MARZO/APRILE
una storia sbagliata ⭐⭐⭐⭐
la ninnananna degli alberi ⭐⭐⭐⭐★
querida ⭐⭐⭐⭐
cento giorni che non torno ⭐⭐⭐⭐
un nuovo giorno a wonderson... ⭐⭐⭐⭐
nessuna traccia dell'assassino ⭐⭐⭐⭐
cadere ⭐⭐⭐⭐
cella numero 23 ⭐⭐⭐⭐
nuvole grigie ⭐⭐⭐★
MARZO/APRILE
una storia sbagliata ⭐⭐⭐⭐
la ninnananna degli alberi ⭐⭐⭐⭐★
querida ⭐⭐⭐⭐
cento giorni che non torno ⭐⭐⭐⭐
un nuovo giorno a wonderson... ⭐⭐⭐⭐
nessuna traccia dell'assassino ⭐⭐⭐⭐
cadere ⭐⭐⭐⭐
cella numero 23 ⭐⭐⭐⭐
nuvole grigie ⭐⭐⭐★
Le vite nascoste dei colori - Laura Imai Messina
recensione a cura di Patrizia Zara
Voglio andare a Kyoto. Voglio cercare Mio, la stravagante
principessa dei colori e Aoi, il sensibile principe del trapasso: i due numeri
primi nipponici.
Accompagnata da Mio voglio risposarmi per indossare il Shiromuku, l'abito
tradizione giapponese con i suoi innumerevoli strati e i suoi preziosi ricami.
Voglio infarinarmi di bianco il volto e dipingere le labbra in verticale di
rosso.
Con Aoi voglio assistere a una cerimonia funebre con il rituale buddhista e
piangere con i "Rimasti", in un rispettoso silenzio, nel momento del
trapasso di un'anima verso l'infinito.
Voglio guardare con gli occhi di Mio, che ha uno spettro di percezione elevato
al quadrato, e vedere tutti i colori e le tonalità del mondo e le loro
innumerabili sfumature. Voglio percepire con gli occhi di Aoi il colore, quel
solo colore, che contenga tutti i colori dell'amore.
Ecco che cosa ho desiderato dopo la lettura di questo romanzo dal sapore
orientale. Già, poiché è diverso nel ritmo, nelle parole, nei suoni, nei
modi.
L' Oriente è opposto all'occidente. L'Est e l'Ovest. L'alba e il tramonto.
L'aurora e il crepuscolo. Il giorno e la notte. L'inizio e la fine. La vita e
la morte.
Tuttavia ogni forma contiene il suo contrario. Ogni opposto include il suo
complementare. E viceversa.
Da ciò, sebbene il romanzo sia ambientato in una terra del Sol Levante, dopo le
lettura mi sono resa conto che comunque i colori delle emozioni, delle paure,
della gioia e del dolore, dell'amore, del tradimento e della fedeltà, della
vita e della morte non hanno confini, né tradizioni, né riti.
Per questo ho avuto il desiderio di specchiarmi per individuare il colore
che mi definisse, anche qui, nel mio luogo occidentale (un pasticcio di tinte
accecanti).
Ho guardato mio marito e gli ho dato un colore (non so se è contento che lo
chiami verde acqua!) E mi sono chiesta: ma qual è il colore che ci unisce? (Ci
sto pensando ancora).
"La vita nascosta dei colori" è un romanzo magico, è un saggio sui
riti giapponesi, è un insieme di riflessioni.
Ma è soprattutto un romanzo d'amore e di cauti colpi di scena; di segreti
celati fra le stoffe e i ricami.
Con il suo ritmo cadenzato e morbido, simile allo sfogliare di un album di
ricordi, in un'intima deflagrazione di emozioni, è il rivelarsi delle
vite, così tremendamente umane, nascoste fra le innumerevoli tinte dei colori
È il dolce sapore di un Chupa Chups succhiato fra le labbra per addolcire
l'ineffabile destino di ogni essere vivente.
È l'incontro delicato di due corpi impauriti dalle loro diversità, l'uno che
immerge l'anima nei colori dell'altro, e questo ne beve l'arcobaleno dal calice
dell'amore.
E' la sconfitta della paura poiché "se non tolleri che tutto
finisca, come puoi accettare che inizi?"
Da leggere malgrado qualche passo ripetitivo di troppo.
"A Sabrina, la mia amica color rosa pesca, che mi ha regalato il libro.
Un dono graditissimo”
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2021
Nuvole grigie - Stefania Tedesco
recensione a cura di Gino Campaner
📖Spiccioli di trama:
Maurizio Righetti, cardiologo, viene ucciso nel suo yatch durante una gita in
mare organizzata per poter radunare tutti gli amici più cari perché deve fare
una comunicazione importante. Purtroppo però viene assassinato prima che possa
parlare ed allora del motivo di questa gita lo si saprà dalle indagini svolte
dal commissario Cecilia Orlandi e dalla sua squadra. Attraverso gli
interrogatori dei partecipanti alla festa si verranno a sapere molte cose delle
loro vite e del loro carattere. Saranno rivelati tanti particolari che
metteranno sulla strada giusta Cecilia.
🔥Punto di forza:
certamente il ritmo del racconto. Non ci si annoia mai e si arriva al termine
del romanzo senza quasi accorgersene. Poi l'ironia che pervade tutto il libro.
Si sorride spesso e volentieri. I personaggi creati dalla penna della Tedesco.
Tutti ben tratteggiati e curiosi.
🙁Punto debole: un po' la
trama gialla, la storia è molto interessante, soprattutto all'inizio, e
promette bene ma la soluzione a parer mio è un po' troppo rapida e semplice,
non prevede colpi di scena particolari. Il lettore rimane agganciato al romanzo
soprattutto grazie alla capacità dell'autrice nello scrivere, quello si sempre
coinvolgente.
🏁Finale: il finale vede
la soluzione del caso, senza perdite eccellenti. Solo quella dell'assassino,
che è necessariamente uno dei partecipanti al party, che verrà assicurato alla
giustizia e che è un nome imprevedibile e a sorpresa.
