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domenica 14 settembre 2025

IL NIX

 




Il Nix - Nathan Hill -

recensione a cura di Lilli Luini

 

Uscito nel 2016, opera d’esordio di un autore allora 40enne, venne acclamato come caso editoriale dalla critica Usa. Un tomo di circa 800 pagine, strettamente connesso con la storia americana degli ultimi cinquant’anni.

Un accenno di trama: la scena si apre nel 2011 a Chicago, dove Samuel è un quarantenne irrisolto e in grandi difficoltà. Docente di letteratura americana in una piccola università, nelle ore notturne si dedica compulsivamente a un gioco online dove, con altri giocatori, cattura draghi in una sorta di realtà parallela abitata da elfi e quant’altro. Dieci anni prima un editore gli ha versato un congruo anticipo per un libro che Samuel non ha mai scritto, anticipo che ora gli viene chiesto di restituire. Solo che non ce l’ha più, si è comprato una casa. Come se non bastasse, una studentessa svogliata lo accusa di averla ferita psicologicamente, con conseguente rischio di licenziamento.

Il fatto che dà l’avvio alla storia è l’aggressione, con tiro di sassi, al candidato repubblicano alle elezioni. La scena viene ripresa e postata online con il risultato che diventa virale. La donna viene identificata e denunciata: è Faye, la madre di Samuel. Solo che lui non la vede e non la sente da vent’anni, da quando una mattina lo ha svegliato e gli ha detto “vado via per un po’, non aver paura”. Non avrebbe nessuna intenzione di contattarla ma il suo editore lo mette di fronte a una scelta: se mi scrivi un instant book su di lei, non dovrai pagarmi penali.

Ed è così che Samuel si mette sulle tracce della storia di Faye e impatta sulla Storia.

I vari filoni si intersecano. Dalla giovinezza di Faye in un piccolo borgo dell’Iowa, dove suo padre è approdato in fuga dalla Norvegia, fino alle rivolte di Chicago del 1968. Dalle notti di Samuel a caccia di draghi, fino al mondo del terzo millennio, con le informazioni travisate e le verità manipolate che entrano nella vita delle persone con prepotenza. La crisi della società borghese di periferia dopo il 2008, con i valori andati a farsi benedire insieme al quieto benessere che credeva di aver raggiunto.

Samuel ricostruisce la figura della madre e Faye quella di suo padre e della sua famiglia d’origine, in Norvegia.

E cos’è il Nix del titolo? È uno spirito mutaforma della tradizione norvegese, che a volte assume la forma di un cavallo bianco e rapisce i bambini. Altre volte assume forma umana, spesso delle persone che amiamo di più, e come tale appare e scompare dalle nostre vite. “Di chiunque ti innamori prima di essere adulto, probabilmente è un Nix”, leggiamo sullo strillo di copertina. Insomma, è ciò che ci esalta e ci distrugge.

Non è un romanzo facile, all’inizio ho fatto fatica, ci sono capitoli interi dedicati al gioco online, ma lo spaesamento dura un centinaio di pagine, forse meno. E le leggi comunque perché hai la sensazione di essere incappata in qualcosa di estremamente interessante, in un autore fantasmagorico, capace di una scrittura bellissima, con momenti emozionanti e altri esilaranti. Una volta entrati, però, si legge scivolando via tanto che, a conti fatti, l’ho finito in pochi giorni. Non dico che sia esente da difetti, oltre all’inizio ostico ci sono lungaggini qua e là, ma il compito era immane e l’autore lo ha portato a termine con mano ferma, dandoci un grande affresco collettivo e individuale, sui rapporti familiari, sulle scelte obbligate e sul riflesso del mondo esterno sulle vite della gente comune.

Una voce nuova da seguire, quella di Nathan Hill

 
genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2016


sabato 13 settembre 2025

DONNAREGINA

 




Donnaregina – Teresa Ciabatti –

recensione a cura di Alice Bassoli

 

Non è solo la storia di un boss: è piuttosto il tentativo di Teresa Ciabatti di mostrare che il male è umano e che raccontarlo significa confrontarsi con la propria umanità. 

L’intervista si trasforma in una relazione narrativa più ampia: Misso non è raccontato solo come boss, ma come uomo con fragilità: ama i colombi, crede negli UFO, ha una madre da cui non riesce a separarsi, vive ricordi familiari, e ha un figlio gay (la questione della sessualità nelle famiglie mafiose è centrale).

Parallelamente, la protagonista-autrice vive la sua lotta personale: con sé stessa, con la madre, con la figlia adolescente, con le sue paure, i sensi di inadeguatezza, i ricordi, la scrittura. Il viaggio non è solo verso la comprensione del boss ma anche verso la comprensione del proprio ruolo come madre, figlia, donna che scrive.

Il romanzo non è reportage puro, ma mescola biografia, autobiografia, finzione, confessione. Ciabatti riflette sul proprio sguardo, su quanto può essere “incontaminato”, e su come il narrare sia anche manipolare. 

La convivenza di stili (cronaca, biografia, autofiction) potrebbe non piacere a tutti: chi cerca un romanzo “nera pura”, o una biografia rigorosa, potrebbe restare un po’ deluso.

Ancora una volta l’autrice e’ fedele al suo stile confessionale, febbrle e spietatamente lucido.

La scrittura è frammentata, sincopata, segnata da frasi brevi e taglienti: uno stile che restituisce il flusso disordinato dei pensieri, il continuo oscillare tra confessione privata e riflessione sociale. La voce narrante è senza filtri, a tratti disturbante, perché mette in scena ciò che spesso rimane nascosto.

Meraviglioso. 


genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2025


venerdì 12 settembre 2025

L'ANNIVERSARIO

 



L'anniversario - Andrea Bajani -

recensione a cura di Carmen Nolasco


Ho letto in soli due giorni “L'anniversario” di Bajani e lo recensisco di getto, per non perdere l'eco che ha prodotto dentro di me, e quella propaggine depressiva che ancora mi aleggia intorno.

Mi ha colpito subito la scrittura accurata e l'incipit intrigante, quell'ultimo incontro del protagonista "io narrante" con i suoi genitori, con la madre che lo insegue per le scale apprensiva, e poi quella frase, che resta impressa nel cuore del lettore: da allora ho cambiato numero di telefono, casa, continente, ho tirato su un muro inespugnabile, ho messo un oceano di mezzo. Sono stati i dieci anni migliori della mia vita.

È una partenza che crea subito aspettativa sulla storia, mentre l'estrema eleganza stilistica e l’innegabile maestria lessicale catturano immediatamente. La narrazione però - quella di una famiglia disfunzionale, con padre autoritario, madre succube e figli incompresi - continuerà monocorde fino alla fine.

Sembra che l'autore, pur abile nel raccontare uno squilibrio che, a dire il vero, era abbastanza ricorrente nelle famiglie italiane di quegli anni, badi più alla precisione stilistica che all'accuratezza psicologica. La scrittura appare così volutamente fredda, chirurgica, priva di emozioni e di calore umano. Piatta. Se proprio questa è la particolarità del libro, l'unicità che lo ha portato alla ribalta, resta però difficile superare la sensazione claustrofobica che suscita.

Non sembra un romanzo - ma lo è davvero? - quanto piuttosto un resoconto, una sorta di cronistoria giornalistica che ricostruisce i fatti mantenendo un rigido distacco.

L'autore ha creato uno sguardo osservativo sulla storia, trattandola come l'analisi di un "sistema-famiglia" da cui il narratore è uscito. L'elemento autobiografico tuttavia, appare così indiscusso e potente da far sembrare questa storia più una psicoterapia del ricordo o una vendetta personale. Proprio qui emerge quell'assenza di compassione che sarebbe naturale in un figlio, insieme alla presenza di un chiaro danno psicologico subito, che si consolida proprio in questa incapacità di provare comprensione.

