Oggi nello spazio interviste ho il piacere di ospitare
l’autore Mattia Bagnato. Benvenuto nel blog Giallo e Cucina e grazie per avermi
dedicato un po’ del tuo tempo.
Ciao Mattia. Sono molto contento di rivederti e di poter
parlare ancora una volta del tuo romanzo. L’altra volta ti ho intervistato per
il mio blog. Facemmo una lunga chiacchierata ma purtroppo temo che non furono
in molti quelli che la lessero. Ora che finalmente il tuo romanzo ha fatto il
grande salto avrai la possibilità di dialogare con me in un luogo virtuale
decisamente più confortevole e seguito del mio angusto blog essendo ospite di
giallo e cucina. Finalmente quello che era solo un nostro grande auspicio si è
avverato. La Golem edizioni ha intuito le grandi potenzialità del tuo libro,
che ora avrà una distribuzione capillare in libreria, dove è giusto che stia
(giudizio personale), e potrà essere presentato ai lettori come merita. Detto
questo oggi ne approfitterei subito per ripetere in parte le domande che già ti
feci ponendo in questo caso un accento maggiore sul tuo romanzo. Però, prima
di parlare diffusamente de Il caso Innocence, e di tante altre cose
interessanti, ti faccio qualche domanda di carattere generale, per conoscerti
un po’ meglio. Sono domande forse un po’ banali, ma “necessarie” come dico
sempre io. Pronto? Allora Mattia raccontaci un po’ di te dove nasci e vivi, la
tua formazione, qual è il tuo lavoro e poi dicci come nasce l’idea di scrivere
romanzi.
Innanzitutto
permettimi di ringraziare ancora te e gli altri curatori del blog Giallo e
Cucina. Sono molto felice di fare di nuovo una chiacchierata insieme, a
distanza di quasi due anni dall’ultima volta (sembra ieri, vero?). Da uno scrittore
ci si potrebbero aspettare chissà quali aneddoti interessanti, ma a essere
onesti la mia vita è molto meno avvincente delle storie che un lettore cerca in
un libro. Sono nato a Genova, città nella quale tutt’ora vivo e lavoro, la
bellezza di ventinove anni fa. Che sono quasi trenta, ma adesso non voglio
pensarci. Per guadagnarmi da vivere faccio il fisioterapista, ma è da alcuni
anni ormai che coltivo l’insano sogno di farmi conoscere per le storie che
racconto. È qualcosa che, forse, ho capito un po’ in ritardo, ma non ho mai
avuto le idee molto chiare su cosa volessi fare da grande.
La
pubblicazione nel 2016 del mio primo romanzo, “Alfa privativo”, seppur per
varie ragioni non sia stata l’esperienza che mi ero aspettato, mi ha finalmente
aiutato a capire quali fossero le mie vere ambizioni. È stato lì che sono
diventato consapevole del mio amore per la scrittura.
Oltre a scrivere sei anche un lettore? Hai un genere
preferito? Preferisci gli ebook o il libro cartaceo?
Assolutamente sì. Sono convinto
che leggere molto sia la migliore scuola per imparare a scrivere, ma non solo:
ci insegna a pensare, a conoscere il mondo nel quale viviamo, a crescere come
persone.
Sto guardando la mia libreria in
questo momento e, tralasciando l’opera completa di Stephen King, che
meriterebbe un capitolo a parte, mi pare di trovarci un po’ di tutto: fantasy,
thriller, fantascienza, narrativa… Quando un libro è scritto bene, il genere
letterario passa in secondo piano. L’ebook ha i suoi pregi, e non sono pochi,
ma sono ancora convinto che il cartaceo rappresenti un altro mondo. È un po’
come guardare un film al cinema o sullo schermo di un cellulare. La differenza
c’è, e si sente.
Hai solitamente una scaletta prefissata o ti fai condurre
dalla narrazione?
In genere parto da un’idea di massima che include un inizio,
una fine e alcune tappe intermedie, ma come in ogni viaggio mi aspetto di
incontrare degli imprevisti. E, a pensarci bene, sono proprio quegli imprevisti
a rendere appassionante la scrittura. Che divertimento ci sarebbe se sapessi
già tutto quello che deve succedere nelle prossime duecento, trecento o più
pagine che scriverò? Preferisco accompagnare i miei personaggi passo passo, e
godermi il viaggio assieme a loro.