🎓Giudizio complessivo: ⭐⭐⭐★
come prima opera non c'è male soprattutto perché è scritto molto bene, si legge
con piacere senza orpelli narrativi non necessari ma con idee originali, con
tanta ironia e con personaggi indovinati. Sono molto curioso di leggere la seconda
indagine della commissaria Orlandi uscita molto recentemente.
📚Orfani Bianchi - Antonio Manzini 📚
recensione a cura di Alice Bassoli
🌟🌟🌟🌟🌟
💔 Mirta, una donna
moldava in fuga da un passato di miseria, è il cuore pulsante di questo
romanzo. Accudisce gli ultimi momenti di vite spente, immergendosi
nell'intimità di chi ha perso ogni speranza. E lo fa con una forza e una
bellezza che ti toccano nel profondo.
🕊️ Manzini dipinge un
quadro spietato della società contemporanea, senza risparmiare nessuno dei suoi
personaggi. Ci mostra la disperazione, la solitudine, ma anche la resilienza e
la tenerezza nascosta dietro le facciate fragili.
😢 Questo libro va oltre
le aspettative, superando ogni confine con una narrazione commovente, autentica
e profondamente umana. Non dimenticherò mai Mirta e tutti gli altri
protagonisti, perché le loro storie sono diventate parte di me.
🎉 Meraviglioso,
assolutamente consigliato. Grazie, Antonio Manzini, per avermi regalato
un'esperienza di lettura così intensa e indimenticabile.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2016
Il figlio del padre - Victor Del Arbol -
recensione a cura di Lilli Luini
Non voglio ingannarti, tutto quello che
hai sentito su di me, e anche quello che non hai sentito, è vero: ho
sequestrato Martin Pearce, l’ho infilato nel bagagliaio della mia auto e ho guidato
per più di mille chilometri fino alla Casa Grande. Una volta lì l’ho torturato
per tre giorni e tre lunghe notti e l’11 novembre del 2010 l’ho ucciso
sparandogli due volte in testa. Poi ho chiamato la polizia e mi sono seduto ad
aspettare.
Comincia così, con la confessione di Diego Martín, questo romanzo contemporaneo spagnolo, ma non è un giallo e nemmeno un noir. Non solo, almeno, e non in senso classico. È piuttosto la storia di una famiglia sui cui componenti maschili pare gravare una maledizione che li conduce alla violenza, alla sopraffazione, all’incapacità di comunicare.
La storia si snoda su diversi piani
narrativi che cronologicamente vanno dalla fine della guerra civile spagnola
(1939) fino al 2010 e prende l’avvio con la morte di Antonio, padre di Diego. I
due non si parlano da moltissimi anni ma è proprio a questo figlio ripudiato
che l’uomo lascia la Casa Grande, cioè la casa di famiglia in una valle
dell’Estremadura. Prendere contatto con i luoghi della sua infanzia e
partecipare al funerale del padre per Diego significa riaprire ferite che
credeva di aver curato.
L’autore, partendo dalla vicenda di
Simon, nonno di Diego e padre di Antonio, ripercorre la storia di famiglia e la
Storia spagnola, la guerra, gli anni del franchismo, la migrazione dalla
campagna alla città, il difficile ritorno alla democrazia.
I Martin vivono in una regione povera,
l’Estremadura, servi di una famiglia potente a cui solo asserviti in totale
passività, che si riflette nella violenza che i padri e anche le madri sfogano
sui figli. Anche quando si ritrovano
scacciati e senza mezzi di sostentamento, catapultati in una vita tutta da
ricostruire, non trovano la strada per rimanere uniti.
Simon scaccia e rinnega Antonio, che a
sua volta scaccia e rinnega Diego. Quest’ultimo però decide di prendere in mano
la propria vita e rompere con il passato, ricostruendosi completamente e a
prescindere dalla figura del padre. Ma la morte di quest’ultimo rompe
l’equilibrio e la sua nuova vita comincia a sfaldarsi fino ad arrivare
all’omicidio.
Il titolo evidenzia proprio il processo
attraverso il quale Diego scopre di essere esattamente come quell’uomo da cui
voleva distinguersi ed è nella sua dolorosa confessione che ne prende atto.
Non è un romanzo facile, esige
concentrazione e questo è il suo punto debole: i piani narrativi sono diversi e
i personaggi che si incontrano e si intersecano sono tanti. Altro punto debole, per un lettore impaziente,
è l’inizio, che può indurre a credere di trovarsi in un libro-diario scritto in
prima persona con un solo punto di vista.
Non è affatto così, le note scritte da
Diego nell’Unità di Valutazione Psichiatrica a beneficio dei suoi medici sono
solo un fil rouge che unisce nel presente tutti gli accadimenti passati in un
fiume impetuoso e appassionante che ti prende e ti porta via.
Perché, e qui arriviamo al punto forte,
è un romanzo molto bello, scritto benissimo, pagine che ti accolgono e ti
avvolgono. Secondo me, per essere apprezzato in pieno va letto senza troppo
centellinare. Per dirla in parole più semplici: è un libro da leggere in due o
tre giorni di relax, non due o tre pagine ogni sera perché si rischia di
perdere il filo.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2022
Gènie la matta - Inès Cagnati -
Un
libro da leggere tutto d’un fiato fino a chiuderlo scossi e straziati.
È
un romanzo feroce e spietato, una storia triste e disperata, un’opera tragica
sulla vita misera tra i campi, con il lavoro senza sosta in primo piano, sulla
pazzia usata come rifiuto ed emarginazione di chi fa scelte diverse, ma è
soprattutto il dramma di due vite disperate escluse dalla loro comunità, e del
desiderio di Gènie di difendere a ogni costo la figlia Marie dalle pene che lei
ha sofferto.
