccia con false piste che magari non portano a niente, ma come dicevo prima sono rami che forse daranno i loro frutti con il seguito della serie. In tutto questo si delinea un nucleo di personaggi che ritroviamo anche nella prima indagine, oltre al Commissario Morelli e Segapeli abbiamo gli antagonisti, Il questore Panzanera e il vice Luzerda. Il medico legale Passacantando, che ho sempre sognato di farlo bene come fa Vichi con Diotivede. Poi c’è il bar Daoscare dove si incontrano i personaggi tipici del paese, primo tra tutti il trio Scannadinari, Fattapposta e Seccafieno e poi via via tutti gli altri fino ad arrivare a quelli creati appositamente per questa indagine come le sorelle Paternoster che essendo abitanti veri e propri di Borgo Alba compariranno, anche, in un possibile seguito (sperando che ci sia.)


 

Ultime due domande. Quelle che nelle interviste qui a giallo e cucina non possono mai mancare. La prima: per fare onore alla seconda parte del nome del blog ti chiedo quale potrebbe essere il piatto preferito del commissario Morelli? Lui da quando la moglie l’ha lasciato mangia solo robaccia cinese da asporto ma prima quando erano una coppia felice cosa immagini preparasse Pina al marito investigatore?


Pina non lo ha lasciato. Lo odia perché l’ha costretta a seguirlo in un posto sperduto come Borgo Alba ma non lo ha lasciato. Piuttosto combatte una guerriglia quotidiana per fiaccarlo, oltretutto senza mai

comparire in prima persona, ma non ha la minima intenzione di lasciarlo. Probabilmente lo ama, in uno dei tanti modi possibili, ma non lo possiamo sapere. Questo a lui basta, lui è innamorato di lei e questo è un dato di fatto. Si può lamentare, prendersela a ridere, maledire il cielo ma l’unica cosa che vuole e potertornare da lei quando viene sera. E magari trovarla anche.

Morelli questo amore/odio con Pina lo ha anche con il cibo, è una dualità presente in ognuno di noi. Odia il cibo cinese perché a lungo andare gli è venuto a noia e lo odia anche per il rapporto scoppiettante con il ragazzo dagli occhi a mandorla delle consegne. D’altro canto non la considera robaccia ma dimostra di essere un fine conoscitore ordinando una Marmitta Mongola, piatto che difficilmente si trova all’interno di un normale menù da ristorante. Salto la risposta del piatto preferito per non dare un vantaggio al lettore. Il Commissario Morelli non è di Borgo Alba, lo hanno trasferito a forza, non dico mai da dove viene, piuttosto dò indizi, tracce da seguire…


 

La seconda: consiglia un libro, due, tre, che noi lettori secondo te non possiamo proprio lasciarci sfuggire.


Mi sento di consigliare romanzi sempre appartenenti al genere giallo, ma che riescano in qualche modo ad andare fuori da quello che si è abituati a leggere. Ce ne sono molti, sia nelle grandi sia nelle piccole CE, si sta sviluppando un movimento sottotraccia che tenta di scardinare quello che è lo standard. “Gutta cavat lapidem”, un buon trapano anche.


 

Ti ringrazio della bella chiacchierata. Se vuoi puoi aggiungere qualcosa che magari ritieni importante far sapere ai lettori….


Vorrei soltanto aggiungere che nessun Defender è stato maltrattato nella realizzazione di questo romanzo, non ce ne sarebbe stato bisogno. La Pandarmata comanda! (n.d.r. leggete il libro e capirete)

 


mercoledì 6 aprile 2022

INTERVISTA A MATTIA BAGNATO

 





Oggi nello spazio interviste ho il piacere di ospitare l’autore Mattia Bagnato. Benvenuto nel blog Giallo e Cucina e grazie per avermi dedicato un po’ del tuo tempo.

Ciao Mattia. Sono molto contento di rivederti e di poter parlare ancora una volta del tuo romanzo. L’altra volta ti ho intervistato per il mio blog. Facemmo una lunga chiacchierata ma purtroppo temo che non furono in molti quelli che la lessero. Ora che finalmente il tuo romanzo ha fatto il grande salto avrai la possibilità di dialogare con me in un luogo virtuale decisamente più confortevole e seguito del mio angusto blog essendo ospite di giallo e cucina. Finalmente quello che era solo un nostro grande auspicio si è avverato. La Golem edizioni ha intuito le grandi potenzialità del tuo libro, che ora avrà una distribuzione capillare in libreria, dove è giusto che stia (giudizio personale), e potrà essere presentato ai lettori come merita. Detto questo oggi ne approfitterei subito per ripetere in parte le domande che già ti feci ponendo in questo caso un accento maggiore sul tuo romanzo. Però, prima di parlare diffusamente de Il caso Innocence, e di tante altre cose interessanti, ti faccio qualche domanda di carattere generale, per conoscerti un po’ meglio. Sono domande forse un po’ banali, ma “necessarie” come dico sempre io. Pronto? Allora Mattia raccontaci un po’ di te dove nasci e vivi, la tua formazione, qual è il tuo lavoro e poi dicci come nasce l’idea di scrivere romanzi.

Innanzitutto permettimi di ringraziare ancora te e gli altri curatori del blog Giallo e Cucina. Sono molto felice di fare di nuovo una chiacchierata insieme, a distanza di quasi due anni dall’ultima volta (sembra ieri, vero?). Da uno scrittore ci si potrebbero aspettare chissà quali aneddoti interessanti, ma a essere onesti la mia vita è molto meno avvincente delle storie che un lettore cerca in un libro. Sono nato a Genova, città nella quale tutt’ora vivo e lavoro, la bellezza di ventinove anni fa. Che sono quasi trenta, ma adesso non voglio pensarci. Per guadagnarmi da vivere faccio il fisioterapista, ma è da alcuni anni ormai che coltivo l’insano sogno di farmi conoscere per le storie che racconto. È qualcosa che, forse, ho capito un po’ in ritardo, ma non ho mai avuto le idee molto chiare su cosa volessi fare da grande.

La pubblicazione nel 2016 del mio primo romanzo, “Alfa privativo”, seppur per varie ragioni non sia stata l’esperienza che mi ero aspettato, mi ha finalmente aiutato a capire quali fossero le mie vere ambizioni. È stato lì che sono diventato consapevole del mio amore per la scrittura.

 

Oltre a scrivere sei anche un lettore? Hai un genere preferito? Preferisci gli ebook o il libro cartaceo?

Assolutamente sì. Sono convinto che leggere molto sia la migliore scuola per imparare a scrivere, ma non solo: ci insegna a pensare, a conoscere il mondo nel quale viviamo, a crescere come persone.

Sto guardando la mia libreria in questo momento e, tralasciando l’opera completa di Stephen King, che meriterebbe un capitolo a parte, mi pare di trovarci un po’ di tutto: fantasy, thriller, fantascienza, narrativa… Quando un libro è scritto bene, il genere letterario passa in secondo piano. L’ebook ha i suoi pregi, e non sono pochi, ma sono ancora convinto che il cartaceo rappresenti un altro mondo. È un po’ come guardare un film al cinema o sullo schermo di un cellulare. La differenza c’è, e si sente.

 

Hai solitamente una scaletta prefissata o ti fai condurre dalla narrazione?