La vecchiaia, nel libro di Bajani, emerge alla fine come il grande equalizzatore che dovrebbe condurre naturalmente alla compassione e al perdono. Il padre dominante e la madre succube si troveranno inevitabilmente vulnerabili, ridotti a quella fragilità umana universale che dovrebbe toccare il cuore di un figlio. Eppure il figlio si sottrae, non per vendetta, quella arriva attraverso la stesura del romanzo stesso come terapia - vendicativa - ma per una più tragica incapacità: il danno subito è così profondo da impedirgli di accogliere persino le miserie della vecchiaia. Il no-contact diventa così non un atto di forza, ma la manifestazione di un'impotenza emotiva, l'incapacità di provare quella pietà che il disarmo dei propri genitori dovrebbe spontaneamente suscitare. È il paradosso più amaro: quando finalmente i carnefici sono presumibilmente innocui, il figlio scopre di essere emotivamente incapace e dunque cieco proprio verso quella empatia che potrebbe guarirlo.

Eppure, proprio attraverso questo distacco emotivo e quest'assenza di perdono, Bajani riesce a farci vivere un dolore soffocato e intenso - un dolore che necessiterà di anni di terapia evidentemente mai risolutivi.


genere: narrativa 

anno di pubblicazione: 2025


domenica 7 settembre 2025

IL RECINTO DEI PAZZI

 



Il recinto dei pazzi - Luana Troncanetti -

recensione a cura di Gino Campaner

Non c'è due senza tre. Prima il romanzo di Landini poi quello di Lanzetta, il revival si chiude con Luana Troncanetti. Un'estate di forti emozioni non poteva che chiudersi in questo modo. Luana Troncanetti è stato un mio grande "amore" libresco. Folgorato anni fa dalla lettura di Silenzio pubblicato in self publishing. Trasformato poi in I silenzi di Roma quando fu ripubblicato dalla Frilli editori. Un romanzo bellissimo. Il lettore però è risaputo è la peggior specie di amante. Non si fa scrupoli a tradire. Non si fa pregare a lasciare la strada vecchia per quella nuova. Luana Troncanetti forse non è stata prolifica nello scrivere quanto il suo enorme talento avrebbe richiesto. Fatto sta che la mia attenzione nei suoi confronti col tempo è scemata ed ho iniziato a esplorare nuovi sentieri (autori). Ma non dimentico le emozioni che trasmette un suo romanzo ed appena pubblica qualcosa sono pronto a leggerlo. La mia stima è intatta. Per questo romanzo poi la Troncanetti è tornata alla auto pubblicazione ed io ne sono felicissimo. Sono da sempre un sostenitore del self publishing. Il tornare all'antico per lei sono certo sara il modo giusto per ripartire e trarre la giusta ispirazione per nuovi coinvolgenti romanzi. Parlare in maniera particolareggiata de Il recinto dei pazzi non lo ritengo necessario e soprattutto si rischierebbe di rovinare la gioia (e la sorpresa) di leggere l'ennesimo romanzo capolavoro dell'autrice. Un libro in cui fila tutto perfettamente, senza sbavature. L'attenzione e la meticolosita nel ricercare il termine piu adatto nella Troncanetti è risaputa ma qui la cura si avverte proprio, quasi si "tocca". La "confezione" e l'editing sono di primo livello. La lettura risulta cosi sempre piacevole e scorrevole. Leggendo questo romanzo ho ritrovato l'urgenza, la necessità, di finirlo, di continuarlo, per conoscere come sarebbe proseguito. Non capita spesso, a me non capitava da un po'. Un libro che a volte indigna a volte rasserena e ti lascia dentro un sapore agrodolce. Una galleria di personaggi ai quali ci si affeziona e che si vorrebbero sempre tenere vicino. Uomini e donne con una grande dignita finite in manicomio spesso solo per la cattiveria e l'ottusita di chi gli era vicino. Una Troncanetti in grande spolvero quindi che fa vibrare forte le corde delle emozioni. Una nuova gemma alla sua collezione di opere. Un romanzo da non perdere. 

genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2025

sabato 6 settembre 2025

DOMANI DOMANI

 




Domani Domani – Francesca Giannone –

recensione a cura di Alice Bassoli

 

Ambientato nel Salento del 1959, il romanzo racconta la storia dei fratelli Lorenzo e Agnese Rizzo, cresciuti in un piccolo saponificio di famiglia. Quando il padre decide di venderlo, ciò che era stata la loro casa e identità crolla. Lorenzo se ne va con rabbia per riprendersi ciò che sente gli spetta, mentre Agnese resta, fedele alle radici.

La scrittura e’ scorrevole e coinvolgente. E’ un romanzo intenso, ben scritto e con personaggi realistici, attraversato dalla tipica nota di dolcezza che Francesca Giannone riesce a mettere nei suoi romanzi. 

L’ho trovato fluido, uno di quei romanzi che ti diventa amico, a cui ti affezioni pagina dopo pagina. Ho amato l’ambientazione storica, così vivida, e i personaggi così verosimili da sentirli davvero vivi.

Molti lettori hanno contestato il finale aperto.

Io credo che proprio in questo stia la sua forza: dà spazio al pensiero, e soprattutto è coerente con la storia. Personalmente non credo che il finale di un romanzo debba essere sempre infiocchettato, e che tutto vada sempre spiegato nel dettaglio  (anche se questa mia teoria è piuttosto impopolare). 

Nella realtà la verità è sempre interpretabile e non ci sono concesse spiegazioni e spiegoni per ogni cosa. Quindi ben venga che di tanto in tanto ciò avvenga anche nella fiction, che intinge il pennino proprio lì, nella vita vera. 


genere: narrativa 

anno di pubblicazione: 2024


venerdì 5 settembre 2025

GLI UOMINI PESCE

 




Gli uomini pesce - Wu Ming 1

Recensione di Miriam Donati

Quel ch’era drito, ‘desso l’è roverso,
combàtare col Po l’è tempo perso.
Gino Piva poeta polesano (1873-1946).

Visionario, debordante, romanzo-romanzo finalmente. Non autofiction, non ricerca del proprio ombelico. Passato e presente che si intersecano e memoria da rivendicare, da riscrivere mescolando realtà e finzione infischiandosene del politicamente corretto. Un mix di pezzi musicali, cronaca, citazioni colte, da Lovercraft vero o finto a Igor il Russo, quello sì vero, dalla geografia al clima, dalla ricerca di senso al mistero degli uomini pesce, sogno o simbolo dispiegato in quel mondo mitico e fantastico che è il Delta del Po, vita e morte, nascita e rinascita, protagonista assoluto del romanzo.

L’autore Wu Ming 1, al secolo Roberto Bui, ci racconta nei Titoli di coda in fondo al libro della sua composizione durata molti anni e lo definisce “un libro di viaggi e pellegrinaggi tra Ferrara e il Delta del Po durante la Resistenza, negli anni Sessanta-Settanta e nel 2022. Una saga familiare sui generis: la storia della famiglia Nevi dall’avvento del fascismo alla morte del suo enigmatico patriarca. Un tributo al Grande Fiume e alle sue terre, intreccio di vicende bassopadane con omaggi dichiarati e no a Bassani, Bacchelli e ad altri narratori della pianura. Il mio romanzo più personale, anche se perfettamente collegabile alla poetica di Wu Ming.”

È un romanzo a strati, complesso, multiforme, inizia nel 2022, durante una delle peggiori estati mai viste sul Delta per la siccità, quando, all’età di novantanove anni, muore per un colpo di calore Ilario Nevi, partigiano, cineasta, pittore, ambientalista della prima ora. Sua nipote Antonia, geografa all’Università di Padova, di cui lui è stato il principale mentore, è investita della sua pesante eredità che la coinvolge insieme a Sonic, suo compagno musicista. Prende forma il primo piano temporale del romanzo: dopo il post-pandemia che ha marchiato corpi e coscienze, abbiamo lo stato d’emergenza, il razionamento dell’acqua e il cuneo salino dell’Adriatico che raggiunge i quaranta chilometri dalla foce del Po. Antonia inizia la ricerca per ricostruire l’identità dello zio, scoprendo enigmi e segreti sconvolgenti e poiché come il Po, è anche lei in crisi, soffre di “ansia climatica”, scoprirà qualcosa anche di se stessa. Territorio e personaggi sono in simbiosi. Se Antonia è il Grande Fiume, Ilario sono le valli del delta, con una natura sfumata tra terra e acqua, anfibia. Prende forma così il secondo piano temporale, quello della Resistenza con gli stretti legami vissuti nel Delta e con la scoperta dell’amicizia quarantennale di Ilario con un altro antifascista, Erminio Squarzanti, entrambi compagni di lotta di Renata Viganò.