Dopo
uno stupro per il quale Génie è ripudiata dalla propria famiglia e messa
all’indice dall’intera comunità, cresce la figlia Marie col lavoro duro nei
campi per un tozzo di pane e rifugiandosi nel silenzio. Silenzio che viene
considerato pazzia.
Con
uno stile scabro, brusco e ripetitivo, giocato sui refrain (“Non starmi tra i piedi”, “Non ho avuto
niente io”) con una voce quindi colloquiale che si mischia a tratti con una
voce poetica “i suoi occhi diventavano
spiagge vellutate dove danzava l’acqua popolata di stelle” racconta le vite
miserabili degli emarginati spezzati come è stata spezzata Gènie e la
sopravvivenza ostinata ai soprusi. La scrittura precisa, secca e tagliente lascia
lo spazio essenzialmente alla storia, agli avvenimenti e ai silenzi con un
ritmo ripetitivo in una sorta di crescendo emotivo che porta a un finale
tragico e inevitabile. Ciò permette al lettore di “sentire” la grande paura di
Marie di essere abbandonata, di avvertire la sua ostinazione prima e la sua
rassegnazione poi, finendo senza alcuna speranza.
Gènie
lavora tutto il giorno per nutrire la figlia, ma affettivamente la nutre di
silenzi e il racconto che ne fa Marie è un infinito atto d’amore per la madre e
un concentrato di sofferenza che fa distogliere lo sguardo. C’è un passaggio
che si ripete nel libro quando madre e figlia si recano al lavoro nei campi e
Gènie cammina rapida mentre Marie la rincorre con la paura di perderla, Gènie
rallenta fino a rivedere la figlia per poi riallungare il passo e allontanarsi
di nuovo. Nell’alternarsi di questa distanza tra vicinanza e lontananza si
sente il desiderio della madre di tenere lontana dalla figlia le sofferenze che
l’hanno segnata. Marie segue la madre nella durezza e nelle rinunce, soffrendo
per la sua apparente freddezza e dovrà rinunciare a un cane, a una piccola
mucca cieca, a un anatroccolo.
Piccole
felicità attraversano il suo cammino: la bellezza della natura e delle stagioni
che passano, l’amore che lei descrive “meno lontano” del nonno, spazi reali o
immaginari lontani dal luoghi abitati, ma il male dirompe e non può essere
fermato.
Gènie,
secondo sua madre che l’ha ripudiata, è meglio sia rinchiusa in un manicomio
così da scomparire alla vista; è il capro espiatorio di un’intera comunità che,
etichettandola come pazza si sente “normale” e virtuosa, esempio universale
dell’ostracismo del diverso, del differente.
Cagnati
pone l’esergo alla fine del libro, è una citazione del poeta Robert Desnos
(1900 – 1945) che riassume finalmente la pietà per la protagonista: “Lasciatela dormire / Lasciate le grandi
querce attorno al suo letto / Non scacciate dalla camera quell’umile margherita
/ mezzo sfiorita / Lasciatela dormire”.
Leggendo
l’intervista dell’autrice alla fine del libro e le poche notizie sulla sua vita
si ha l’impressione che la sua scrittura e il suo racconto siano esiti
scaturiti proprio dal suo vissuto con gli squilibri subiti e dovuti alle
differenze di cultura, di lingua, di classe sociale e anche di genere.
Genere: Narrativa
Di cosa è fatta la speranza - Emmanuel Exitu -
recensione a cura di Connie Bandini
Emmanuel
Exitu mostra il potere di uno dei
sentimenti più intensi attraverso la storia di un gruppo di allieve infermiere
che operano in un ospedale da campo allestito fuori Londra. Tra tutte, però, è
una quella su cui l’attenzione dell’autore si concentra. È una spilungona che
le colleghe Giraffa. È Cicely Saunders, allieva infermiera della Scuola
sperimentale per infermiere Nightingale a Londra che, insieme alle
compagne di corso raggiunge, il 15 ottobre 1943, un ospedale in cui comincia a
prestare servizio ai feriti di guerra. Le notti insonni in corsia, tra le
sofferenze di giovani corpi martoriati, spingono Cicely a realizzare che troppo
spesso si resta impotenti di fronte al dolore e alla morte.
La
giovane donna si ricicla come assistente
sociale sanitario e finisce per occupars idi pazienti oncologici, presso il St.
Thomas Hospital.
A
contatto con disperazione ed emarginazione, la giovane si rende conto di cosa
davvero possa arginare la sofferenza in chi non ha più alcuna speranza di
guarigione. Capisce che «prima di ogni terapia, la medicina è uno
sguardo all’altro pieno di rispetto» e, una volta conseguita la laurea in
Medicina, apre nel 1967 in primo hospice. Non si tratta di un luogo dove
semplicemente si va a morire, ma di una casa-ospedale: una casa specializzata
come un ospedale e un ospedale caldo come una casa. Una realtà, quindi, in cui
il malato terminale possa vivere fino all’ultimo istante con la dignità che
ogni esistenza merita.
Il
risultato è un percorso luminoso, che va oltre la biografia, colpisce ciascun
lettore e racconta la speranza dietro al dolore, l’empatia dietro la fatica, la
luce dietro alla sofferenza.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2023
Nel mare ci sono i coccodrilli – Fabio Geda -
recensione a cura di Francesca Tornabene
"Tanta gentilezza, secondo me, la si tramanda solo con
l'esempio"
Ho fatto un viaggio incredibile attraverso gli occhi di un
bambino afgano di soli 10 anni.
Siamo partiti da Nava in Afghanistan, attraverso il
Pakistan, l'Iran, la Turchia, la Grecia, fino ad arrivare in Italia.
Un viaggio segnato in una grande mappa, all'inizio del
libro, che scandisce anche il tempo di questa storia.
Da subito, sono stata catturata dalla semplicità di questo
intrepido viaggiatore solitario: Enaiatollah Akbari.
Il titolo è talmente suggestivo da sembrare
"quasi" una favola da raccontare ai bambini prima di andare a
dormire.
Per tutto il viaggio ho avuto sempre in mente: "il
mare" e "i coccodrilli".
