Divorare il cielo - Paolo Giordano -
recensione a cura di Patrizia Zara
Con questo romanzo ho concluso definitivamente la mia avventura letteraria con
Paolo Giordano. Dopo "La solitudine dei numeri primi"— accattivante
solo nel titolo — e l’insipido "Il corpo umano", ho letto
"Divorare il cielo" non per masochismo né per concedere una terza
possibilità all’autore, ma per qualcosa di molto più prezioso: per amicizia. Se
volete, per amore.
Il libro mi è stato donato da una mia amica speciale, con l’invito semplice e
dolce: “Leggilo e poi lo commentiamo insieme”. Quelle parole mi hanno scaldato
il cuore. Condividere qualcosa — anche un libro che non si ama — con una
persona cara è già di per sé un’esperienza meravigliosa.
Lei non è un'amica qualunque: sa ascoltare, non giudica, non impone. Con la sua
calma disarmante si può parlare di tutto, persino di un romanzo che, per quanto
mi riguarda, nella trama e nella sua costruzione narrativa, ha rappresentato il
vuoto assoluto.
A lei è piaciuto. Si è immedesimata in Teresa, nella passione travolgente (e
per me profondamente malsana) verso Bern, e nella semplicità rurale di una vita
in masseria, immersa nella natura. È romantica, passionale, pura.
A me invece ha confermato l’impressione di uno scrittore mediocre, celebrato
nei salotti letterari più chiacchieroni. La scrittura è confusa e melmosa, la
storia sconclusionata e priva di energia. Troppi temi, sparati a caso:
ribellione adolescenziale, inseminazione artificiale, ambientalismo e molto
altro, come se bastasse accumulare spunti per fare letteratura.
La gestione dello spazio e del tempo è snervante, i periodi fantasiosi al punto
da offendere l’intelligenza, i dialoghi ridicoli e tediosi da divorarmi i nervi
— altro che il cielo!
I personaggi? Inconsistenti, caricature che trasmettono il nulla. Pietoso.
Eppure, ho terminato la lettura. L'ho fatto per lei, che mi aspettava con il
suo caffè fumante e le sue torte soffici fatte in casa. E alla fine, tra una
risata e l’altra, abbiamo celebrato quanto si possa essere diverse eppure stare
bene insieme.
Di questo, in fondo, devo ringraziare Giordano: ci ha regalato un momento di
complicità e allegria.
"Alla prossima occasione, ti regalo un altro libro. Così abbiamo modo di
ridere ancora insieme". Che splendida persona.
Meglio di così, davvero.
“L’amicizia, quella vera, è il segno che l’umanità non si è ancora estinta”
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2018
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