Il Delta con la sua terra sommersa sotto il livello del mare con le valli e i canali tortuosi e misteriosi, sfuggente perché è un territorio mutevole modificato nel corso dei secoli dai fiumi e dagli interventi umani, un territorio apparentemente naturale, ma invece altamente tecnologico perché sono le idrovore che pompano acqua incessantemente per mantenere la pianura coltivata, quando invece la sua vocazione è ritornare a essere palude; un labirinto dove si nascondono i segreti di Ilario ed è il luogo dove è nato e vissuto l’autore, che l’ha studiato a fondo e dove la geografa Antonia percorre il suo viaggio, non solo nella memoria per scoprire i segreti dello zio, lei ama quel territorio, lo ha esplorato, lo zio gli ha dedicato documentari mentre era membro di Italia Nostra quando presidente era Giorgio Bassani (che compare nel libro come personaggio), e si tormenta per lo stato in cui si trova e per il futuro che sembra segnato: tornare sott’acqua con l’innalzamento del mare e la consapevolezza di ciò oltre a influenzarla, ne definisce la personalità e rende la scrittura trascinante.

È difficile raccontare la trama del romanzo per il continuo intrecciarsi di trame e sottotrame, di rimandi ad altre narrazioni del collettivo Wu Ming, soprattutto per non svelare troppo, si può accennare agli aspetti più intriganti, come l’uso delle lingue. Il compagno americano di Antonia può parlare solo inglese, una condizione paradossale che unisce alla possibilità di capire e apprendere rapidamente tutte le altre lingue e in mezzo a questa condizione c’è l’italiano e i dialetti.

Uno dei pregi del libro è l’aver creato un cortocircuito tra realtà e fantasia perché su territori e fatti del tutto reali si innestano racconti e personaggi di fantasia e il lettore non sa cosa sia vero e cosa no. Anche i titoli dei film realizzati da Ilario, dei libri di Antonia e dei dischi di Sonic, corredati da un’accuratissima bibliografia fantastica, sono talmente verosimili da chiedersi se esistano veramente. E che dire della presenza di Lovercraft nel Delta e della band che suona pezzi a lui ispirati? E la caccia tra i canali di Igor il Russo?

Uno dei temi principali è la persistenza dell’oppressione a cui contrapporre immaginazione e fantastico in una forma di resistenza quotidiana. Antonia e Sonic sono personaggi resistenti e mappano il territorio in funzione della lotta dello zio eletta a ragione di vita in una incessante ricerca di chiarimenti e allo stesso tempo si battono contro quell’oppressione che sembra non finire mai: prima il nazifascismo, poi la sua continuità sottotraccia nelle istituzioni repubblicane fra bombe e stragi, poi la generazione di amministratori del territorio senza scrupoli che hanno cementificato preparando il terreno alle inondazioni, devastando la costa emiliano-romagnola con gli alberghi.

Per raccontarci questa resistenza il racconto diventa polifonico con voci molteplici nel testo e stili e registri diversi (uno narrativo, uno poetico e uno saggistico) che corrispondono alle voci dei personaggi, oltre al rapporto continuo con altre opere (Pendolo di Foucault di Eco, L’Agnese va a morire di Viganò, le opere di Bassani). Un inserto è costituito dal memoriale di Ilario ritrovato da Antonia, pieno di parole cancellate e illeggibili che lo fanno assomigliare a Petrolio, il romanzo incompiuto e inedito di Pasolini. Riferimenti numerosi anche al cinema, per esempio Sylvia Scarlett di George Cukor (in Italia Il diavolo è femmina) perché Antonia assomiglia alla protagonista Katherine Hepburn.

E all’improvviso all’interno del racconto entra un elemento fantastico e fantasioso che esplode e cambia tutto. Si rimane spiazzati, ma nemmeno troppo stupiti quasi che l’estraneità sia anche familiare come nelle credenze popolari. Chi sono gli uomini pesce? L’autore dice di essersi ispirato all’Homo Saurus, un rettile antropomorfo avvistato negli anni Ottanta nel Po (ne scrisse il Resto del Carlino e gli fu dedicato un libro nel 2004 da Cartografica Edizioni). Pochi anni dopo si era sparsa la voce di un ritrovamento di un diario inedito di H,P, Lovecraft venuto nel Delta alla ricerca di questi antichi uomini pesce nascosti sulla terra da milioni di anni e che i pescatori avevano sempre raccontato di aver visto affiorare dall’acqua. Homo Bracteatus lo chiama Ilario in alcuni disegni e ritratti ritrovati da Antonia che “dava l’idea dello squalo, ma era altro. Gli occhi erano neri. Neri. Di un nero abissale. Pozzi profondo di milioni di anni, profondi quanto il tempo, e nel lontanissimo fondo di quei pozzi dovevano ruotare gorghi che trascinavano ancora più in basso, ancora più indietro del tempo stesso”. Si tratta di esseri che appaiono solo di notte nella migliore tradizione delle leggende dell’antica e oscura storia del territorio del Delta, spiriti guida o misteriosi custodi; apparizioni che rappresentano il desiderio di un altrove che non c’è. Il confine tra sogno e realtà è labile e poco importa scoprirlo perché questo testo sfugge a qualsiasi definizione o etichetta. Si entra in contatto pagina dopo pagina con tanti e diversi temi compresenti che si aggregano, si incrociano e la questione climatica che fa da collante al tutto diventa uno sguardo esterno e sposta il punto di vista sostenendo la conservazione dell’ambiente nel suo complesso indipendentemente dall’uomo.  

È un libro di straordinarie geografie rivoluzionarie dove tutti i temi toccati, la resistenza, l’ambientalismo, l’aspirazione alla rivoluzione in ogni tempo, l’idea di un mondo diverso ancora possibile per il quale vivere e resistere si concilia con la scrittura che qui sembra fare il suo meraviglioso lavoro di mischiare autore e lettori.

 

Genere: Narrativa

Anno di pubblicazione 2024

 


mercoledì 3 settembre 2025

EREDITERAI LA TERRA

 



Erediterai la terra - Jane Smiley -

recensione a cura di Rossella Lombardi


L’autrice, con una scrittura efficace, ricca di particolari, fluida ed elegante, ci presenta  ambienti, vicende e personaggi  che non si riescono a dimenticare.

La storia si sviluppa dal 1979 in poi in  Iowa a  Zebulon, un piccolo paese rurale degli Stati Uniti dove vivono alcune famiglie , spesso in conflitto fra loro, dedite alla propria fattoria, al bestiame e alla terra, coltivata soprattutto a mais.

Il paese, la terra  rappresentano per i personaggi  il centro del mondo, il motivo della propria esistenza, l’ambiente in cui nascere e morire senza sognare altro, senza desiderare alcun cambiamento : “  Nessun mappamondo, nessuna mappa erano mai  riusciti a convincermi che  Zebulon non fosse al centro dell’universo.Zebulon , dove la terra era piatta, era un luogo  in cui un oggetto sferico ( una pallina di gomma per esempio) non poteva che raggiungere  l’immobilità assoluta e, una volta fermo, affondare le sue radici  fino a tre metri sotto il suolo” ( I tre metri sotto il suolo rappresentano chiaramente lo spazio della sepoltura).

La terra, anzi il numero di ettari posseduti, rappresentano, per gli abitanti di quel luogo,il vero valore  di ciascuno.

L’io narrante della storia  è Ginny, una donna di trentasei anni; la primogenita con due sorelle  Rose e Caroline  e con un padre  despota che vive incarnando la cultura del possesso personale ( terra, bestiame e figlie) ma che un giorno ,in età non avanzata, inaspettatamente decide di  intestare  i suoi possedimenti  alle  tre figlie . Questo scatenerà grandi dissidi fra le tre donne ed i rispettivi mariti, facendo emergere vecchi rancori, antichi traumi e segreti. Nella seconda di copertina del libro, la trama viene ricondotta al “Re Lear “ di Shakespeare ed effettivamente molti  elementi lo ricordano: la pazzia, reale o presunta, del padre, i suoi conflitti con le figlie e i difficili rapporti fra le tre donne, la drammatica avventura durante una tempesta ( elemento sicuramente simbolico) che segnerà l’inizio della rottura definitiva  dei rapporti all’ interno di questa famiglia…e molto altro.