Da subito le domande che mi sono posta erano
"come?" e "perché?".
Come può un bambino solo ed indifeso affrontare questo
viaggio?
Perché deve lasciare il suo paese natio?
Ed ancora.
Rivedrà un giorno sua madre e i suoi fratelli?
Nelle pagine di questo libro "destino e
destinazione" si confondono, svelandoci pian piano tutte le risposte.
La sua storia, la sua genuinità e la determinazione, la sua
educazione, il suo inarrestabile sorriso, i temi trattati, mi hanno tenuta
incollata fino alla fine di queste pagine.
Ho divorato ogni parola, ogni singola emozione fino
all'esplosione finale.
Forse, solo nelle ultime pagine, comprendo il senso di
questo incredibile viaggio.
Rimango in silenzio senza fiato ad ascoltare ancora una
volta l'eco di quel "ricordo", ormai andato, e ne faccio tesoro.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2013
Nessuna traccia dell'assassino -Lilli Luini
recensione a cura di Gino Campaner
📖Spiccioli di trama: la
squadra del commissario Castano deve indagare su un caso che si rivela molto
complesso. Deve individuare l'assassino di due giovani (Giuliano e Giada)
uccisi mentre passeggiavano in un boschetto. Qualche giorno dopo viene
ritrovato il cadavere di un altro individuo. Le indagini si presentano subito
molto difficili. I due casi non sembrano collegati. A dare una mano per
tracciare il possibile identikit degli assassini viene interpellata Lorena
Montaldi, profiler della polizia. La Montaldi sarà parecchio sotto pressione
perché non sarà l'unico caso che le verrà sottoposto rivestendo anche il ruolo
di consulente del tribunale dei minori. Le indagini per gli omicidi si
prospettano da subito difficili. Chi ha ucciso non ha lasciato tracce. Ha agito
con calma e risolutezza.
🔥Punto di forza :La Luini con questo thriller giunge alla terza indagine del commissario Nicola Castano sempre coadiuvato dalla profiler e criminologa Lorena Montaldi, sua compagna. Conosce bene i meccanismi narrativi per tener desta l'attenzione del lettore e se ne serve con maestria. Scritto con una grande cura che regala ritmo e interesse al racconto. Lettura che coinvolge e non annoia mai. Tutto rimane avvolto nel dubbio fino alle pagine finali.
🙁Punto debole: direi nessuno. Il suo limite può essere il gradimento o meno del lettore per questo genere di romanzo. È un thriller. Un police procedural costruito benissimo. Scritto con grande attenzione. Per chi li ama questo è un romanzo da tenere in grande considerazione.
🏁Finale: il finale è un
vero colpo di teatro. In qualche modo la Montaldi nei suoi tanti ragionamenti
ci era arrivata ad individuare il killer, ma spesso se anche si ha la soluzione
a portata di mano questa continua a rimanere difficile da far emergere e ancor
di più da dimostrare. La verità "vera" si conoscerà solo nelle ultime
righe del romanzo. È sarà una vera rivelazione. Quanto mai sorprendente, se pur
ipotizzabile.
🎓Giudizio complessivo: ⭐⭐⭐⭐
Io amo molto i gialli di Lilli Luini, questo è il terzo con
la Montaldi protagonista. I primi due sono uno più bello dell'altro. La Luini
ha una scrittura che conquista e coinvolge, i personaggi che crea sono sempre
ben delineati e la squadra investigativa molto affiatata. Ha una lunga
esperienza nel campo della scrittura e nel leggere i suoi romanzi si capisce
bene. Nel raccontare gialli si trova a suo agio e per il lettore è un piacere
affrontare un suo libro.
genere: giallo
anno di pubblicazione: 2024
Il professore e la ballerina del carillon - Dorothi Tse -
recensione a cura di Ornella Donna
Dorothy Tse
è una delle voci più originali della letteratura contemporanea in lingua
cinese, è nata a Hong Kong, dove tuttora risiede e dove insegna scrittura
creativa alla Hong Kong Baptisti University. Autrice prolifica, ha all’attivo
diverse raccolte di racconti che le sono valse numerosi premi locali ed
internazionali, tra cui i prestigiosi Hong Kong Book Prize e Unitas New Fiction
Writers’ Award. Inoltre è tra i fondatori di Fleurs des Lettres, una delle
principali riviste letterarie di Hong Kong.
Il professore e la ballerina del
carillon è il suo primo romanzo , nonché la sua prima opera ad
essere tradotta in italiano. Un libro di non immediata lettura, a causa di un
linguaggio fluido ma ricco di metafore, la cui copertina, bellissima, è di
primo impatto per il lettore molto notevole.
Il
romanzo racconta la storia di vita del professor Q, un uomo molto frustrato,
docente universitario con scarsi risultati fruttuosi, infatti le sue
pubblicazioni vengono sempre respinte, e le sue domande di avanzamento di
carriera sempre respinte. Sposato con Maria, una donna semplice, lavoratrice,
poco espansiva, poco attraente, i due hanno scarsi rapporti sessuali, e non
solo. I due abitano in una città fittizia, denominata Never (che assomiglia in
modo inquietante a Hong Kong), dove:
“una città sulla costa della Ksina
meridionale fiorita sotto l’impero vitriese, che aveva regnato sul territorio
per oltre un secolo e ora era al canto del cigno. I grattacieli si conficcavano
nel cielo come armi letali. Ogni sera alla stessa ora i fasci di luce
mitragliavano le due sponde della baia di Vitria abbagliando i passanti.”
Il
professore Q è un uomo depresso, e molto solo; marito di Maria, di lui si
ignorano le origini, ma ha un modo per non lasciarsi sconfiggere dallo
sconforto: amare e collezionare le bambole. Per lui le bambole sono la sua
unica ragione di vita: le pulisce, le lava, le veste e le parla assieme. Un
giorno, mentre girovagava per la città, inquieto e insoddisfatto, scopre uno
strano negozio di antiquariato, dove trova una bambola bellissima a carillon:
“poteva ammirare il cartellone con la
ballerina stretta in un tutù bianco con le braccia aperte e il busto proteso in
avanti come un cigno che lo trafiggeva con lo sguardo. (…) lui guardò il
biglietto e scoprì che “lei” Eilis, la ragazza del carillon, era lì.”