In genere parto da un’idea di massima che include un inizio, una fine e alcune tappe intermedie, ma come in ogni viaggio mi aspetto di incontrare degli imprevisti. E, a pensarci bene, sono proprio quegli imprevisti a rendere appassionante la scrittura. Che divertimento ci sarebbe se sapessi già tutto quello che deve succedere nelle prossime duecento, trecento o più pagine che scriverò? Preferisco accompagnare i miei personaggi passo passo, e godermi il viaggio assieme a loro.

 

Scrivi quando riesci o preferisci un momento particolare della giornata?

Purtroppo devo accontentarmi dei momenti in cui torno dal lavoro e riesco a sedermi davanti al computer, cosa che accade più raramente di quanto vorrei. L’unico lato positivo della quarantena, se proprio vogliamo trovarne uno, è stato avere più tempo da dedicare alla scrittura. Riuscivo a ritagliarmi del tempo sia al mattino che al pomeriggio, così da non trovarmi quasi mai a corto di idee, dal momento che quelle che avevo riuscivano a maturare prima che mi rimettessi all’opera. Nonostante questo, però, puoi stare certo che non ripeterei l’esperienza, no davvero.

 

Tu sei anche un ottimo bassista la domanda quindi è praticamente obbligata. Quando scrivi deve esserci assoluto silenzio o ti concentri meglio con una buona base musicale?

La mia mente è stregata dai libri, ma il mio cuore batte al ritmo della musica. Se dovessi elencare tre cose delle quali non posso fare assolutamente a meno, sarebbero senz’altro i libri, la musica e il cinema. Quindi sì, capita che ascolti un cd mentre scrivo (sono un po’ all’antica, per me la musica in streaming non esiste nemmeno, evviva i compact disc!), ma in linea di massima lavoro meglio con il silenzio. Se qualcuno parla nella stessa stanza in cui sto scrivendo, poi, tanto vale gettare la spugna: non riesco a battere una sola frase di senso compiuto. È un grosso limite, ahimè.

 

Come abitudine una mia domanda verte sempre sulle case editrici. Tu pubblicasti inizialmente il tuo romanzo (era il 2020) col self publishing perché, mi confessasti, nessun editore al quale lo proponesti accettò di pubblicarlo. Non so quanto abbia funzionato questa strada io stesso mi accorsi del tuo libro un po’ casualmente. Anche se io sono un grande tifoso dell’auto pubblicazione mi rendevo conto che quest’opera, in quell’ambito era molto sacrificata. Come e quando è arrivata la Golem? Cosa l’ha fatta decidere di scommettere su di te?

Il self publishing ha da un lato il pregio di permettere a tutti di mettersi in gioco con il proprio lavoro, ma credo che questo sia anche il suo principale difetto: non ci sono filtri e, spesso, si finisce con il pubblicare il proprio libro senza avere la più pallida idea di che cosa si stia facendo. C’è anche da dire che attirare l’interesse delle case editrici è più facile a dirsi che a farsi, specialmente se sei un autore alle prime armi e senza alcuna referenza.

Io ho sempre desiderato pubblicare con un vero editore ma, una volta messo da parte l’orgoglio, ho capito che avevo bisogno di una mano per realizzare il mio obiettivo. Ed è qui che è entrata in gioco Germogli Letterari, l’agenzia che mi ha supportato e accompagnato in questo percorso. Antonella, che ormai a questo punto mi piace definire affettuosamente la mia editor e agente (spero non me ne voglia), è stata davvero professionale nell’aiutarmi a migliorare il romanzo per poi presentarlo agli editori. I suoi consigli mi hanno fatto crescere molto come autore, e lo stanno facendo tutt’ora.

Se oggi “Il caso Innocence” si trova sugli scaffali delle librerie, in gran parte è anche merito suo e del suo team.

 

Passiamo finalmente a parlare del romanzo, Il caso Innocence. Raccontami un po’ la trama, chi sono i personaggi principali. Mettici un po’ di curiosità addosso.

Mi verrebbe quasi da dire che si tratta della classica storia del Bene contro il Male, solo che in questo particolare caso del Bene non ce n’è neppure l’ombra. Si parla di uomini e di donne, persone ordinarie in lotta con i propri demoni e un’Oscurità che pervade la cittadina in cui vivono.

Clara Innocence, la nostra antieroina, è una di loro. Accusata di aver commesso un efferato omicidio, si trova a dover raccontare la propria storia alla dottoressa Page, il perito psichiatrico del tribunale, ma non per discolparsi, quanto piuttosto per svelare le ragioni che l’hanno spinta a compiere un gesto tanto brutale. E quello che ha da raccontare, purtroppo per la dottoressa, non è affatto facile da accettare, non finché ci si ostina a guardare il mondo con gli occhi della ragione.

Per fortuna, a differenza sua, noi lettori abbiamo un enorme vantaggio, perché quando leggiamo possiamo decidere di credere a qualsiasi cosa, anche se è qualcosa che ci fa paura.

 

Le città teatro delle vicende narrate nel libro, sia Emerald falls che Zenith, sono luoghi di fantasia. Una scelta precisa o è stata una decisione casuale?

Preferisco sempre ambientare le mie storie in luoghi di fantasia. Ammiro chi riesce a descrivere impeccabilmente un luogo reale, a fartelo vivere come se lo stessi vedendo con i tuoi stessi occhi, a farti sentire i suoi profumi e i suoi suoni, ma credo di non essere quel genere di narratore. Se la storia che sto raccontando è inventata, allora preferisco completare l’opera e inventarmi anche lo scenario in cui ambientarla.

 

Tu sei giovanissimo, quando pubblicasti per la prima volta il romanzo col titolo, lasciamelo dire, L’innocenza non esiste, ancor di più. Come mai hai pensato ad una storia cosi? Dove tutti i personaggi hanno le mani sporche, dove per l’appunto l’innocenza non esiste e di personaggi positivi io ne ricordo solo uno: la signorina Green? Si stenta a credere possa essere stato scritto da un ragazzo neppure 30enne. Voglio dire che dovrebbero essere le persone con ormai 50 anni come me ad avere una visione della vita così cinica e disincantata meno propense al sogno e alla speranza tu invece dovresti avere solo pensieri positivi ed aspettative importanti. Cosa ti ha dato l’ispirazione per scrivere questo romanzo, bellissimo ma anche cosi doloroso? Riesci a raccontarmi come è nata questa storia? Cosa ti ha spinto a scriverla?

Una fotografia. È partito tutto da lì, direi. Mi sono immaginato una foto, nella quale una giovane donna sedeva ammanettata, dandomi le spalle. A quel punto mi sono chiesto: chi è questa ragazza? Perché è seduta in quella stanza, con le manette ai polsi? A volte bastano poche domande per fare sì che l’immaginazione spicchi il volo, e questo è stato uno di quei casi.

E sì, è vero, si tratta di una storia triste, ma le storie tristi sono sempre state quelle che mi affascinavano di più. Per quanto riguarda i pensieri positivi, temo che ormai siano troppi gli stimoli che ci portano a vedere il mondo in modo cinico e disincantato. Ma, parlando di letteratura, non credo che questo sia necessariamente un male: è da storie come questa che possiamo trarre gli insegnamenti migliori, ci insegnano a cercare la luce anche quando intorno a noi non riusciamo a vedere altro che buio.

 

Qualche personaggio ha avuto origine pensando a persone reali?