Mi ha colpito in questa storia la capacità  di cambiamento da parte di Ginny, la sua emancipazione . All’ inizio  del libro lei è la più passiva, conciliante, benevola  nei confronti del padre, addirittura a volte antipatica. Nel procedere degli eventi ci viene poi  descritta una sua reale evoluzione  personale :lei prenderà finalmente in mano la sua vita  cominciando a fidarsi di se stessa e risultando così il personaggio più forte.

Un altro tema, spunto di riflessione, è il perdono/non perdono. E’ sempre possibile e utile superare il rancore  ed arrivare a perdonare? Cosa ci permette di perdonare davvero ? Rose  afferma :”Il perdono è un riflesso che si attiva solo  quando non riesci a sopportare  ciò che sai”.

Emerge poi anche il tema dell’ EREDITA’, non riferito solo ai beni materiali. Ereditiamo dal nostro passato un bagaglio fatto di cultura, valori, affetti, incontri , esperienze . Non sempre siamo consapevoli  dell’ importanza, del peso   di ciò che ci ha costruito, nel bene e nel male. Ginny arriverà alla fine a dire: “Il rimpianto è parte della mia eredità. Annidate in ogni mia cellula, insieme al DNA, convivono molecole di humus, pesticidi, gasolio, polvere di piante…e anche molecole della memoria. Ogni persona scomparsa mi ha lasciato qualcosa e percepisco la mia eredità quando ricordo ciascuna di loro”.

L’ultimo tema che mi ha colpito  è la distruzione, il veleno. Lo si evince dai rapporti malati, distruttivi e avvelenati appunto fra i personaggi. Un veleno esplicito, che esplode ma anche un veleno  che cova sotto la brace, alimentato anche dal “ non detto”. C’è poi un veleno concreto , ben descritto, rappresentato dai pesticidi sparsi nei campi che danneggiano l’ambiente e la salute delle persone. Ed infine c’è il veleno del rancore, dell’invidia   e della vendetta che distruggono  la vita dei personaggi.

I temi presentati, sicuramente universali e frequenti negli esseri umani di ogni epoca, fanno di questo libro  un vero classico che consiglio vivamente.


genere: narrativa 

anno di pubblicazione: 2024

 

 


domenica 31 agosto 2025

IL RITRATTO

 



Il ritratto - Ilaria Bernardini - 

recensione a cura di Carmen Nolasco


Valeria Costas è una scrittrice di successo. Da oltre venticinque anni è l'amante di Martin Aclà, noto imprenditore sposato. L'incipit del libro svela subito la questione: Martin e Valeria erano amanti. Lo erano stati per gran parte della loro vita. Questo inizio, che porta al cuore della storia senza preamboli, è brutale e sembra la promessa di un racconto dozzinale. E invece…

Valeria vive a Parigi, Martin a Londra con moglie e figli. Quando Valeria scopre che il suo amante è in coma in seguito a un ictus, riesce a insinuarsi nella casa di lui con la scusa di farsi fare un ritratto, per la quarta di copertina del suo ultimo libro, dalla moglie Isla, che è una ritrattista molto famosa. All'inizio disturba la questione che siano tutte figure di successo, tutti vip, tutti conosciuti e osannati da stampa e critica: Valeria, Isla, Martin. Sembra delinearsi una narrazione mainstream: lui, la moglie e l'amante, belli ricchi e famosi. E invece sappiamo che un romanzo è davvero speciale non per quello che racconta, bensì per come lo racconta: il ritmo, le pause, le rivelazioni graduali, l'intensità e la capacità introspettiva. E tutti questi talenti sono presenti nel romanzo di Ilaria Bernardini, distribuiti in modo articolato e complesso, tale che inizialmente l'autrice dà l’idea di procedere incerta, senza un canovaccio preciso. Personaggi e situazioni appaiono in un primo momento poco definiti, come se la Bernardini si lasciasse guidare dalla narrazione stessa. È proprio questa incertezza iniziale a rendere più potente la presa di coscienza dell’intreccio che avviene a metà lettura: il lettore scopre di essere imprigionato in un groviglio di emozioni, nella sapiente trama del romanzo che lo trattiene dentro la sua ragnatela collosa.

Ilaria Bernardini eccelle nel dosare le rivelazioni: come tessere di un puzzle, vanno a completare, in questa fase centrale, la caratterizzazione dei personaggi facendo maturare nel lettore una comprensione via via sempre più profonda, non solo degli eventi che si dipanano nel testo, ma dell'anima stessa di ciascun protagonista, con quella forza e complessità che rendono un romanzo memorabile.

Poi, però, ecco la curva discendente. L’andamento prima in salita, che a metà trasporta al clou della narrazione con un impatto emotivo altissimo, discende trascinando chi legge in un baratro di sconforto, tra malattie, pensieri suicidari, psicopatologie e drammi da cui non si salva nessuno.

L'intensità, prima della conclusione, guida positivamente la storia: le parole creano immagini, scavano dentro il lettore. Non sono pietre affilate né fuoco che brucia, sono dense e cremose come devono essere le parole giuste: Vide quella stessa scena da un satellite molto lontano... dal satellite scattò una foto, la mise in un cassetto. Ed ecco che per magia il lettore vede tutto, di colpo, dalla prospettiva descritta: tutto piccolo, tutto dall'alto. Ma che brava! È un passaggio di notevole efficacia. Il ritmo diventa così intenso che la lettura assurge a valore prioritario nella quotidianità del lettore: bisogna continuare a leggere per sapere come andrà a finire. Dunque, promosso a pieni voti?

Promosso, senza dubbio. Ma non a pieni voti. Sul finire della storia ci si accorge delle ridondanze, come la rievocazione sempre più esagerata di Sybilla, la sorellina morta di cancro a dodici anni. Poi alcune inverosimiglianze: in un passaggio in cui Valeria ricorda la sorellina, a un certo punto Sybilla, nove anni, dice: sono più coraggiosa io! e Valeria, sette anni, risponde: Col cazzo che lo sei. È credibile l’espressione per una bambina di soli sette anni? Oppure, quando leggiamo: ‘Vi amo, bambine', ripeteva mentre camminava verso casa. 'Anche noi ti amiamo' rispondevano loro’: in un dialogo realistico, possono i personaggi rispondere perfettamente all'unisono?

Tra le ridondanze varie che disturbano la lettura, si nota la ricorrenza esasperata del verbo scomparire che all'inizio intriga e affascina, ma poi l’abuso lo rende estremamente fastidioso. La ridondanza dei pensieri suicidari di molti personaggi e il tema della perdita e della morte avvolgono in modo quasi claustrofobico l'umore del lettore che non intravede una punta di luce. Inoltre, se l’intento dell’autrice è stato quello di non farci amare Valeria come donna in quanto cupa, egocentrica e monocorde, c’è riuscita perfettamente.

Altra ridondanza è insita nella descrizione di Valeria come scrittrice: lo scrittore protagonista del romanzo è un tema abusato in letteratura e in questo caso con troppa dovizia di particolari e resoconti sulle sue abilità e abitudini.

Ci sono piccole sbavature lessicali come l’uso errato del congiuntivo che non si capisce se volute (il personaggio di colpo diventa sgrammaticato?) o capitate, come: "Spero che tu e tua madre stiate bene e che il balcone “fosse” bello come sembrava nelle fotografie". O ripetizioni come: "Vennero accolti dalla figlia della proprietaria, che aveva capelli molto lunghi e pareva una divinità egizia. Era più bella di profilo, cosa che avrebbe funzionato alla perfezione in un ritratto egizio".

Ancora, spiegoncini superflui tipo: A volte erano così in ritardo per la scuola che dovevano correre “per coprire la distanza nel minor tempo possibile".

Infine, se la storia si fosse conclusa senza l’Epilogo, avrebbe lasciato il lettore con quell’incertezza di un finale aperto e con la suggestione meravigliosa della chiusa: E con i polmoni aperti e con le bocche spalancate cantarono (tutti i personaggi di tutte le storie scritte e mai scritte di Valeria) a squarciagola, forti come i tuoni, potenti come l’amore.