Il
professore non può che innamorarsi della bambolina. Perché l’amore spesso:
“Dicono che l’amore renda ciechi. Nel
caso del professor Q sarebbe stato più corretto dire che l’amore aveva
modificato la sua percezione della realtà”
Che
accadrà ora al professore? Potrà vivere liberamente il suo amore? O il destino
gli sarà, ancora una volta avverso? Che tipo di amore lega i due? Che realtà si
prospetta davanti agli occhi del protagonista? Troverà finalmente vita una
nuova esistenza soddisfacente?
Il
libro è una fiaba, costruito su metafore, ha un linguaggio fluido, ma cupo,
quasi da incubo. E’ una metafora ininterrotta costruita per raccontare ciò che
avviene, in realtà, nella città di Hong Kong- Never:
“si trova sulla linea di confine tra il
reale e l’onirico, il passato ritorna come un lampo e in quel breve istante si
ha la sensazione di avvicinarsi ad un richiamo ormai dimenticato, debole eppure
tenace.”
Il
libro è stato scelto dalla redazione dell’inserto di Repubblica, Robinson, che
lo posiziona al sesto posto della sua classifica, ed è una non facile lettura,
a metà via tra il sogno e la realtà, e simboleggia il divario costante tra
libertà e dittatura, di non sempre immediata percezione. Passato e presente si
intrecciano in una storia fiabesca, che si libra alta nel cielo. Per chi ama
leggere tra le righe un romanzo perfetto, per gli altri una lettura che
colpisce per il suo fascino intrinseco e sotterraneo, difficile da decifrare,
ma intimo e veritiero. Buona lettura!
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2024
Molto forte, incredibilmente vicino - J. Safran Foer -
recensione a cura di Lilli Luini
Non è un libro facile, di quelli
che divertono passando via senza lasciare traccia. Questo è un libro che resta
per sempre, se riesci a entrarci e ad accettare il modo in cui l’autore te lo pone.
Oskar racconta, incolla le fotografie che ritaglia dai giornali o che scatta
lui stesso e già questa forma può spiazzare. Ma la difficoltà maggiore la si
incontra quando alla voce dell’io narrante si aggiungono altre voci che non
sappiamo a chi appartengano. L’autore padroneggia con grande maestria i vari
piani narrativi e infatti, una volta compreso il meccanismo e le identità degli
altri narratori, il romanzo fluisce trascinandoti con sé come in una piena fino
alle pagine finali, fatti di parole e immagini indimenticabili.
Oskar Schell è un bambino quasi
geniale che tuttavia parla con un gergo da bambino e con la sincerità candida di
un bambino, a volte con trovate lessicali spiazzanti.
«Ho
tirato su la lampo del sacco a pelo di me stesso.»
Il suo percorso attraverso New
York è una sorta di viaggio dantesco, dove incontra personaggi improbabili ma
del tutto possibili, accompagnato da un Mister Black che sembra un novello
Virgilio e del quale non sapremo nulla, neppure se è reale o immaginario. Ma
non ha importanza, perché quello di Oskar è un viaggio dell’inconscio, per
ritrovare un senso alla propria vita e un’idea di futuro dopo una perdita
devastante.
Un viaggio in cui anche la
psicoterapia può fare poco, come ci mostrano i dialoghi di Oskar con il dottor
Fein:
«Mi
stavo domandando se per caso parte di quello che provi non derivi da qualche
cambiamento nel tuo corpo.»
«No.
Deriva dal fatto che mio padre è morto della morte più orribile che uno si
possa inventare.»
La soluzione dell’enigma della
chiave è geniale, andando a chiudere un altro cerchio, un’altra perdita, così
come la vicenda passata della famiglia di Oskar si unisce a quella presente,
formando un unico fiume che ci condurrà alla fine.
Ci sono pagine strazianti, altre
di una crudezza senza pari (il bombardamento di Dresda, in cui i nonni di Oskar
persero tutto tranne se stessi) e alla fine, oltre a un romanzo sulla perdita,
è anche un romanzo sull’insensatezza della violenza, delle guerre che
distruggono per sempre le vite non solo di quelli che muoiono ma anche dei
sopravvissuti, che devono trovare un nuovo senso all’esistenza stessa.
Come dicevo, il romanzo è
popolato di molti personaggi che circondano Oskar o lo incontrano nella sua
ricerca. Alcuni appaiono per poche righe, ma la scrittura è talmente intensa da
renderli ben visibili al lettore, unici nel loro modo di essere. Anche la città
è un personaggio importante, circonda Oskar e ne condivide il dolore.
«Quella
sera, a letto, ho inventato uno scarico speciale da mettere sotto tutti i
cuscini di New York, collegato al laghetto del Central Park. Ogni volta che
qualcuno si addormentava piangendo, tutte le lacrime sarebbero finite nello
stesso posto e poi al mattino al bollettino meteo avrebbero detto se il livello
delle acque del Laghetto delle Lacrime era salito o sceso, così la gente poteva
sapere se le scarpe di New York erano pesanti.»
Difficile
alla fine lasciare andare questo bambino geniale, difficile non pensare a lui
come a una persona vera, anziché un personaggio di un romanzo. e non chiedersi
come affronterà il resto della sua vita. Ma è questo che fa la grandezza di un
romanzo.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2005
Doppio sogno - Arthur Schnitzler -
recensione a cura di Patrizia Zara
L'essere umano è complicato.
Non si può non affermare il contrario. Un tumulto di sensazioni, sentimenti,
emozioni, turbamenti, istinti e repressioni.
Infinite sfumature che si perdono dalla notte dei tempi.