Più che i personaggi, ci sono delle situazioni per le quali mi sono ispirato a eventi reali che mi sono accaduti in passato. Ma non chiedermi quali sono, perché tanto non parlerò nemmeno sotto tortura. Muto come un pesce.

 

Secondo te c’è un pubblico specifico per questo libro?

Non credo, anche perché io, per primo, non mi pongo limiti quando scrivo un romanzo. So benissimo che la storia potrebbe portare ovunque, anche in territori che non mi sarei immaginato in un primo momento. Quindi forse sì, questo potrebbe essere l’unico requisito del mio pubblico ideale: non avere paura di lasciarsi trasportare dall’immaginazione, di confrontarsi con qualcosa di inaspettato.

 

La disanima del romanzo Ia chiuderei qui. Ma tu se vuoi aggiungere qualcosa di importante, che non abbiamo ancora affrontato, fallo pure.

Beh, quello che posso dire è: leggete il libro e, quando lo avrete fatto, scrivetemi se vi va di parlarne. Sono sempre felice di confrontarmi con i miei lettori, la trovo una grande opportunità di crescita.

 

Lasciami chiederti ancora un paio di cose. Preferisci di più i finali accomodanti (col lieto fine), o preferisci lasciare qualcosa di non concluso o poco definito? Ti piacciono i finali spiazzanti ed un po’ cinici o preferisci il vissero tutti felici e contenti?

Credo che il finale di “Il caso Innocence” rappresenti per me l’idea perfetta del finale di un romanzo: la storia arriva alla sua conclusione, il cerchio si chiude, eppure ti rendi conto che c’è ancora qualcosa che ti rode dentro, che ti ci fa pensare anche dopo che hai messo via il libro e hai preparato quello successivo sul comodino. E, chissà, magari ti spingerà a leggere il romanzo una seconda volta, e a parlarne con i tuoi amici.

 

La domanda per me più importante: stai scrivendo qualcosa o magari hai già un libro in fase di pubblicazione? Cosa ci dobbiamo aspettare? Perché mi devo aspettare qualcosa vero?

Ho finito di scrivere un romanzo, il primo di una trilogia fantasy, e attualmente ci sto lavorando con la mia editor. Non sarà un lavoro veloce, il romanzo è piuttosto corposo e complesso, ma sono fiducioso. Credo ne verrà fuori una gran bella storia.

Nel mentre sto scrivendo anche il mio quarto romanzo, ma per quanto riguarda questo sono ancora agli inizi, quindi preferisco non sbilanciarmi troppo.

Insomma, ho già in mente il mio percorso per i prossimi cinque o sei romanzi, sempre che riescano tutti a seguire le orme di “Il caso Innocence”, cosa che mi auguro con tutto il cuore.

 

Sei ospite del blog Giallo e cucina e qui le interviste terminano sempre con due domande obbligatorie: la prima non è proprio una domanda ma un pensiero gentile. Consiglia due/tre romanzi che ti hanno colpito, o a cui sei particolarmente legato, e che vorresti che tutti leggessero. Se vuoi anche il perché.

Cavoli, non è affatto facile…

Beh, ormai è noto a tutti il mio amore per il maestro Stephen King, quindi non posso non citare almeno una sua opera, anche se pescarne soltanto una nell’oceano della sua bibliografia è davvero difficile. Opterei per “22/11/63”, perché ricordo che quando lo lessi me ne innamorai perdutamente.

Dal momento che sto lavorando alla mia personale trilogia fantasy, mi permetto anche di consigliare “La ruota del tempo”, la fenomenale saga scritta da Robert Jordan. D’accordo, non è un solo romanzo ma ben quattordici (sì, lo so, è un numero che fa paura), ma credo sia davvero una delle massime espressioni del fantasy a livello mondiale. E non parlo di certe cazzate (si può dire?) young adult, ma del fantasy serio, quello che diventa vera e propria letteratura.

Per ultimo cito un romanzo che praticamente nessuno conosce tranne me, cosa della quale mi dispiaccio molto, perché ritengo che l’autore sia un vero e proprio genio: parlo di “Il mondo dopo la fine del mondo”, di Nick Harkaway. Se vi capita di trovarlo, datemi retta, compratelo e leggetelo. Ne vale la pena.

 

E poi, per onorare il termine cucina nel nome del nostro blog, un piatto, una pietanza a cui sei particolarmente legato o che semplicemente ti piace molto mangiare.

Questa è quasi difficile come la domanda precedente, ahahah!

A guardarmi non si direbbe, ma adoro mangiare. Da buon italiano non posso fare a meno del mio piatto di pasta quotidiano, sebbene il mio amore per il cibo non si fermi ai nostri confini nazionali.

Stavolta, però, voglio restare sul semplice, e allora ti dico questa: una bella spaghettata aglio, olio e peperoncino. Una ricetta semplicissima che non mi stufa mai. Ora che ci penso mi sta venendo una fame…

 

 

Ti ringrazio della bella chiacchierata e della disponibilità, ti auguro tanta fortuna.

Grazie ancora a te, sia per l’intervista che per il sostegno. Speriamo di fare presto un’altra chiacchierata come questa, perché almeno vorrà dire che una nuova storia è riuscita a raggiungere i lettori.

Nel frattempo spero che “Il caso Innocence” riesca a farsi strada nella giungla del mercato editoriale, io incrocio le dita.

 

 

Di nuovo grazie. Complimenti ed a presto.

 


martedì 15 marzo 2022

INTERVISTA A FABIO RENNANI

 




Oggi nello spazio interviste abbiamo il piacere di ospitare l’autore Fabio Rennani. Benvenuto nel blog Giallo e cucina e grazie per avermi dedicato un po’ del tuo tempo.

Prima di parlare diffusamente dei tuoi libri, e di tante altre cose interessanti, ti faccio qualche domanda di carattere generale, per conoscerti un po’ meglio. Sono le domande di routine, quelle che io faccio soprattutto agli autori emergenti o che ho il piacere di incontrare per la prima volta. Sono domande forse un po’ banali, ma indicative per conoscere meglio lo scrittore che ho di fronte. Pronto? Allora Fabio raccontaci un po’ di te dove nasci e vivi, la tua formazione, qual è il tuo lavoro e poi dicci come nasce l’idea di scrivere romanzi.

Ciao Gino e grazie per la grande opportunità che dai agli autori emergenti di farsi conoscere. Il mio nome è uno pseudonimo. Io sono un ingegnere e sono responsabile della logistica di una grande azienda italiana. Sono nato e cresciuto a Roma e l’anno prossimo compirò i fatidici 50 anni. Da quando sono ragazzo ho sempre avuto la passione per le lettere e la lettura e ho una grandissima cultura classica, tanto che arrivato il momento di scegliere l’università ero fortemente indeciso tra un percorso tecnico ed uno umanistico. Alla fine ho scelto la tecnica… e per carità, non me ne pento! Ma la passione è rimasta e quindi ho continuato a leggere di tutto, dai classici alle avventure, dalle poesie ai romanzi. Da qualche tempo mi ero ripromesso di iniziare a scrivere qualcosa di mio… e nel corso del 2021, un giorno mi sono guardato allo specchio e mi sono detto: se non ora quando? Ne è nato in qualche mese un libro e poi subito un altro. Mi sono divertito talmente tanto che ora sto scrivendo il terzo!

 

Oltre a scrivere sei anche un lettore? Hai un genere preferito? Preferisci gli ebook o il libro cartaceo?