Invece è come se un editor abbia chiesto all’autrice un finale diverso, rivelatore, e così lei lo abbia scritto e inserito alla fine, rendendo la storia inverosimile, e il finale stesso un’appendice posticcia con ritmo e stile differenti.

In sintesi, lettura consigliata? Sì. Un punto di vista diverso sul tradimento.


genere: narrativa 

anno di pubblicazione: 2020

 


sabato 30 agosto 2025

LO SPECCHIO DEGLI OCCHI TUOI

 




Lo specchio degli occhi tuoi - R. Pierleoni -

recensione a cura di Gino Campaner

 

📖Spiccioli di trama: il romanzo inizia con un omicidio. Ma è solo il prologo di una storia complessa ed emozionante che fa passare dalla gioia, al dolore, alla delusione nel giro di poche pagine. La storia di Elettra e Viola è raccontata da una terza persona. Della quale conosceremo l'identità, ed il perché lo fa, solo nella parte finale della storia. 

 

🔥Punto di forza: sono tanti, su tutti spicca la figura di Elettra. Giovane e tormentata. Con un passato terribile, dal quale è scappata senza avere una meta precisa. Con un rapporto difficile con gli uomini, dai quali ha ricevuto solo delusioni e mortificazioni. Conosce Viola e ne nascerà un'amicizia indissolubile. Intensa ed esclusiva che coinvolge anima e corpo. 



🙁Punto debole: la parte centrale è forse un po lenta, troppo cerebrale. Per quel che sono i miei gusti 40/50 pagine in meno sarebbero state l'ideale. 



🏁Finale: il finale o meglio il segmento finale è bellissimo. Doloroso, nostalgico, inesorabile. Emozionante. Al il termine di una pagina si deve necessariamente tirare il fiato e predisporsi a leggere altre situazioni molto forti emotivamente. 



🎓Giudizio complessivo: ⭐⭐⭐⭐
il romanzo di Rosanna Pierleoni racchiude in se tante cose importanti. È vero che descrive, in buona parte, il difficile passaggio di due giovani ragazze all'età adulta, lontane dalla loro famiglia, dalle quali sono scappate. Ma questa unica "lettura" sarebbe, colpevolmente, molto riduttiva. Racconta tanto altro ancora: le vicissitudini che nascono per potersi mantenere senza il supporto della famiglia, il rapporto difficile con l'altro sesso, la solitudine, la necessità di sentirsi amati, la lealtà, la violenza di genere. Un libro affascinante e complesso, ricco di momenti emozionanti e situazioni forti. Un libro che non lascia indifferenti e che fa riflettere. Complimenti alla Pierleoni. 

genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2024

 


mercoledì 27 agosto 2025

DIMMI DI TE

 





Dimmi di te – Chiara Gamberale -

recensione a cura di Francesca Simoncelli

 

Dimmi di te… che fai adesso?  

Che ne è stato dell'adolescente delle scuole superiori?  

Come ha fatto quel ragazzo a diventare un adulto?  

Sei riuscito a conciliare i sogni con le responsabilità della vita reale?  

Chiara è una donna confusa, che a 40 anni si ritrova con tante domande sul senso della vita e su come poter coniugare i desideri con la praticità.  

L'essere diventata madre, l'arrivo inaspettato di sua figlia, la catapulta in un mondo di doveri e responsabilità, costringendola a lasciare la sua esistenza vissuta fino a quel momento "alla giornata", per adattarsi ad una più organizzata, secondo i bisogni di un bambino.  

Tutto questo la manda in crisi e da qui nasce in lei il bisogno di sapere i suoi ex compagni delle scuole superiori come hanno affrontato la transizione dall'adolescenza alla maturità.  

Decide quindi di contattarli ed intervistarli, chiedendo loro di raccontare se hanno accettato compromessi, realizzato i loro sogni e come sono riusciti ad adattarsi alla vita. 

Inizia così un viaggio dentro se stessa, attraverso i suoi ex compagni di scuola.  

Con domande mirate o lasciando che i suoi amici le aprono il loro cuore con rivelazioni inaspettate, scoprirà che per tutti la vita è un compromesso, che nessuno ha percorso la strada senza mai inciampare o dover cambiare itinerario, che dover cercare di far stare in equilibrio cuore e mente è una prerogativa di ciascuno di noi. 

Alla fine scoprirà che proprio quella bambina che lei credeva arrivata al momento sbagliato, la aiuterà a trovare il senso di ogni cosa.  

Ho iniziato questo libro senza sapere cosa aspettarmi; mi è stato regalato ed è la prima opera che leggo di questa autrice.  

Fin dalle prime pagine ho capito che era un romanzo che avrebbe toccato le corde più intime della mia anima; le domande che si pone Chiara sono le stesse che tante volte ho pensato anche io: l'inadeguatezza, il peso delle responsabilità, il sentirsi sempre fuori luogo.  

E anche io, come lei, dai miei figli ho imparato, più che insegnato: con loro sono cresciuta e sto ancora crescendo, in loro vedo la bellezza del mondo, per loro sento l'importanza di fare alcune scelte. 

Leggere questo libro mi ha fatto bene al cuore, lo ha reso un po' più leggero; ho pensato: "allora non sono la sola a sentirmi inadeguata in un mondo che corre, mentre a me sembra di non saper neanche camminare?!” 

Chiara scrive limpido, fluido; in queste pagine si sente tutta se stessa, la sua passione, la fragilità e la forza.  

Ho amato e divorato questo libro, perché parla al cuore del lettore... Perché sembra sia scritto proprio per me!  

 "A quarant’ anni suonati scoprivo così che esistono dei momenti, nella vita, che non hanno niente, davvero niente di romanzesco. Sfugge prima di tutto a noi, il senso della nostra trama " 

genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2024

 


martedì 26 agosto 2025

KALA

 




Kala - Colin Walsh -

recensione a cura di Rossella Lombardi


La casa editrice Fazi non ha classificato questo libro come thriller, infatti non l’ha editato nella collana “ Darkside” ma invece in quella della narrativa “ Le strade”. A mio parere invece questa storia è un thriller  che presenta una scomparsa, numerose violenze  ed aggressioni e un omicidio con la conseguente ricerca del colpevole e dei complici. Sicuramente però in questa storia c’è anche molto altro: l’adolescenza (con i primi amori, le rivalità, i sogni e i progetti per il futuro…), le famiglie disfunzionali ( i rapporti difficili, i tradimenti, l’incapacità genitoriale …).

Nel 2003 in un paese irlandese sul mare, la storia racconta le vicende  di un gruppo di sei quindicenni, tre ragazze e tre ragazzi che si misurano con l’amore, l’amicizia , il coraggio, la complicità, i segreti degli adulti e i loro diseducativi comportamenti. Una di loro, Kala, all’improvviso scompare . Quindici anni dopo tre di questi personaggi, ormai adulti, si ritrovano nel paese per la partecipazione ad  un matrimonio. Il libro inizia infatti ne 2018 ; i  titoli dei capitoli  portano appunto  i nomi di  Helen, Mush e Joe e, all’ interno dei quali, si alternano i ricordi adolescenziali di ciascuno di loro con i fatti che avvengono nel presente. All’inizio questi sbalzi temporali non indicati graficamente  mi hanno un po’ disorientata, poi però sono stata piacevolmente coinvolta nella narrazione. I tre protagonisti assistono al ritrovamento dei resti del corpo della loro amica Kala, uccisa quindici anni prima e qui inizia la ricerca del colpevole . Nella seconda parte del libro il ritmo diventa più incalzante, i fatti tragici e violenti sostituiscono in parte l’indagine psicologica  dei sei adolescenti, fino ad arrivare ad un finale forse un po’ prevedibile. Questa è stata una piacevole lettura che lascia un po’ immaginare al lettore alcuni aspetti della relazione tra i sei adolescenti, senza però averne approfondito i particolari. E’ come se riportasse  delle istantanee  senza analizzare i sentimenti, i drammi e i tormenti dei personaggi.  Spesso, nei loro dialoghi , i sei ragazzi citano con desiderio, tensione e propensione , il termine  “ Altrove”. Io credo che l’autore intendesse sottolineare il bisogno di questi giovani  di uscire da quel piccolo, chiuso ed asfissiante ambiente di paese ma anche di poter sognare, nel loro futuro, un “Altrove” come un diverso modo di essere e di diventare .