E più questo essere, creato senza certezze, si innalza socialmente verso la
piramide convenzionale, più tutto appare nebuloso: realtà e sogno, materialità
e spettralità, psiche e inconscio si confondono nei meandri neuronali nel
vortice di verità e menzogne. La natura primitiva relegata nella sfera onirica,
questa sempre più sottile e insidiosa, un territorio fluttuante fra conscio e
inconscio tanto da determinare crisi e sgomento ponendo l'individuo di fronte
alla enigmatica e instabile realtà dell’esistenza.
Noi, essere umani, non siamo mai del tutto sinceri con gli altri e soprattutto
con noi stessi. Non possiamo esserlo per conformazione, per genesi. La dualità
è intrinseca in noi. C'è poco da fare.
E se tentiamo di raccontarci, dentro e fuori del nostro contorto Ego i nostri
sogni più primordiali e anticonvenzionali la facciata dell'Ego si sgretola e
l'Es ci appare sinistro, oscillando tra spinte pulsionali di carattere erotico
(Eros) e aggressive e auto-distruttive (Thanatos).
"Soltanto per le scale si rese conto di nuovo che tutto quell'ordine,
quell'armonia, quella sicurezza della sua esistenza non erano che apparenza e
menzogna".
Una coppia borghese della Vienna bene. In crisi. La rivelazione di un sogno, il
crollo dei pilastri di sabbia, fondamenta tanto labili da sgretolarsi.
La ricerca di un sogno che possa pareggiare i conti, sogno di ripicca, di
vendetta, che possa in qualche modo essere disincantante e tranquillizzante,
dare sollievo. E scoprire che aprendo le porte di quei sogni sfuggenti, senza
capo né coda, nei quali la realtà conscia funge da d’impasto, l’orizzonte
prospetta percorsi inquietanti e torbidi in questo mondo sul quale " non
veglia più alcun Dio"
Albertine, moglie e madre, donna, Fridolin, marito, medico, uomo.
L'una conscia di non potere ipotecare il futuro: siamo umani, siamo preda di
istinti. Una donna intelligente...
L' altro, uomo convenzionale, schiacciato dal pregiudizio che concede il
diritto a una morale: un codardo, un debole, vittima del suo stesso potere
maschile riconosciuto da una società di apparenze e di abominevole predominio.
"Doppio sogno" è una chicca, alta maestria di scrittura, capacità di
scavare nelle torbide acque umane e smascherare, almeno per una notte, il vero
volto di ciò che non potrà mai avere una netta chiarezza, poiché di suo
l'essere umano non ha conferme. E pur cercando le strade della verità, troviamo
a un certo punto questo piccolo essere, perso nel suo stesso sogno.
In quel sogno che è di per sé angosciante ma nel contempo, liberatorio.
Freud ne sapeva qualcosa.
Quietate le acque dell'inconscio, si riprende la strada asfaltata nell’attesa
di interpretare un altro sogno, oppure un'altra realtà? Di una cosa si è certi:
non si mai liberi neppure di se stessi e che soltanto la quiete della morte
annulla tutte le dimensioni umane.
Ho trovato questa deliziosa, incredibile novella molto attuale.
La maschera, emblema dell'incomunicabilità, è oggi da ricercare sui profili
social in cui i sogni sembrano realizzarsi in tutta la sua splendente apparenza
e perdere così, il senso di una realtà già di per sé confusa.
E inoltre il rapporto uomo/donna, sempre più fragile, vede il sesso femminile
più propenso alla verità mentre il sesso cosiddetto forte appare destabilizzato
e preda delle sue stesse menzogne (il femminicidio è una vera piaga).
P.s. Kubriky ne ha tratto un film "Eyes Wide Shut", ma ritengo che il
libro "Doppio Sogno" sia superiore per chiarezza e limpidezza nelle
rappresentazioni reali e oniriche, malgrado i temi trattati, e risulta meno
viscido e ambiguo del film che, a mio avviso, ha un nonsoché di sordido.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 1926
I coraggiosi saranno perdonati - Chris Cleave
recensione a cura di Connie Bandini
Avere diciotto anni e il
desiderio di servire la patria offrendosi volontaria. Questo è ciò che anima
Mary North, giovane ragazza della Londra del 1939, che spera di essere
assegnata a un incarico che possa contribuire a dare una mano alla sua nazione:
spia, magari. O anche solo ufficiale di collegamento.
In realtà tutto ciò che
ottiene è un ruolo che ricorda vagamente quello di insegnante: viene incaricata
di condurre in campagna un gruppo di alunni, prima che il conflitto vero abbia
inizio. Quando poi viene rimossa dall’incarico, perché poco mansueta e per
nulla docile, vorrebbe un’altra classe, in cui magari far convergere tutti i
ragazzini rimasti in città, perché diversi: quelli più strani o con evidenti
difetti fisici. Oppure quelli di colore.
Anche Tom è rimasto in città
e ha preferito la direzione di un distretto scolastico al lustro della gloria
militare.
Quando Tom e Mary si
incontrano, si tratta dell’unione tra due “kindred spirits”, anime affini che
parlano una comune lingua e vedono il mondo dalla medesima angolazione e
attraverso le stesse lenti.
Tuttavia la vita spesso si
diverte a stravolgere tutto e anche per Tom e Mary le cose si complicano
parecchio.
Un romanzo che parla di
guerra e riesce a farlo con una dose d’ironia e d’amarezza insieme. Una storia
avvincente, che racconta la profondità di un amore vero, che sa combattere
contro la sofferenza e apprezzare le piccole conquiste, quelle che inondano il
cuore di speranza e parlano il linguaggio della comprensione, dell’affetto
reciproco, dell’orgoglio e della fierezza.
Personaggi molto ben
tratteggiati che lasciano il segno e invitano il lettore a riflettere sui
controsensi e l’ambiguità dell’uomo, oltre che sulla consapevolezza di quanto
la vita possa regalare in un istante, e altrettanto rapidamente strappare via.
genere: narrativa
Cella numero 23 - Manuela Maccanti
recensione a cura di Gino Campaner
📖Spiccioli di trama:
Donato è accusato di aver ucciso il fratello (Samuele), per questo viene
condotto in carcere. Lui si proclama innocente. Divide la cella con Jack. La n.