Preferisco il cartaceo… l’odore e il fruscio della carta non si batte, tuttavia c’è poco da fare, l’ebook è molto più pratico. Quindi ora leggo per di più in digitale, anche se quello che mi piace, spesso, lo acquisto anche cartaceo.

 

Da dove nascono le tue storie? Elabori notizie che leggi o sono esclusivamente di fantasia? I personaggi del tuo libro sono stati ispirati da persone reali?

In genere si scrive quello che si conosce, quindi le ambientazioni e i personaggi sono rielaborazioni di cose che ho vissuto o che ho conosciuto. Poi ovviamente la fantasia la fa da padrone e quindi rielaboro totalmente le storie, l’ambientazione e le caratteristiche dei personaggi

 

Hai solitamente una scaletta prefissata o ti fai condurre dalla narrazione?

In genere elaboro le storie in mente, non scrivo mai canovacci o schemi. Le parole fluiscono naturalmente quasi tutte in sequenza. E poi ogni idea mi porta ad una nuova idea e quindi il racconto gradualmente prende forma

 

 

Scrivi quando riesci o preferisci un momento particolare della giornata?

Avendo un lavoro impegnativo, una famiglia, due figli, due gatti, scrivo quando riesco, in genere un’oretta al giorno di media. Suddivido l’impegno in due fasi: la scrittura di parti nuove e la correzione di quanto già scritto

 

Per le mie interviste cerco spesso di chiacchierare con autori non ancora noti del tutto, emergenti o esordienti, per cercare di farli conoscere meglio ai lettori. Spesso, molti di loro, scelgono la via della auto pubblicazione per mettere sul mercato il proprio libro. Tanto che io vedo il self publishing un po’ come una sorta di gavetta di passaggio quasi obbligato (o consigliabile) per chi è all’inizio della sua avventura di scrittore. Poi le strade sono due o prosegui col self se, per tanti motivi, ritieni che quella sia la strada a te più congeniale oppure, contando sulla bontà e sul successo del tuo romanzo, attendi la chiamata di una casa editrice. Io stesso tengo molto in considerazione il mondo del self publishing. Non lo ritengo affatto un mercato di serie B. In esso ci sono autori di assoluto rilievo e che meritano un’alta considerazione. Per te affidarti alla pubblicazione in proprio è stata una scelta precisa o necessaria? Parlaci della tua esperienza. Ti avvali di professionisti “esterni” per la copertina, l’editing, l’impaginazione o fai tutto da solo?

Grazie per la domanda, perché è un aspetto che mi piace chiarire. Ho scritto e terminato il mio primo libro Astuti Inganni senza avere la minima idea di pubblicarlo. Volevo che fosse un mio gioco esclusivo, farlo leggere alla mia famiglia e a qualche amico. Così è stato letto da qualcuno che ha iniziato a lodare il mio lavoro e mi ha consigliato di pubblicarlo. Casualmente mi sono imbattuto nel self di Amazon e visto che era semplice e immediato ho provato lì. Non ho mai inviato nulla alle Case Editrici. Per la copertina di Astuti Inganni ho preso un disegno fatto insieme a mio figlio, poi ho impaginato il tutto sul portale di Amazon e non ho utilizzato alcun professionista esterno. I miei libri non sono editati. Per questo in realtà mi ha aiutato molto la mia educazione tecnica: so programmare bene e quindi non è stato un problema l’impaginazione del testo o dell’immagine: ho fatto tutto in un paio di giorni a libro. Per quanto riguarda l’editing, ho ideato un sistema un po’ particolare per fare da solo e ridurre i tempi. Divido l’impegno in due parti: creazione e correzione. Per la creazione utilizzo un file word su cloud già pronto per essere pubblicato e scrivo da ogni supporto: cellulare, tablet o pc accedendo sempre allo stesso file.
Per la correzione e editing, invece indosso una cuffia e mi faccio auto leggere da word il testo tante volte e man mano lo correggo. Alla fine riesco ad eliminare quasi tutti gli errori di battitura, ma anche le ripetizioni, le frasi poco musicali, ecc.

 

Tra l’altro tu ci hai pure messo il carico da 90, perché oltre ad auto pubblicarti hai pensato bene di tradurre personalmente i tuoi libri in inglese così da poter entrare anche in quel mercato. Una decisione abbastanza singolare. Ma poi devono essere anch’essi revisionati? Come funziona, questo aspetto mi incuriosisce molto.

Si è vero, alla fine, come si dice, ci ho preso gusto. Mi sono auto tradotto i libri in inglese. Ho utilizzato un traduttore automatico e poi ho ricorretto frase dopo frase. E’ stato un lavoro lungo che mi ha impegnato quasi un mese a libro. Poi ho provato a entrare nel mercato estero e qualche copia l’ho venduta. Ma la promozione non è semplice, ci vuole tanto tempo e purtroppo quella è una variabile che mi penalizza molto :-)

 

Passiamo (finalmente dirai tu) ad analizzare i tuoi libri. Sono due. Il primo si intitola Astuti inganni il secondo Notte senza luna. Giusta la sequenza temporale? Di che anno sono? Entrambi hanno per protagonista l’ispettore Innocenti. Sono romanzi gialli, e per quella che è stata la mia esperienza di lettura, sono costruiti molto bene con una trama interessante, un buon ritmo, anche divertenti e con un finale non scontato. Parlaci un po’ tu di loro. Raccontaci la trama, i personaggi. Facci venire voglia di leggerli.

Si due libri, entrambi scritti nel 2021, entrambi gialli. Il primo è più noir, drammatico e racconta la storia di un ragazzo che viene trovato morto di overdose nella sua stanza da letto presa in affitto all’interno di una casa che condivide con altri inquilini. E’ un classico giallo a camera chiusa. Potrebbe sembrare un incidente ma in realtà così non è. Mi sono divertito soprattutto a delineare il carattere dei personaggi, quasi sempre ambigui, sospetti e sfuggenti. Nel romanzo si scopre che quasi tutti hanno un movente plausibile o traggono un vantaggio dalla morte del ragazzo. Il secondo romanzo invece è un giallo più leggero, a tratti divertente, ambientato in un luogo di mare vicino a Roma, che conosco bene. E’ la storia di un gruppo di amici e conoscenti che trascorrono alcune settimane insieme tra passioni, incomprensioni e rivalità. Sembrano tutti amici, eppure qualcosa di tragico accade. In ogni libro l’ispettore non è solo ma viene aiutato più o meno inconsapevolmente da un personaggio della scena che poi è determinante nella soluzione dell’enigma. Le caratteristiche e l’umanità dell’ispettore vengono via via messe in luce progredendo nella lettura dei due romanzi: nel primo il suo ruolo è abbozzato, volutamente. E’ una figura di primo piano ma non delineata completamente. Nel secondo invece il suo ruolo si amplia e si conoscono anche dettagli della sua vita privata. Nel terzo si conoscerà ancora di più. E già perché sto scrivendo il terzo e ho già le idee di base del quarto romanzo. I libri sono tutti sequenziali anche se possono essere letti in ordine sparso. Inoltre ogni libro è diverso, il primo è un noir, il secondo è leggero e divertente, il terzo sarà un thriller, il quarto...

 

Per scriverli sei stato ispirato da qualche evento in particolare? Hai dovuto fare un lavoro di studio degli argomenti trattati o lo hai ambientato in luoghi e descritto situazioni che conosci bene?