Scrivi quando riesci o preferisci un momento particolare
della giornata?
Purtroppo devo accontentarmi dei momenti in cui torno dal
lavoro e riesco a sedermi davanti al computer, cosa che accade più raramente di
quanto vorrei. L’unico lato positivo della quarantena, se proprio vogliamo
trovarne uno, è stato avere più tempo da dedicare alla scrittura. Riuscivo a
ritagliarmi del tempo sia al mattino che al pomeriggio, così da non trovarmi
quasi mai a corto di idee, dal momento che quelle che avevo riuscivano a
maturare prima che mi rimettessi all’opera. Nonostante questo, però, puoi stare
certo che non ripeterei l’esperienza, no davvero.
Tu sei anche un ottimo bassista la domanda quindi è
praticamente obbligata. Quando scrivi deve esserci assoluto silenzio o ti
concentri meglio con una buona base musicale?
La mia mente è stregata dai libri, ma il mio cuore batte al
ritmo della musica. Se dovessi elencare tre cose delle quali non posso fare
assolutamente a meno, sarebbero senz’altro i libri, la musica e il cinema.
Quindi sì, capita che ascolti un cd mentre scrivo (sono un po’ all’antica, per
me la musica in streaming non esiste nemmeno, evviva i compact disc!), ma in
linea di massima lavoro meglio con il silenzio. Se qualcuno parla nella stessa
stanza in cui sto scrivendo, poi, tanto vale gettare la spugna: non riesco a
battere una sola frase di senso compiuto. È un grosso limite, ahimè.
Come abitudine una mia domanda verte sempre sulle case
editrici. Tu pubblicasti inizialmente il tuo romanzo (era il 2020) col self
publishing perché, mi confessasti, nessun editore al quale lo proponesti
accettò di pubblicarlo. Non so quanto abbia funzionato questa strada io stesso
mi accorsi del tuo libro un po’ casualmente. Anche se io sono un grande tifoso
dell’auto pubblicazione mi rendevo conto che quest’opera, in quell’ambito era
molto sacrificata. Come e quando è arrivata la Golem? Cosa l’ha fatta decidere
di scommettere su di te?
Il self publishing ha da un lato
il pregio di permettere a tutti di mettersi in gioco con il proprio lavoro, ma
credo che questo sia anche il suo principale difetto: non ci sono filtri e,
spesso, si finisce con il pubblicare il proprio libro senza avere la più
pallida idea di che cosa si stia facendo. C’è anche da dire che attirare
l’interesse delle case editrici è più facile a dirsi che a farsi, specialmente
se sei un autore alle prime armi e senza alcuna referenza.
Io ho sempre desiderato pubblicare
con un vero editore ma, una volta messo da parte l’orgoglio, ho capito che
avevo bisogno di una mano per realizzare il mio obiettivo. Ed è qui che è
entrata in gioco Germogli Letterari, l’agenzia che mi ha supportato e
accompagnato in questo percorso. Antonella, che ormai a questo punto mi piace
definire affettuosamente la mia editor e agente (spero non me ne voglia), è
stata davvero professionale nell’aiutarmi a migliorare il romanzo per poi
presentarlo agli editori. I suoi consigli mi hanno fatto crescere molto come
autore, e lo stanno facendo tutt’ora.
Se oggi “Il caso Innocence” si trova sugli scaffali delle
librerie, in gran parte è anche merito suo e del suo team.
Passiamo finalmente a parlare del romanzo, Il caso
Innocence. Raccontami un po’ la trama, chi sono i personaggi principali.
Mettici un po’ di curiosità addosso.
Mi verrebbe quasi da dire che si
tratta della classica storia del Bene contro il Male, solo che in questo
particolare caso del Bene non ce n’è neppure l’ombra. Si parla di uomini e di
donne, persone ordinarie in lotta con i propri demoni e un’Oscurità che pervade
la cittadina in cui vivono.
Clara Innocence, la nostra antieroina,
è una di loro. Accusata di aver commesso un efferato omicidio, si trova a dover
raccontare la propria storia alla dottoressa Page, il perito psichiatrico del
tribunale, ma non per discolparsi, quanto piuttosto per svelare le ragioni che
l’hanno spinta a compiere un gesto tanto brutale. E quello che ha da
raccontare, purtroppo per la dottoressa, non è affatto facile da accettare, non
finché ci si ostina a guardare il mondo con gli occhi della ragione.