23...Insieme cercheranno di capire chi può essere stato il vero assassino di
Samuele e perché lo ha voluto incastrare con un'accusa così infamante. La vita
di entrambi non è stata sempre edificante e si ritroveranno a confessarsi, più
Donato che Jack in realtà, le loro condotte non sempre irreprensibili.
Procedendo con la lettura si apriranno scenari inquietanti ed inattesi ed i
punti oscuri nel racconto di Donato saranno sempre di più... il lettore sarà
sempre più dubbioso.
🔥Punto di forza:
l'originalità del racconto, che non risparmia descrizioni molto forti di alcuni
avvenimenti accaduti ai due carcerati. Personaggi descritti con incisivita.
Storia che coinvolge e si fa leggere con piacere per la voglia di sapere come
si sono veramente svolti i fatti. Ritmo veloce reso ancora più interessante per
alternarsi del punto di vista dei due protagonisti.
🙁Punto
debole: non rappresenta un punto debole ma solo la mia necessità di capire.
Spero abbia possibilità di fugare i miei dubbi. Nulla comunque che compromette
la bontà del romanzo. Ma io sono curioso e dopo aver letto un libro mi
rimangono spesso mille domande. Segno comunque che il racconto mi ha coinvolto
e conquistato, come in questo caso.
🏁Finale:
il finale è un vero colpo di teatro. Spiazzante, se plausibile veramente una
trovata geniale. Già da solo restituisce grande valore all'intero racconto.
Rappresenta la ciliegina sulla torta di un ottimo romanzo.
🎓Giudizio
complessivo: ⭐⭐⭐⭐
Ovviamente più che positivo, non ci sono punti oscuri. Rimane solo il piacere
di leggere il romanzo e farsi coinvolgere da una storia che fa spesso
vacillare, quando non proprio stravolgere, le nostre convinzioni fin lì
maturate. Complimenti all'autrice.
genere: thriller psicologico
anno di pubblicazione: 2023
Scighera – Maria Rosaria Pugliese -
Recensione
a cura di Dario Brunetti
Dopo la
pubblicazione dei romanzi Omicidio ad alta quota e Fuochi d’artificio
per il commissario de Santis, ritorna l’autrice Maria Rosaria Pugliese con
un giallo moderno dal titolo Scighera, uscito per la casa editrice
genovese Fratelli Frilli editori.
Prima di
introdurre questo nuovo romanzo sarebbe doveroso partire dal suo titolo Scighera.
Una parola
usata nel dialetto milanese che vuole indicare una nebbia molto fitta e
intensa, quasi accecante infatti nella sua etimologia, deriva dal latino caecus
(cieco).
Il romanzo
è ambientato in un condominio denominato Ballabanzer, un palazzo in
stile Liberty composto da sei piani e dodici appartamenti e governato
dall’amministratore, l’avvocato Mastretta, un personaggio assai discutibile e
dal modo di fare un po' ambiguo che deve comunque tenere a bada tante
situazioni.
Sappiamo
bene che molto spesso nei condominii avvengono litigi, pettegolezzi e a volte
si consumano purtroppo anche degli omicidi.
Il
commissario de Santis e la sua squadra perché proprio al Ballabanzer, una
donna sembra essersi gettata dal sesto piano; si tratta di Vittoria Serravalle.
Gli
inquirenti cercheranno di ricostruirne la dinamica dei fatti, perché a
insospettirli sarà un vistoso taglio sul braccio.
Qui mi
sembra più che doveroso non andare oltre per lasciare al lettore gustarsi un
giallo scritto con maestria dall’autrice partenopea, dove con molta cura
descrive tutti i personaggi della storia dando loro la giusta credibilità facendo
parte di una realtà quotidiana.
I
condominii sono lo spaccato di una società che si porta con sé, gioie e dolori,
frustrazioni e tormenti e la Pugliese ne focalizza al meglio l’attenzione
attraverso uno schema narrativo ben strutturato e con una scrittura lineare e
alquanto scorrevole che rende funzionale lo sviluppo della storia.
Il romanzo
viene impreziosito inoltre da riferimenti storici, grazie a una documentazione
certosina dell’autrice che dedica dei cenni riguardanti all’esodo della
Dalmazia e dall’Istria, un evento consistito nell’emigrazione forzata di
cittadini che si verificò durante la fine della seconda guerra mondiale e nel
decennio successivo.
Nelle mura
domestiche c’è quel male che serpeggia infimo, ma il commissario de Santis
grazie al suo acume investigativo e allo spiccato senso della giustizia
riuscirà a fiutare la pista giusta e a risolvere più di un enigma.
Attraverso
il suo personaggio, la Pugliese ci riporta a quel metodo di indagine di stampo
classico che ricorda quel commissario Ambrosio di Renato Olivieri o l’Arrigoni
di Dario Crapanzano dove i rispettivi protagonisti preferiscono il dialogo, lo
spirito di osservazione e la conoscenza. Saranno metodi totalmente opposti a
quelli ortodossi visti in precedenza dal personaggio di Duca Lamberti dalla
magistrale penna di Giorgio Scerbanenco.
Milano ci cattura ancora una volta attraverso le sue atmosfere malinconiche, mentre la scighera avvolge il palazzo con il suo manto sottile, ma non si porterà mai via quei misteri e segreti, perché prima o poi sono destinati a venire alla luce. Buona lettura!
genere: giallo
anno di pubblicazione: 2022
📖 Io sono il mare - Sara Scaranna
recensione a cura di Alice Bassoli
🌊 Sono stata
completamente travolta dalle onde di emozione e suspense di "Io sono il
mare" di Sara Scaranna che mi ha fatto immergere nelle profondità oscure e
misteriose di Ravenna, guidata dalla determinazione irrefrenabile di Rebecca
Rubini, una detective privata che sfida ogni stereotipo.