Li ho ambientati in luoghi che conosco bene che però sono stati rielaborati totalmente con la fantasia

 

Preferisci di più i finali accomodanti (col lieto fine), o preferisci lasciare qualcosa di non concluso o poco definito? Ti piacciono i finali spiazzanti ed un po’ cinici o preferisci il vissero tutti felici e contenti?

In genere preferisco un finale con un colpo di scena che però renda l’intero racconto plausibile. Inoltre, come nella realtà, è impossibile che tutto sia definito e concluso. Quindi lascio in genere qualche piccolo elemento non definito. La tipologia di finale dipende dalla vena che caratterizza il giallo: il thriller in genere ha un finale più crudo e cinico, mentre il giallo leggero lo avrà più leggero.

 

Quali sono i tuoi prossimi progetti? Darai ancora spazio all’ispettore Innocenti, che magari diventerà commissario, o hai altri personaggi e altre storie in caldo da lanciare?

Sto scrivendo il terzo: è la storia di una comune e un po’ anonima signora sessantenne andata in pensione da poco che decide di andare ad un appuntamento al buio e viene trovata uccisa in un parco. E’ un thriller in cui verrà coinvolto sempre l’ispettore Innocenti che lo vedrà anche coinvolto in una storia d’amore con la criminologa del commissariato appena introdotta nel secondo libro. Il quarto invece verrà ambientato probabilmente in montagna, durante una settimana bianca. Probabilmente sarà più leggero, scanzonato e coinvolgerà sempre Innocenti in vacanza con la figlia Alice.

 

Sei ospite del blog Giallo e cucina e qui le interviste terminano sempre con due domande obbligatorie: la prima non è proprio una domanda ma un pensiero gentile. Consiglia, oltre ai tuoi libri, altri due romanzi che ti hanno colpito, o a cui sei particolarmente legato, e che vorresti che tutti leggessero.

Sono due i libri che ho più nel cuore e non sono dei gialli. Il primo è Narciso e Boccadoro di Herman Hesse ed il secondo è l’Alchimista di Paolo Coelho. Ciò che mi affascina è la ricerca del cammino dell’uomo per la realizzazione personale. Il non fermarsi mai ma cercare l’essenza profonda della vita. Inoltre è il constatare che il percorso di ognuno di noi oscilla sempre tra diversi opposti. Questi opposti hanno sempre caratterizzato la mia vita interiore e anche umorale un po’ come vita/morte, bianco/nero, arte/tecnica, ordine/disordine. Un po’ come le canzoni: a me piacciono quelle che iniziano con un sound e poi cambiano inaspettatamente registro. Lo stupore, la meraviglia… secondo me l’uomo moderno dovrebbe riscoprire la meraviglia.

 

La seconda è: qual è il piatto o la pietanza che preferisci, alla quale non sai proprio resistere e perché (se c’è)?

Mi piace cucinare per la famiglia alcuni piatti specifici come gli spaghetti alla carbonara o alla amatriciana e tutti i risotti mantecati. Anche qui due opposti.

 

Ti ringrazio della bella chiacchierata, ti auguro tanta fortuna. Se vuoi puoi aggiungere qualcosa che magari ritieni importante far sapere ai lettori….

Innanzitutto ringrazio tutti i lettori, perché mi rende felice sapere che i miei libri possano suscitare in loro emozioni. Mi piace molto il confronto e anche i suggerimenti e i quesiti che mi vengono posti da alcuni di loro e che mi consentono di migliorare il mio gioco preferito.

 

Di nuovo grazie. Complimenti ed a presto.

 

martedì 18 gennaio 2022

INTERVISTA A DIEGO COLLAVERI

 




Diamo il bentornato a Diego Collaveri, come va? Ormai qui tu sei quasi di casa. Oggi parliamo soprattutto del tuo ultimo libro Nel silenzio della notte, ma l’occasione è troppo golosa e allora ne approfitto per chiederti anche delle piccole curiosità del mondo "libresco" nel quale ti muovi. Allora, sei ormai arrivato al tuo decimo romanzo (mi sembra, ma forse sono di più). Hai iniziato con la serie di Anime Assassine con l'ispettore Quetti, poi hai proseguito con le indagini del commissario Botteghi, le une e le altre ti hanno tenuto impegnato per molto tempo. Nel 2020 è arrivato Fango (che a me è piaciuto moltissimo) ed ora Nel silenzio della notte. Ci puoi riassumere un po’ la tua storia di scrittore. Come è perché hai cominciato?

Grazie a Voi di Giallo&Cucina, è sempre un piacere chiacchierare con Voi di libri. Nel Silenzio della Notte è il mio undicesimo libro di genere crime, ma in realtà ho scritto anche un fantasy, un sci-fi e un umoristico. Diciamo che questa varietà riassume un po' il mio sentimento verso la scrittura, un evolvere, una ricerca continua dettata dalla curiosità che mi spinge anche verso generi a me non usuali, un po' per misurarmi con qualcosa di diverso, un po' per sperimentare altri colori nelle storie da raccontare. Credo che questo dipenda dal percorso che ho fatto nel corso di questi quasi 30 anni di carriera. Ho avuto la fortuna di cominciare giovanissimo con la musica, ho lavorato diversi anni come chitarrista e arrangiatore, quindi il pentagramma e i testi delle canzoni sono stati la mia prima forma di espressione. La vita mi ha costretto poi a cercare dentro di me una forma di espressione alternativa e attraverso la prosa e il racconto ho cominciato con la scrittura vera e propria, anche se sono stato sbalzato subito dopo nel mondo del cinema (altra mia grandissima passione). Mi sono ritrovato a lavorare come sceneggiatore e quindi ho deciso di intraprendere un percorso formativo studiando cinematografia mentre lavoravo sui set. Ad oggi ritengo ancora che la sceneggiatura sia una palestra enorme per la scrittura, perché ti fornisce sia un metodo nello sviluppare un testo da un'idea alla prima stesura, sia la dosatura nel ritmo, oltre alla scelta lessicale che è essenziale per chi vuole raccontare una storia. L'attenzione alla parola, alle mille sfumature e sensazioni che questa può trasmettere a livello oggettivo e soggettivo è ciò che mi ha da sempre affascinato. Parallelamente alla sceneggiatura ho continuato a coltivare l'attenzione per il racconto e testavo ciò che scrivevo in tantissimi concorsi, da cui ricevevo continui riscontri. Ho cercato una sicurezza di ciò che producevo prima di anche solo pensare a un libro, perché sia la scrittura che l'editoria meritano rispetto, senza contare quello dovuto ai lettori. Amo raccontare storie, ma ho preferito ricercare una maturità nel modo di farlo per potermi approcciare al romanzo. Da lì è cominciato il mio percorso editoriale. Non ho mai avuto la pretesa di fare niente che non fosse più che intrattenimento, ma con il commissario Botteghi ho capito che potevo spingermi in profondità e tingere ciò che raccontavo non solo di uno spaccato sociale che fosse specchio della nostra realtà quotidiana, ma anche andare alla ricerca di un qualcosa di nuovo e particolare che valeva la pena raccontare.

 

Hai avuto modo di collaborare con tante case editrici. Con quale ti sei trovato meglio? Tutte funzionali ai tuoi progetti o hai avuto dei...contrattempi?