 Ho trovato un po’ strana e per me poco comprensibile, la scelta dell’autore  di riportare in prima persona i racconti di Helen e Mush, mentre Joe racconta  i fatti e i suoi pensieri in seconda persona , come se uscisse da sé e si narrasse ad un altro. E’ forse una sua ricerca di identità?

Cosa rimane di  questo libro, oltre alla piacevolezza di seguire un thriller?  La consapevolezza  che il passato, le esperienze fatte, le relazioni avute segnano fortemente la personalità di ciascuno.  La sottolineatura che c’è chi si allontana  dal  proprio  ambiente,  considerandolo  troppo chiuso e limitante, per cercare la propria realizzazione altrove ( Helen e Joe ), ma c’è anche chi ( Mush ) è rimasto a gestire il bar di famiglia,  dedicandosi a costruire relazioni e a coltivare affetti. Infine c’è chi nella storia per sentirsi qualcuno sceglie di raggiungere il potere e la ricchezza  con la violenza, la sopraffazione  e i soprusi.


genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2025

     


lunedì 25 agosto 2025

LA FELICITA' DEL CACTUS

 




La felicità del cactus – Sarah Haywood -

recensione a cura di Patrizia Zara

 

“Così ostiche e coriacee, adoro le piante grasse, la loro beffarda strafottenza, l’essere burbere per non concedersi alle carezze di chiunque. Eppure, a dispetto della loro atavica ruvidità, ti sorprendono improvvisamente, incastonando delicate grazie floreali tra aculei indisponenti. Un po’ come me.” 
(Michelangelo Da Pisa)

Proprio per lo stesso amore che Michelangelo nutre per le piante grasse, ho deciso di leggere "La felicità del cactus".
Non mi aspettavo, sia chiaro, un grande romanzo, ma almeno una lettura piacevole, con protagonista una figura coriacea, metaforicamente accostata alle piante grasse.

Mi aspettavo una storia simpatica, velata di filosofia di vita, con qualche accenno psicologico e un umorismo garbato. 
E invece… niente.

Un romanzetto da quattro soldi, come avrebbe detto mio padre. 
Una protagonista sconclusionata nella sua presunta indipendenza, circondata da personaggi sopra le righe, privi di spessore e già visti mille volte. 
Una storiella stupidamente inglese, figlia bastarda de "Il diario di Bridget Jones".
La trama è così prevedibile da sembrare riciclata. Alcune scene sembrano prese di peso da altri romanzi simili o da qualche commedia da domenica pomeriggio. Che fantasia!?
Una semplice esercitazione linguistica, nulla più. La scrittura è fluida, almeno questo glielo concedo. 
E vabbè, ci sta.

Ma mi chiedo: com’è possibile che molte scrittrici inglesi emergenti vengano così celebrate, pur scrivendo sempre le stesse cose? 
Potere dell’editoria.

Mi scuso con i cactus, relegati a un ruolo marginale in questo libricino. 
Spero che la loro superiorità non impedisca loro di fiorire in questo mondo spesso così banale. 
So io quanto è preziosa e rara la fioritura di un cactus. Altroché.

“Era tutto così irrilevante da risultare offensivo.


genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2019





sabato 2 agosto 2025

NON E' LA FINE DEL MONDO

 




Non è la fine del mondo - Alessia Gazzola -

 recensione a cura Alice Bassoli


Un romanzo che è una piccola delizia letteraria.

La trama: la protagonista, Emma, ha trent’anni, un sogno nel cassetto (scrivere per il cinema) e un lavoro che sembra distante anni luce da ciò che davvero desidera: fa la stagista presso una produzione televisiva, dove si barcamena tra piccole umiliazioni e grandi domande esistenziali. La sua quotidianità è fatta di speranze, di attese, di scelte (spesso da rimandare).

Questa storia è dolce, ma mai banale, e si muove con quella malinconia lieve che solo Alessia Gazzola sa raccontare: un velo sottile che non appesantisce, ma al contrario dona profondità.

La sua prosa ti culla, ti accompagna, ti riporta a riva lasciandoti addosso emozioni vere e consapevolezza. 

Realistica, ma mai cruda. Soave, ma mai retorica.

La realtà nei suoi romanzi è tangibile, ma vista con la luce della speranza, dell’ironia e soprattutto della resilienza.

Un libro che leggi col sorriso e al contempo con un piccolo nodo alla gola.

Consigliatissimo


genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2017


martedì 29 luglio 2025

HO PAURA TORERO

 




Ho paura torero - Pedro Lemebel

Recensione di Miriam Donati

 

La primavera era arrivata a Santiago come ogni anno, ma arrivava con colori vivaci che gocciolavano i muri di graffiti violenti, Slogan libertari, mobilitazioni sindacali e marce studentesche disperse in puro guanaco. A tutta velocità, le capre dell'università resistevano al flusso sporco dei poliziotti. E ancora e ancora tornarono alla carica, scendendo in strada con la loro tenerezza molotov infiammata di rabbia. Con una bomba pulita hanno tagliato l'elettricità e tutti hanno comprato candele, accaparrandosi candele e ancora candele per illuminare le strade e i fossati, per innaffiare la memoria con le braci, per accendere l'oblio. Come se stessero calando la coda di una cometa che sfiora la terra in omaggio a tanti scomparsi"

 Ho paura torero è ambientato a Santiago del Cile negli anni Ottanta, uno stato di polizia repressivo dove la militanza progressista si esercita dalla clandestinità sociale e la militanza LGBTQIA+ dalla clandestinità individuale.

Lemebel scrive in modo meraviglioso, la sua carica visiva è molto alta e colloca perfettamente il lettore nell'atmosfera dell'epoca. Il suo stile è barocco, sovraccarico, colto, provocatorio, irriverente, sarcastico, coinvolgente, immaginario e ricchissimo dal punto di vista lessicale. Leggerlo è un piacere, le parole scorrono e si trasferiscono in un dipinto dove quello che sta succedendo appare in modo plastico.  Ha un linguaggio che è un miscuglio tra il colloquiale, persino volgare, e il poetico. Il lirismo racchiuso nella sua narrazione rende questo romanzo una grande opera d'arte da godere semplicemente lasciandosi trasportare dalla sua musicalità e bellezza. Una prelibatezza da gustare lentamente e tornare a leggere solo per il piacere di gustarla ancora. La letteratura nella sua forma più pura.

La storia è dura e triste ma allo stesso tempo folgorante e giocosa, piena di sordidezza, miseria, violenza e ingiustizia ma anche di una dignità infrangibile, di quelle che ci permettono sempre di sentire una brezza, per quanto tenue, di speranza per un'umanità e una società che il più delle volte è orribile. In questa triste situazione Lemebel mette in scena il tentativo di assassinare il dittatore Pinochet insieme alla nascita di un amore impensabile.

Un giovane militante del Fronte Patriottico Manuel Rodríguez, che partecipa alla preparazione dell’attentato, incontra La Fata dell’Angolo (nella traduzione italiana) Loca del Frente (nella versione originale), un trans che lo sostiene, senza esplicita conoscenza, nei suoi piani politici. Le tensioni della relazione e le tensioni della preparazione e dell'esecuzione dell'attentato tengono il lettore sulle spine.

I monologhi interiori della Fata dell’Angolo in prima persona, contrastano con la narrazione in terza persona che descrive gli eventi da un punto di vista più oggettivo inseriti in una struttura lineare. Tali monologhi sono brillanti per la capacità espressiva e rivendicativa della Fata innamorata di Manuel, sarta di tovaglie per le mogli dei generali golpisti, cantante delle coplas di Sara Montiel (Ho paura torero è un verso di una sua canzone). Questo rapporto si svolge in un contesto ben disegnato: le proteste, le gomme che fumano per le strade della capitale, i blackout, il rintocco, spesso angoscioso, del "Diario de Cooperativa", i boleri, le rancheras e le ballate dell'epoca, Pinochet alle prese in intimità con i suoi fantasmi e incubi, e con Lucia, la moglie logorroica, infatuata degli ultimi modelli di Nina Ricci.