Per fortuna, a differenza sua, noi
lettori abbiamo un enorme vantaggio, perché quando leggiamo possiamo decidere
di credere a qualsiasi cosa, anche se è qualcosa che ci fa paura.
Le città teatro delle vicende narrate nel libro, sia
Emerald falls che Zenith, sono luoghi di fantasia. Una scelta precisa o è stata
una decisione casuale?
Preferisco sempre ambientare le mie storie in luoghi di
fantasia. Ammiro chi riesce a descrivere impeccabilmente un luogo reale, a
fartelo vivere come se lo stessi vedendo con i tuoi stessi occhi, a farti
sentire i suoi profumi e i suoi suoni, ma credo di non essere quel genere di
narratore. Se la storia che sto raccontando è inventata, allora preferisco
completare l’opera e inventarmi anche lo scenario in cui ambientarla.
Tu sei giovanissimo, quando pubblicasti per la prima
volta il romanzo col titolo, lasciamelo dire, L’innocenza non esiste, ancor di
più. Come mai hai pensato ad una storia cosi? Dove tutti i personaggi hanno le
mani sporche, dove per l’appunto l’innocenza non esiste e di personaggi
positivi io ne ricordo solo uno: la signorina Green? Si stenta a credere possa
essere stato scritto da un ragazzo neppure 30enne. Voglio dire che dovrebbero
essere le persone con ormai 50 anni come me ad avere una visione della vita
così cinica e disincantata meno propense al sogno e alla speranza tu invece
dovresti avere solo pensieri positivi ed aspettative importanti. Cosa ti ha
dato l’ispirazione per scrivere questo romanzo, bellissimo ma anche cosi
doloroso? Riesci a raccontarmi come è nata questa storia? Cosa ti ha spinto a scriverla?
Una fotografia. È partito tutto da
lì, direi. Mi sono immaginato una foto, nella quale una giovane donna sedeva
ammanettata, dandomi le spalle. A quel punto mi sono chiesto: chi è questa
ragazza? Perché è seduta in quella stanza, con le manette ai polsi? A volte
bastano poche domande per fare sì che l’immaginazione spicchi il volo, e questo
è stato uno di quei casi.
E sì, è vero, si tratta di una storia triste, ma le storie
tristi sono sempre state quelle che mi affascinavano di più. Per quanto riguarda
i pensieri positivi, temo che ormai siano troppi gli stimoli che ci portano a
vedere il mondo in modo cinico e disincantato. Ma, parlando di letteratura, non
credo che questo sia necessariamente un male: è da storie come questa che
possiamo trarre gli insegnamenti migliori, ci insegnano a cercare la luce anche
quando intorno a noi non riusciamo a vedere altro che buio.
Qualche personaggio ha avuto origine pensando a persone
reali?
Più che i personaggi, ci sono delle situazioni per le quali
mi sono ispirato a eventi reali che mi sono accaduti in passato. Ma non
chiedermi quali sono, perché tanto non parlerò nemmeno sotto tortura. Muto come
un pesce.
Secondo te c’è un pubblico specifico per questo libro?
Non credo, anche perché io, per primo, non mi pongo limiti
quando scrivo un romanzo. So benissimo che la storia potrebbe portare ovunque,
anche in territori che non mi sarei immaginato in un primo momento. Quindi
forse sì, questo potrebbe essere l’unico requisito del mio pubblico ideale: non
avere paura di lasciarsi trasportare dall’immaginazione, di confrontarsi con
qualcosa di inaspettato.
La disanima del romanzo Ia chiuderei qui. Ma tu se vuoi
aggiungere qualcosa di importante, che non abbiamo ancora affrontato, fallo
pure.
Beh, quello che posso dire è: leggete il libro e, quando lo
avrete fatto, scrivetemi se vi va di parlarne. Sono sempre felice di
confrontarmi con i miei lettori, la trovo una grande opportunità di crescita.
Lasciami chiederti ancora un paio di cose. Preferisci di
più i finali accomodanti (col lieto fine), o preferisci lasciare qualcosa di
non concluso o poco definito? Ti piacciono i finali spiazzanti ed un po’ cinici
o preferisci il vissero tutti felici e contenti?