Per parlare di case editrici ritengo sia necessario prima fare un passo indietro e sottolineare uno dei problemi di questo ambiente, cioè che c'è troppa gente convinta che scrivere sia una cosa che può fare chiunque. Da qui si generano due filoni di pessime contingenze: l'avversione per la grande casa editrice, colpevole di favorire solo pochi eletti a discapito delle vere voci, e il proliferare di stamperie che si mascherano da case editrici, improvvisando anche servizi a pagamento di scarsa professionalità. Ricordo da esordiente lo sbando completo e la sensazione di impotenza che si prova non riuscendo a destreggiarsi in questo mare sconfinato e sconosciuto. Ho avuto esperienze positive e negative, ma solo perché navigando tra le piccolissime case editrici alla fine è solo la roulette russa di inciampare in qualcuno che si fa davvero un mazzo tanto. Quando ho avuto la fortuna di arrivare alla Fratelli Frilli Editore e quindi fare quel passo in avanti entrando in una vera casa editrice di fascia media, ho trovato una dimensione completamente diversa, professionale, un'isola felice che mi ha permesso di crescere tantissimo e farmi davvero conoscere come autore. Devo tutto al cammino fatto con il commissario Botteghi (che continua), ma avevo anche bisogno di raccontare altro, per questo è nato il progetto di Fango e ho trovato in La Corte Editore la casa perfetta per questa storia. Sono stato fortunato perché ho trovato persone splendide e professionali con cui ho stretto bellissimi rapporti che vanno al di là della pubblicazione, quindi sì funzionali alle mie pubblicazioni ma anche costruttive dal punto di vista personale. Anche adesso con Mursia, che è un marchio storico nell'editoria italiana, ho trovato uno splendido team e collaborazioni che spero durino nel tempo.

 

Nei tuoi romanzi spesso sono stati trattati argomenti che rimandano direttamente alla società reale come in questo tuo ultimo libro, nel quale parli di sfruttamento degli immigrati, di colf, di badanti e di criminali senza scrupoli che approfittano della loro disperazione. Raccontaci un po’ la trama di Nel silenzio della notte e da dove nasce l'idea di fare dell'immigrazione il tema di un tuo giallo.

Nel Silenzio della Notte si basa sul tema dell'invisibilità sociale. Come dicevo il genere crime è un ottimo contenitore di intrattenimento per portare comunque al pubblico storie reali del nostro quotidiano, quindi ho raccontato di questo ispettore neo promosso, Claudia Draghi, che arriva a Livorno dopo esser fuggita via da Milano sfruttando la sua promozione. Ha un passato difficile, è stata in contrasto con tutti i colleghi e in pratica è stata allontanata dalla famiglia. Claudia spera così di poter ricominciare, invece si scontrerà con i pregiudizi dei nuovi colleghi e l'atteggiamento sessista del suo superiore, per cui si ritrova nuovamente sola. L'unica persona con cui stringe amicizia è Dina, l'anziana e spigolosa nuova vicina di casa, bloccata da un'ernia del disco. Le due, apparentemente così diverse, hanno in comune proprio la solitudine, nel caso dell'anziana a seguito della scarsa considerazione della famiglia. Alle dipendenze di Dina c'è Mihaela, una ragazza romena arrivata da pochissimo in Italia, con cui l'anziana ha stretto amicizia. La badante scopre però che l'agenzia per cui lavora in realtà maschera un traffico di prostituzione, ma prima di riuscire a fuggire, sparisce misteriosamente. L'anziana chiede alla vicina poliziotta di indagare e da qui il romanzo si addentra in questa realtà ahimè piuttosto comune delle condizioni di schiavitù in cui vengono costrette queste poverette, fino a un traffico di organi clandestino. Qui si torna al tema delle donne invisibili, nell'accezione di quelle donne che si trovano qui senza identità, costrette al lavoro nero, che sono purtroppo anche facili da far sparire. L'idea del romanzo è nata appunto dall'apprendere che in Italia ci sono un milione di badanti romene regolarmente registrate e chiedermi quante invece altre “invisibili” si trovino qua e quante di queste siano state fatte sparite senza segnalazione. Un'idea che ho legato anche al numero di persone che scompaiono in Italia ogni anno e al tema della violenza sulle donne, motivo per cui le protagoniste sono al femminile.

 

La protagonista principale è l'ispettore Claudia Draghi ma come dice il sottotitolo sono tre le donne che si ergono a protagoniste del romanzo. Donne tra l'altro che arrivano da mondi completamente diversi. Chi sono? Parlacene.

Claudia è una donna forte sul lavoro ma indebolita dal punto di vista affettivo, ha subito un grave lutto che ha compromesso i rapporti con i suoi genitori; anche il legame con i colleghi si è spezzato, tanto che è venuta a mancare la fiducia reciproca che in quel mestiere è necessaria. La promozione a ispettore e il trasferimento alla Questura di Livorno rappresentano un nuovo inizio e così senza dir niente a nessuno lascia Milano, rendendosi conto solo una volta arrivata nel suo nuovo appartamento di cosa significhi tranciare ogni legame con il passato e quanto sia pesante. Dina invece è una livornese purosangue, verace e dalla lingua tagliente, impicciona e sempre troppo diretta. Un improvviso problema fisico la fa piombare nella non autosufficienza e per il suo orgoglio è un colpo duro, anche perché la figlia coglie subito la palla al balzo per metterle in casa un aiuto che lei vive come un ulteriore controllo sulla sua vita. Il tema dell'anzianità e della invisibilità sociale legata a questo periodo crepuscolare lo trovo un argomento quotidiano ed empatico, per questo sentivo la necessità di raccontarlo. Mihaela impersonifica il mistero, perché a prescindere dalla sua condizione lavoratica di badante e tutto lo spaccato di cronaca che il personaggio incarna, ha anche un passato nascosto che sarà poi importante all'interno della storia.

 

Nel tuo libro diventa protagonista anche la città di Livorno, splendidamente descritta. Una città con mille contraddizioni. Livorno è dove hai ambientato gran parte dei tuoi libri. Perché? Livorno è anche la tua città, giusto?

Livorno è la mia città ma soprattutto è una città a misura d'uomo e reale, che appunto in mille contraddizioni mescola una grande storia, spesso nascosta, a spaccati di cronaca urbana che sono la scenografia perfetta per questo genere di storie. Inoltre le dimensioni e la densità di abitanti proprie di una città sfumano in una socialità molto marcata più da paese, infatti molto spesso nei miei libri sottolineo che alla fine, in un modo o in un altro, a Livorno ci si conosce un po' tutti, ed è questo che trovo molto affascinante.

 

Vuoi aggiungere ancora qualcosa sul libro che ritieni importante far sapere?

Nel Silenzio della Notte per me è stata una sfida che solo il parere dei lettori dirà se vinta o meno. Ho voluto mettermi in gioco sia raccontando da un punto di vista femminile, sia scegliendo una storia corale, sia optando nella narrazione per la terza persona a differenza della mia più consueta prima. Come dicevo, avevo bisogno di misurarmi con qualcosa di totalmente diverso da ciò che ho fatto fino a ora, anche nella forma.

 

Ci sarà ancora un futuro per Claudia Draghi? Stai già scrivendo qualcosa o per ora ti godi la tua ultima creatura?