La Fata dell’Angolo, protagonista e testimone, accattivante personaggio carnevalesco, ponte tra sogni e miseria, è sdolcinata e kitsch perché è il suo modo di affrontare la bruttezza del mondo, a testa alta, senza nascondere la sua condizione di transessuale, esagerando la propria femminilità. Un personaggio tenero, commovente, coraggioso, onesto, leale, potente che ha dovuto superare un passato di abusi ed emarginazione. Deve vivere praticamente ai margini della società, nel suo mondo folle, con lo stigma di essere transessuale in un paese e in un tempo sotto l'oppressione della dittatura; lo si adora fin dal primo incontro, si soffre per lui fino all'ultima pagina. La Fata, nonostante il suo passato difficile, il suo presente triste e il suo futuro incerto, è capace di creare magie, di portare sorrisi, di creare bellezza con i pochi mezzi che ha a disposizione, e, soprattutto, dà una grande lezione di dignità con la sua gentilezza e il suo carisma. E non è ingenua, non si lascia ingannare da Carlos e dai suoi amici, sa benissimo in cosa si sta cacciando. Perché, nonostante la differenza di età, si è innamorato.

In definitiva, la Fata dell’Angolo è un personaggio che sfida le norme sociali e culturali del suo tempo e che lotta per essere accettato e rispettato da coloro che la circondano. La sua presenza nel romanzo è fondamentale per lo sviluppo del personaggio di Carlos, e per l'esplorazione di temi come l'identità, la sessualità e la discriminazione. Tematiche dolorosamente vicine all’autore, ne consegue un’eccezionale capacità nell’evocare sensazioni, turbamenti, percezioni: i moti interiori dei suoi personaggi sono descritti in maniera pura e genuina, con una maestria che incanta e turba il lettore, alternando passaggi struggenti a uno stile tutto sommato beffardo e irriverente, rendendo l’opera ricca di sfumature e di chiavi interpretative.

Come si legge nella quarta di copertina, "Pedro Lemebel ricostruisce l'amara e sordida realtà della dittatura, avvolgendola in orpelli e paillettes, al ritmo di boleri e canzoni d'altri tempi. Intreccia militanza politica e dissidenza sessuale, scrittura e oralità, cultura alta e cultura popolare", la cultura popolare infatti è un elemento chiave nel libro. Attraverso la musica, il cinema e la televisione, Pedro Lemebel costruisce un universo narrativo ricco e complesso che riflette la realtà sociale e culturale del Cile di quegli anni.

Ci sono due brani eccezionali nel libro, il primo è la maestria nel raccontare in contemporanea l'attentato al dittatore e la scena del cinema gay. E il secondo ha a che fare con ciò che lo stesso Lemebel ha detto del suo stile, "la rabbia è l'inchiostro della mia scrittura"; quella rabbia, quasi una vendetta, ha il suo culmine nella reazione che Lemebel immagina di Pinochet dopo l'attentato, "sul sedile posteriore, il Dittatore tremava come una foglia, non riusciva a parlare, non riusciva a pronunciare una parola, statico, senza muoversi, senza riuscire a sistemarsi sul sedile. Piuttosto, non voleva muoversi, seduto sul caldo intonaco della sua merda che gli scorreva lentamente lungo la gamba, lasciando uscire il fetore putrido della paura. Olé!

I temi affrontati sono vari: violenza, discriminazione, amore e lotta per diritti e libertà.

La violenza è utilizzata per esplorare la realtà politica e sociale del tempo in cui si svolge la storia ed esplorare la psicologia dei personaggi. Pedro Lemebel mostra la brutalità del regime militare cileno e la repressione subita dai gruppi emarginati della società, come gli omosessuali e i dissidenti politici. La violenza subita ed esercitata è una manifestazione del loro dolore e della loro rabbia per l'oppressione che subiscono. In questo senso, la violenza diventa una forma di resistenza e di lotta contro il sistema oppressivo.

Attraverso la figura della Fata, Lemebel ci mostra la lotta quotidiana di un transessuale per trovare il proprio posto in una società che lo emargina e lo discrimina. È un personaggio complesso e poliedrico che sfida gli stereotipi di genere e sessualità. È un uomo che si veste da donna e che si innamora di un guerrigliero rivoluzionario, ma è anche un essere umano con paure, desideri e sogni. vive ai margini della società ed è costretto a nascondere la sua vera identità per sopravvivere. Lemebel tramite le sue traversie ci mostra la crudeltà e l'ingiustizia del regime militare e come ha colpito le persone più vulnerabili della società. Lemebel non romanticizza o idealizza la sua vita, ma ci mostra le difficoltà e i pericoli che affronta per essere ciò che è nella società cilena dell’epoca.

Man mano che il romanzo procede, la Fata dell’Angolo diventa una sorta di mentore per Carlos, aiutandolo a esplorare la propria sessualità e a capire meglio il suo posto nel mondo. Attraverso le loro conversazioni Carlos inizia a rendersi conto che l'identità sessuale è fluida e mutevole, e che non esiste un unico modo di essere maschio o femmina.

La passione e il desiderio si mescolano con l'incertezza e la paura, creando una tensione emotiva che si mantiene per tutto il romanzo. Attraverso il loro amore, entrambi i personaggi sfidano le norme e i pregiudizi di una società conservatrice e repressiva. Pedro Lemebel in modo crudo e onesto riesce a creare una storia d'amore che trascende i limiti del convenzionale e diventa una forma di resistenza e lotta contro l'oppressione e l’ingiustizia, una sfida alle norme e ai pregiudizi di una società conservatrice e repressiva.

 

Genere Narrativa

 Anno di pubblicazione: Italia 2011


lunedì 28 luglio 2025

DIVORARE IL CIELO

 




Divorare il cielo - Paolo Giordano - 

recensione a cura di Patrizia Zara



Con questo romanzo ho concluso definitivamente la mia avventura letteraria con Paolo Giordano. Dopo "La solitudine dei numeri primi"— accattivante solo nel titolo — e l’insipido "Il corpo umano", ho letto "Divorare il cielo" non per masochismo né per concedere una terza possibilità all’autore, ma per qualcosa di molto più prezioso: per amicizia. Se volete, per amore.

Il libro mi è stato donato da una mia amica speciale, con l’invito semplice e dolce: “Leggilo e poi lo commentiamo insieme”. Quelle parole mi hanno scaldato il cuore. Condividere qualcosa — anche un libro che non si ama — con una persona cara è già di per sé un’esperienza meravigliosa.

Lei non è un'amica qualunque: sa ascoltare, non giudica, non impone. Con la sua calma disarmante si può parlare di tutto, persino di un romanzo che, per quanto mi riguarda, nella trama e nella sua costruzione narrativa, ha rappresentato il vuoto assoluto.

A lei è piaciuto. Si è immedesimata in Teresa, nella passione travolgente (e per me profondamente malsana) verso Bern, e nella semplicità rurale di una vita in masseria, immersa nella natura. È romantica, passionale, pura.

A me invece ha confermato l’impressione di uno scrittore mediocre, celebrato nei salotti letterari più chiacchieroni. La scrittura è confusa e melmosa, la storia sconclusionata e priva di energia. Troppi temi, sparati a caso: ribellione adolescenziale, inseminazione artificiale, ambientalismo e molto altro, come se bastasse accumulare spunti per fare letteratura.

La gestione dello spazio e del tempo è snervante, i periodi fantasiosi al punto da offendere l’intelligenza, i dialoghi ridicoli e tediosi da divorarmi i nervi — altro che il cielo!

I personaggi? Inconsistenti, caricature che trasmettono il nulla. Pietoso.

Eppure, ho terminato la lettura. L'ho fatto per lei, che mi aspettava con il suo caffè fumante e le sue torte soffici fatte in casa. E alla fine, tra una risata e l’altra, abbiamo celebrato quanto si possa essere diverse eppure stare bene insieme.

Di questo, in fondo, devo ringraziare Giordano: ci ha regalato un momento di complicità e allegria.

"Alla prossima occasione, ti regalo un altro libro. Così abbiamo modo di ridere ancora insieme". Che splendida persona.

Meglio di così, davvero.