Credo che il finale di “Il caso Innocence” rappresenti per
me l’idea perfetta del finale di un romanzo: la storia arriva alla sua
conclusione, il cerchio si chiude, eppure ti rendi conto che c’è ancora
qualcosa che ti rode dentro, che ti ci fa pensare anche dopo che hai messo via
il libro e hai preparato quello successivo sul comodino. E, chissà, magari ti
spingerà a leggere il romanzo una seconda volta, e a parlarne con i tuoi amici.
La domanda per me più importante: stai scrivendo qualcosa
o magari hai già un libro in fase di pubblicazione? Cosa ci dobbiamo aspettare?
Perché mi devo aspettare qualcosa vero?
Ho finito di scrivere un romanzo,
il primo di una trilogia fantasy, e attualmente ci sto lavorando con la mia
editor. Non sarà un lavoro veloce, il romanzo è piuttosto corposo e complesso,
ma sono fiducioso. Credo ne verrà fuori una gran bella storia.
Nel mentre sto scrivendo anche il
mio quarto romanzo, ma per quanto riguarda questo sono ancora agli inizi,
quindi preferisco non sbilanciarmi troppo.
Insomma, ho già in mente il mio
percorso per i prossimi cinque o sei romanzi, sempre che riescano tutti a
seguire le orme di “Il caso Innocence”, cosa che mi auguro con tutto il cuore.
Sei ospite del blog Giallo e cucina e qui le interviste
terminano sempre con due domande obbligatorie: la prima non è proprio una
domanda ma un pensiero gentile. Consiglia due/tre romanzi che ti hanno colpito,
o a cui sei particolarmente legato, e che vorresti che tutti leggessero. Se
vuoi anche il perché.
Cavoli, non è affatto facile…
Beh, ormai è noto a tutti il mio
amore per il maestro Stephen King, quindi non posso non citare almeno una sua
opera, anche se pescarne soltanto una nell’oceano della sua bibliografia è
davvero difficile. Opterei per “22/11/63”, perché ricordo che quando lo lessi
me ne innamorai perdutamente.
Dal momento che sto lavorando alla
mia personale trilogia fantasy, mi permetto anche di consigliare “La ruota del
tempo”, la fenomenale saga scritta da Robert Jordan. D’accordo, non è un solo
romanzo ma ben quattordici (sì, lo so, è un numero che fa paura), ma credo sia
davvero una delle massime espressioni del fantasy a livello mondiale. E non
parlo di certe cazzate (si può dire?) young adult, ma del fantasy serio, quello
che diventa vera e propria letteratura.
Per ultimo cito un romanzo che praticamente nessuno conosce
tranne me, cosa della quale mi dispiaccio molto, perché ritengo che l’autore
sia un vero e proprio genio: parlo di “Il mondo dopo la fine del mondo”, di
Nick Harkaway. Se vi capita di trovarlo, datemi retta, compratelo e leggetelo.
Ne vale la pena.
E poi, per onorare il termine cucina nel nome del nostro
blog, un piatto, una pietanza a cui sei particolarmente legato o che
semplicemente ti piace molto mangiare.
Questa è quasi difficile come la
domanda precedente, ahahah!
A guardarmi non si direbbe, ma
adoro mangiare. Da buon italiano non posso fare a meno del mio piatto di pasta
quotidiano, sebbene il mio amore per il cibo non si fermi ai nostri confini
nazionali.
Stavolta, però, voglio restare sul
semplice, e allora ti dico questa: una bella spaghettata aglio, olio e
peperoncino. Una ricetta semplicissima che non mi stufa mai. Ora che ci penso
mi sta venendo una fame…
Ti ringrazio della bella chiacchierata e della
disponibilità, ti auguro tanta fortuna.
Grazie ancora a te, sia per
l’intervista che per il sostegno. Speriamo di fare presto un’altra
chiacchierata come questa, perché almeno vorrà dire che una nuova storia è
riuscita a raggiungere i lettori.
Nel frattempo spero che “Il caso
Innocence” riesca a farsi strada nella giungla del mercato editoriale, io
incrocio le dita.
Di nuovo grazie. Complimenti ed a presto.
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