Non mi dispiacerebbe un futuro per Claudia Draghi, ma anche per Dina che è un personaggio che ho adorato scrivere. Attualmente però sto lavorando a un altro progetto, un thriller tra lo storico e l'esoterico, senza contare che vorrei far tornare nel 2022 il commissario Botteghi con una nuova avventura.

 

Sai che noi di Giallo e cucina prima di terminare un'intervista poniamo obbligatoriamente due domande, alle quali tu peraltro hai già risposto una volta. Ti chiedo allora nuovamente, visto che è un modo semplice e diretto per dei qualificati consigli di lettura, di indicarci almeno un paio di titoli di romanzi assolutamente da leggere.

L'impero di Mezzo di Andrea Cotti (Rizzolinero)

Come Delfini tra Pescecani di François Morlupi (Salani Editore)

 

Poi in onore della parola cucina che è parte del nome del nostro blog una pietanza o una ricetta a cui non sai resistere

Essendo in questo momento a dieta strettissima per motivi di salute, sono pochi i piatti a cui non saprei resistere. Scherzi a parte, sono un amante della cucina messicana e quindi scelgo un bel piatto di nachos con formaggio, guacamole, peperoncini jalapeno in abbondanza, magari accompagnati da un bel chili con carne.

Ti ringrazio per la bella chiacchierata. Ancora complimenti. Ciao. Alla prossima.

Grazie a Voi.

 

Consenso trattamento dati personali

Nota bene: Rispondendo alle domande di questa intervista viene dato il consenso alla sua pubblicazione sul blog Un libro di emozioni e sui social ad esso legati.

 


venerdì 24 dicembre 2021

INTERVISTA A FABIO GIORGINO

 



Oggi nello spazio interviste abbiamo il piacere di ospitare, per la pima volta qui a giallo e cucina, l’autore Fabio Giorgino. Grazie per averci dedicato un po’ del tuo tempo. Io ti avevo già incontrato un paio di anni fa, ma avremo modo di parlarne durante la nostra chiacchierata.  Salterei a pié pari, se sei d’accordo, le domande di routine, quelle che io faccio abitualmente per conoscere un po’ meglio il nostro ospite. (Il Giorgino pensiero lo potete leggere eventualmente qua): https://ginodeilibri.blogspot.com/search?q=intervista+a+fabio+giorgino).

Mi concentrerei di più sul tuo romanzo, Le ragioni della follia, che hai scritto qualche tempo fa col self publishing e che ora la casa editrice Mursia ha pubblicato nella sua collana Giungla gialla. Immagino una gran bella soddisfazione. Raccontaci un po’ come sono andate le cose.

Ciao Gino, è davvero un grande piacere ritrovarti. Grazie ancora per questa nuova opportunità. Nella prima intervista di aprile 2020 ti dissi che, anche se era in corso la pubblicazione in self di Le ragioni della follia, stavo continuando a inviare le mie proposte editoriali a diverse case editrici e a contattare scrittori. La mia determinazione è stata finalmente ripagata quando, ad appena un mese di tempo da quella intervista, contattai Fabrizio Carcano per proporgli di leggere il mio romanzo. Non sapevo nulla di Giungla Gialla, che all’epoca era ancora in fase di progettazione interna a Mursia; mi interessava solo avere un parere professionale da un bravo scrittore di genere. Quando Carcano mi disse che stava reclutando nuovi giallisti per Mursia e che era disposto a leggermi, puoi immaginare la mia gioia, che divenne ancora più grande quando, esponendomi il progetto di Giungla Gialla, mi confermò che avrebbe proposto a Mursia il mio romanzo. La Collana si prefigge lo scopo di raccontare storie gialle ambientate nelle città italiane, con ambientazioni e caratterizzazioni che facciano conoscere ai lettori queste realtà di provincia, e la mia opera è piaciuta, oltre che per la trama, anche per le descrizioni dei luoghi.

 

Dobbiamo dire che Fabrizio Carcano sta facendo proprio le cose in grande. Ha creato una collana di gialli bellissima, immagino anche grazie alla fattiva collaborazione dell’editore Mursia. Sta coinvolgendo nella sua collana grandi nomi della narrativa di genere affiancandoli ad autori poco conosciuti, come te, creando un mix molto convincente. Qual è la tua opinione?

Fabrizio Carcano sta svolgendo un lavoro eccellente, e so che Mursia è orgogliosissima del suo direttore di collana. È un progetto ambizioso che si ripeterà anche nel prossimo anno con nuovi titoli e nuove ambientazioni. Per me è l’occasione per farmi conoscere da un pubblico di lettori più ampio e arrivare finalmente nelle librerie col cartaceo, cosa quasi impossibile con le auto pubblicazioni.

 

Tu sai che io sono un grande estimatore della auto pubblicazione. Ma so per certo che il 90% degli autori che scelgono questa strada ambiscono un giorno ad esser notati da una casa editrice che creda in loro e li faccia sentire importanti. Forse possiamo dire che il self publishing è il primo passo, (quel che si dice “fare la gavetta” in altri ambiti), per entrare nel mondo dei libri. Poi se c’è “sostanza”, e con un po’ di buona sorte, prima o poi qualcuno ti nota. Come la pensi a proposito?

Per quanto mi riguarda è stato proprio così. Mi rifaccio ancora una volta alla prima intervista. In quell’occasione ti dissi che l’auto pubblicazione era stata una scelta obbligata dalla totale assenza di risposta da parte delle case editrici alle quali avevo proposto il romanzo. Non rinnego quella scelta perché mi ha dato la possibilità di “testare” il mio scritto, di avere un primo riscontro dai lettori. Devo dire che mi sono sorpreso nel constatare soprattutto il grande uso del formato digitale. Per chi non ha un nome è difficilissimo farsi pubblicare da una buona casa editrice, ci vuole qualità, questo è certo, ma anche una buona dose di perseveranza e un po’ di fortuna.

 

Iniziamo senz’altro a parlare del tuo romanzo Le ragioni della follia. Uscii nella prima versione nel 2019. Ad ottobre del 2021 Mursia lo ha ripubblicato. Rispetto alla prima edizione cambia qualcosa? E’ stato rieditato o aggiunta qualche parte?

È stato revisionato da Fabrizio Carcano che mi ha dato poi alcuni consigli su cose da aggiungere, soprattutto per renderlo ancora più “tarantino”. Per questo ho inserito alcune cose nuove, come il riferimento all’annosa questione dell’inquinamento delle acciaierie ILVA e un ricordo di un campione del Taranto calcio, il compianto Erasmo Iacovone, al quale è intitolato lo stadio della città. Nelle note ho ricordato la cara Nadia Toffa, grazie alla quale oggi Taranto ha il suo reparto di oncologia pediatrica. Il confronto con il direttore di collana, oltre che costruttivo, ha segnato la mia prima esperienza di arricchimento professionale.

 

Sono sincero, come sempre, e devo dirti che la prima volta che lo lessi mi piacque molto. Avevo capito, nel mio piccolo, che questo Giorgino aveva della stoffa. Una vicenda ben costruita, raccontata bene, in maniera avvincente e fluida. Con un lessico curato con personaggi ben descritti ecc ma mi ricordo che ti feci anche dei piccoli appunti, nulla che inficiasse la bellezza e la lettura del romanzo ma in un’opera cosi ben orchestrata c’era, secondo me, qualche piccolo neo. In questa nuova edizione sono spariti anche quelli. Ad essere sinceri la seconda lettura è stata più coinvolgente della prima. Il romanzo se possibile è migliorato. Come me lo spieghi?