“L’amicizia, quella vera, è il segno che l’umanità non si è ancora estinta”


genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2018

 


sabato 26 luglio 2025

LA FABBRICANTE DI STELLE

 




La fabbricante di stelle  - Melissa Da Costa - 

recensione a cura di Alice Bassoli


Una fiaba per adulti, un balsamo per il cuore.

Arthur ha solo cinque anni quando sua madre gli racconta che presto partirà per Urano, dove disegnerà le stelle. Un modo poetico e struggente per spiegare a un bambino la separazione più difficile di tutte: la perdita di una madre. Anni dopo, Arthur diventa padre e solo allora capisce fino in fondo il gesto d’amore che si cela dietro quella “bugia meravigliosa”.

Mélissa Da Costa costruisce una storia delicata, parla di un’assenza che non smette di pulsare nel petto.

È un racconto zuccherino, sì, ma mai banale. Struggente, eppure pieno di luce. Una storia che parla di morte ma trabocca di vita.

Che guarda avanti, pur sapendo che qualcosa, o qualcuno, sta per finire.

Una lettura toccante, che accarezza dolcemente le ferite più profonde e ci ricorda che l’amore e l’immaginazione sono i veri strumenti per sopravvivere all’addio.


genere: narrativa 

anno di pubblicazione: 2025


martedì 22 luglio 2025

OLGA

 





Olga - Bernard Schilnk -

recensione a cura di Rossella Lombardi

 

La lettura di questo libro è scorrevole e coinvolgente. La struttura narrativa è molto semplice: la storia  si sviluppa infatti in soli tre capitoli.  Nella prima parte vengono presentati dal 1913 in poi i due protagonisti, durante la loro adolescenza. Olga, originaria di Breslavia in Polonia, viene trasferita in Germania, in un piccolo villaggio, dopo la morte di entrambi i genitori, presso la nonna, dura ed anaffettiva. Lì incontra un suo coetaneo, Herbert, appartenente ad una famiglia ricca e molto diverso da lei. Herbert è un personaggio originale, un sognatore, un avventuriero e molto inquieto. Insieme scoprono i primi turbamenti amorosi che lo scrittore descrive con estrema tenerezza. Mentre Olga coltiva il desiderio di studiare, di diventare insegnante, Herbert è pieno di dubbi e di domande: “Esiste l’infinito? Dio e l’infinito sono la stessa cosa? Ciò che è infinito è irraggiungibile?  “Olga più volte gli domanda: “Ma tu cosa cerchi?” e la sua risposta è sempre “Cerco la vastità infinita!  Io voglio di più!”  Olga allora percepisce in lui una disperazione di cui lui non è ancora consapevole.

Poi Herbert viene affascinato dalla filosofia di Nietzsche, dal quale si aspettava risposte alle sue innumerevoli domande. Decide di diventare egli stesso un “Super- uomo “, di non fermarsi prima di aver reso Grande la Germania, per rendere Grande anche se stesso. Si arruola per la campagna di colonizzazione dell’Africa del Nord. Dopo alcuni anni parte per l’Argentina e più avanti organizza una spedizione al Polo per riuscire a tracciare un passaggio a nord-ovest.

Questo primo capitolo del libro è, a mio parere, forse il più bello ed emozionante: è interessante seguire la crescita, sia personale che di coppia, dei due protagonisti, apprezzando di entrambi la tenacia e la determinazione. Nella seconda parte vengono narrate le vicende di Olga, ormai adulta ed insegnante, il suo difficile rapporto con Herbert, i suoi tentativi di rivendicare i diritti delle donne, in una Germania rigidamente maschilista e autoritaria e i suoi scontri con il regime nazista.  Nel 1971, ormai molto anziana, con un colpo di scena, la sua vita finisce tragicamente.

La terza parte del libro, sicuramente la più intima, è una raccolta di lettere che Olga ha scritto a Herbert durante tutta l sua vita, nelle quali vengono svelati dei segreti, descritte esperienze forti della sua vita durante la guerra ed alcuni stati d’animo che la nostra meravigliosa protagonista prova nell’affrontare le numerose e diverse difficoltà della sua esistenza.

Accanto alla descrizione di una splendida figura femminile, fin troppo perfetta e positiva, viene fotografata la tragedia di quegli anni in una Germania diventata matrigna anche per il suo popolo.

Forse avrei gradito che l’autore indagasse in modo più approfondito alcuni aspetti della vita dei protagonisti: il desiderio di maternità di Olga, le difficoltà incontrate in età matura, alla comparsa  della sordità (forse metafora della sua scelta di non voler più ascoltare le voci del contesto umano ma di poter scegliere di interpretare il linguaggio delle labbra di chi e quando lo ritenesse opportuno e utile), ma anche le difficoltà  pratiche e psicologiche  incontrate da Herbert nella realizzazione dei suoi ambiziosi progetti, scavando nelle ragioni più profonde.

Sono comunque molto soddisfatta di questa lettura e colpita che una penna maschile possa aver descritto con tanta delicatezza una figura così intensa come quella di Olga. 


genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2021

lunedì 21 luglio 2025

DOMANI E PER SEMPRE

 




Domani e per sempre – Ermal Meta –  

recensione a cura di Lilli Luini

 

Un romanzo come non ne escono quasi più, questo del musicista albanese alla sua prima prova di scrittore. Un romanzo monumentale, nel solco dei classici, che ci porta dentro la storia albanese della seconda metà del XX secolo.

Karjan, il protagonista, ha sette anni quando lo conosciamo. È il 1943 e lui vive in un paese sperduto nel nord dell’Albania, con il nonno. Perché c’è la guerra e i suoi genitori sono in montagna, partigiani che lottano contro l’occupazione nazista. Ed è proprio un soldato nazista, un disertore, a entrare nella fattoria del nonno, chiedendo aiuto. Il vecchio lo nasconde ed è la prima grande svolta della vita di Karjan: prima di essere un soldato, l’uomo era un professore di musica e in quella povera casa c’è, incredibilmente, un pianoforte. Seduto sulle ginocchia del tedesco, Karjan dimostra la sua grande attitudine e così la musica entra nella sua vita. Molte, moltissime, saranno le svolte che il bambino, poi ragazzo e poi uomo, conoscerà. La musica e l’amore sono le due guide su cui si muove la vita di Karjan, coinvolto suo malgrado in una fuga a ovest che lo terrà lontano dal suo paese per oltre vent’anni.

E qui veniamo allo sfondo del romanzo. L’Albania esce dalla morsa dei nazisti solo per finire sotto il tallone del comunismo, personificato da Erver Hoxha, dittatore spietato e paranoico, che per quarant’anni mantenne nel paese un clima di terrore. Dimenticata da tutti, l’Albania fu l’unica nazione del blocco sovietico a non aderire alla de-stalinizzazione, tanto che venne addirittura sancito l’ateismo di Stato. Il sistema di controllo interno era rigidissimo, i diritti umani sistematicamente calpestati.

L’autore riesce benissimo a infondere nel romanzo quel clima claustrofobico, da pericolo imminente nascosto ovunque, che si respirava in quegli anni. Quando Karjan viene invitato a Berlino Est per un concerto dei migliori studenti dei paesi del Patto di Varsavia, si ritrova lo stesso clima, la stessa cupezza, visibile anche nei palazzi che appaiono tristi, abbandonati.

Innumerevoli gli episodi che ci fanno rabbrividire, episodi di ordinaria sopraffazione, rivolta verso chi pensa e crede che un modello migliore di vita e libertà sia possibile.

Ermal Meta, in diverse interviste, ha ribadito che non si tratta di una biografia, men che meno di un’autobiografia, ma di un romanzo per il quale si è ispirato a moltissime storie tramandate e raccontate, con le quali è riuscito a scrivere un romanzo compatto, non privo di quei colpi di scena che spesso ci riserva la vita vera. Un romanzo pieno di dolore, certo, ma capace anche di non perdere mai la speranza perché, riflette Karja, forse è vero che la vita con una mano ti lancia nel vuoto e con l’altra ti afferra poco prima che tu cada al suolo.

Consigliato a chi cerca un romanzo appassionante, di quelli che ti prendono e non ti mollano più ma al contempo ti aprono uno squarcio su pieghe della Storia dimenticate.


genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2022