T ringrazio Gino. Ho proposto Le ragioni della follia a diversi blogger e lettori forti di genere come te, proprio perché mi interessava il riscontro in termini di consigli per migliorarmi. È naturale che le recensioni positive, gli apprezzamenti, facciano piacere, ma la vera utilità per chi scrive proviene solo dalle critiche che, logicamente, devono essere costruttive e mai distruttive. Ho fatto tesoro di tutto ciò che mi è stato detto in questi due anni e mezzo di auto pubblicazione, ci ho ragionato su, ho cercato di capire, e poi, come ti dicevo prima, ci sono stati i consigli preziosi di Fabrizio Carcano. Vedi, le tue parole sono una grande soddisfazione per me, la dimostrazione che abbiamo fatto un buon lavoro.

 

Spiro Fusco è un commissario che ti entra dentro. Un personaggio veramente indovinato. Un uomo senza enormi problemi esistenziali. Se ne leggono davvero di tutti i tipi: ex tossici, alcolizzati, ex delinquenti, picchiatori, hacker redenti ecc. Fusco è un commissario “normale” con un passato difficile ma che può essere comune a molti. Ci racconti come è nato questo personaggio e se ti sei ispirato a qualcuno? Dimmi che presto lo vedremo di nuovo protagonista in una nuova indagine.

Quando ho pensato a come costruire “Le ragioni della follia” avevo chiaro in mente che, oltre a una trama ricca di colpi di scena, dovesse contenere anche qualche elemento peculiare dei romanzi non di genere. Non mi interessava un protagonista border line, ma una persona appunto “normale”, con una storia famigliare e personale difficile e un presente inquinato da vicende del passato. Spiro Fusco è descritto dal suo nome, letteralmente uno spirito oscuro, ed è nato da questi presupposti, senza ispirazione da persone reali: un uomo e, soprattutto, un padre in difficoltà ma forte e perseverante, caratterizzato da una incrollabile fiducia nel futuro, anche se lui non ama farla vedere. Spiro è già presente in una seconda indagine, “Echi sinistri”; vedremo se Mursia sarà disposta a pubblicare anche questo romanzo. Attualmente ho appena terminato la scaletta per il terzo libro della serie e cominciato la prima stesura.

 

Nel romanzo viene spesso messo in evidenza il concetto di famiglia. La famiglia credo per tutti, ma soprattutto per noi italiani, rappresenta un legame fondamentale. D’altronde il comportamento di una persona adulta dipende molto da ciò che è stato il suo vissuto nella famiglia d’origine ed in quale ambiente era inserita. Ho dato troppa importanza a questo particolare o questa tua scelta non è casuale?

È proprio così. Come ho detto prima, la mia scelta è stata quella di creare un personaggio credibile, vicino quanto più possibile alla quotidianità, e la famiglia, appunto, è il nucleo della vita di ognuno, sia che si tratti di famiglia problematica, o mancante e desiderata, o che rappresenti il luogo di rifugio, l’alcova dove ci si sente al sicuro da tutti e da tutto. In essa si estrinsecano tutti i sentimenti umani: quale contesto migliore per parlare di amore, odio, stima, gelosia, condivisione, invidia.

Le ragioni della follia, un bellissimo titolo. Già lui da solo muove un sacco di considerazioni. Con un titolo cosi le aspettative verso il romanzo sono altissime. Ti sei preso una bella responsabilità (sorrido). Be, ti devo confessare che le mie aspettative le ha rispettate tutte. Ancora complimenti (anche se te li ho già fatti credo non facciano mai male). Perché questo titolo? Un gesto folle può avere delle ragioni? Secondo te esiste una follia buona e una cattiva?

Ho scelto questo ossimoro, un po’ provocatorio, per dire che dietro ogni gesto folle e moralmente inaccettabile c’è sempre una ragione, un motivo che innesca un certo ragionamento che, a sua volta, porta a una sintesi che può essere condivisibile o meno. Per fare qualche esempio, nel romanzo abbiamo il serial killer del fiore di loto che uccide per una propria convinzione malata, c’è Angela che decide di colpo di abbandonare il marito e la figlia di cinque anni e sparire, e lo stesso commissario Fusco che, pur essendo un poliziotto, per evitare tragiche conseguenze ai vicini di casa decide di non seguire le vie legali. Ecco, se pensiamo che la follia può assumere diversi gradi di gravità, non possiamo fare a meno di riflettere sulle sue cause e sulle conseguenze del gesto folle per poter fare una valutazione che, naturalmente, sarà condizionata dalla propria morale.

 

La chiacchierata volge al termine ma siccome sei ospite di giallo e cucina è prassi al termine di ogni intervista fare un paio di domande (anzi tre): vogliamo che tu ci indichi almeno un paio di romanzi che a tuo giudizio vale assolutamente la pena leggere. Se vuoi anche il perché. Poi dimmi una citazione nella quale ti ci ritrovi particolarmente.

Ovvio: tutti quelli dei colleghi di Giungla Gialla (sorrido). Nella prima intervista ti parlai di un salentino come me, Andrea Donaera, che aveva appena pubblicato un romanzo con NN editore, “Io sono la bestia”. Insisto su questo nome, perché quel romanzo ha avuto un grande successo di critica ed è sbarcato oltralpe, guadagnandosi un bel successo di pubblico anche in Francia. Donaera ha da poco pubblicato il suo secondo romanzo, dal titolo “Lei che non tocca mai terra”, una storia d’amore e di dolore, quasi crudele, ma che tocca le corde dell’anima. E poi c’è Fabrizio Carcano, con il suo “Misteri ambrosiani” una storia di intrighi tra istituzioni corrotte, mafia, servizi segreti che parte dalla fine degli anni ’70 per arrivare ai giorni nostri, con una sorta di staffetta tra i due famosi protagonisti inventati dalla penna dello scrittore milanese: il commissario Vittorio Maspero e il vicequestore Bruno Ardigò.

 

E poi, per onorare il termine cucina nel nome del nostro blog, un piatto, una pietanza a cui sei particolarmente legato o che semplicemente ti piace molto mangiare.

Te ne cito soltanto due. Nel romanzo ci sono accenni alla cucina tipica salentina e tarantina, come le orecchiette fatte in casa, in dialetto tarantino le “chiancaredde” da condire con sugo di pomodoro e cacioricotta o, per gli amanti dei sapori decisi, con la ricotta forte. Non possono mancare le cozze nere, ottime crude o con i vermicelli, buonissima la impepata di cozze.

 

Ti ringrazio della bella chiacchierata. Se ritieni puoi aggiungere qualcosa che magari ritieni importante far sapere ai lettori….

Vorrei invece chiedere una cosa ai lettori: per gli esordienti o emergenti che dir si voglia è molto importante il passaparola. Se ritenete un autore meritevole di attenzione fate circolare il vostro parere, perché la voce dei lettori è il modo migliore, quello più genuino per far arrivare il messaggio.

 

Di nuovo grazie. Complimenti ed a presto.

Ancora grazie infinite a te e allo staff del blog Giallo Cucina per avermi ospitato.

 

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Nota bene: Rispondendo alle domande di questa intervista viene dato il consenso alla sua pubblicazione sul blog Un libro di emozioni e sui social ad esso legati.