🔍 Quando un tragico
incidente stradale svela solo la punta dell'iceberg di un oscuro crimine,
Rebecca si getta a capofitto nell'indagine, armata di tacchi a spillo e
un'intelligenza acuta. Il suo cammino per scoprire la verità la porta a
collaborare con il commissario Salesi, un'altra anima tormentata dal proprio
passato. Insieme, si trovano a confrontarsi non solo con il crimine, ma anche
con i loro demoni interiori.
💔 Mentre l'indagine si
snoda tra le strade di Ravenna, il lettore viene trascinato in un vortice di
suspense e colpi di scena, con la voglia di aggrapparsi alle pagine per
scoprire cosa accadrà dopo.
🎨 La prosa di Sara
Scaranna è una delizia per i sensi. Dipinge con maestria i dettagli vividi e
gli intricati intrecci della trama. L'ironia dolce-amara permea ogni pagina,
aggiungendo un tocco di leggerezza anche nei momenti più cupi.
💖 Ma il vero cuore
pulsante di questa storia è Rebecca Rubini. Una donna forte e determinata, ma
anche vulnerabile e umana, che conquista il cuore del lettore con la sua
combattività e la sua profondità emotiva.
Un libro tutto da gustare, dalla prima all’ultima pagina! Consigliatissimo!
genere: giallo
anno di pubblicazione: 2022
Il
viaggiatore notturno - Maurizio Maggiani
recensione di Miriam Donati
Un esperto di migrazioni animali aspetta il passaggio delle rondini seduto su una cima nel mezzo del deserto sahariano e, mentre aspetta, ascolta, osserva e racconta affascinando con le descrizioni del posto: “Questo è il cielo dell’Hoggar: un pozzo di acqua stellata profondo un infinito”. “Il centro dell’Universo è un rigurgito della Terra rappreso in purissimo cristallo”.
L’irundologo
(specialista nelle migrazioni delle rondini) si è allontanato dal resto del
mondo che altrove continua a distruggersi nel caos delle guerre e racconta
storie di esodi e migrazioni con una scrittura elegante, suggestiva, a tratti
poetica. Attraverso il flusso di coscienza o direttamente a Jbril, guida tagil,
racconta il suo viaggio nel mondo. È il primo degli argomenti trattati, è nel
titolo ed è dentro il protagonista.
Le
parole, oltre al loro significato, evocano suoni, hanno corpo e spessore,
armonia, ritmo, lo stesso ritmo da tenere durante il cammino e lo stesso ritmo
del battere dei tamburi di latta che accompagna la sera intorno al fuoco il
racconto del poeta itinerante dimah Tighritz.
Il
protagonista raccontando le proprie vicende e i personaggi incontrati, dal
padre Dinetto all’armeno Zingirian, dall’assedio di Tuzla all’orsa Amapola,
dalla berbera Jasmina a Perfetta, indugia in piccoli dettagli come le mani del
padre, quelle mani grandi, capaci di costruire oggetti minuscoli come le gabbie
per i canarini o di sistemargli il colletto del grembiule il primo giorno di
scuola. Le stesse mani ereditate dal protagonista, mani grandi, nodose, capaci
di accogliere una rondine e rassicurarla, mani che hanno cullato l’orsa
Amapola, errabonda sui monti della Carnia, hanno sepolto le settanta vittime alla
fine dell’assedio di Tuzla e hanno aiutato la Perfetta.
Disseminati
nel libro vari riferimenti e citazioni al pensiero di père Foucault che visse
sull’Hoggar e che meritano un’indagine a parte per la loro profondità che però
ho trovato scissi dal resto del racconto generale. Uno per tutti: “Non ci sono sopravvissuti a una guerra,
solo resti viventi. Dovremo andare nei campi e nelle città a raccogliere questi
resti e custodirli pregando Dio giorno e notte perché nella sua infinita carità
compia il miracolo di ricomporli”.
Questo
libro testimonia la volontà dell’uomo di rialzarsi dalle proprie miserie, fare
il proprio viaggio anche solo per testimoniare la bellezza e di questo fa
cogliere al lettore la poesia, la nostalgia e la dolcezza.
Molti
i temi trattati che si sovrappongono, alcuni dei quali molto forti, come
l’eccidio di Tuzla ed è come se l’autore avesse voluto inserire più libri nel
libro con un risultato a volte impegnativo e faticoso creando a tratti l’impressione
di aver corso il rischio di essersi persi in qualche passaggio. Questo potrebbe
creare una discrepanza nel lettore, ma è abbondantemente compensato dai pregi
dati dalla lettura complessiva che fornisce sensazioni ed emozioni indicibili.
genere: narrativa
Le principesse non dicono parolacce - Emma Russo -
recensione a cura di Francesca Simoncelli
‘Le
principesse non dicono le parolacce” è un romanzo che parla di dolore e di
rinascita.
È la storia
di Serena, una ragazza messa a terra dal destino, che le ha strappato un pezzo
di cuore e di anima e l’ha lasciata talmente vuota dentro, da non riuscire più
a credere nell’amore.
La sua vita
si riduce ad effimeri piaceri ed al lavoro, unica sua soddisfazione.
Proprio
nella sua caffetteria, incontra Cristian e, quando si accorge di provare
qualcosa per lui, combatte con tutte le sue forze contro un amore che ha troppa
paura di provare a vivere: meglio non amare, che amare col tremendo timore di
soffrire nuovamente…
Ma il dubbio
si insinua in lei… e se fosse meglio tentare di lasciarsi andare, seguire il
flusso della vita e abbandonarsi all’amore?
Coprotagonista
di questa storia è proprio Cristian, un uomo che, tra mille difficoltà e un
forte vissuto alle spalle, cerca un po’ di felicità e si imbatte in Serena, una
donna che si mostra al mondo con una irta corazza, che lui cercherà di
abbattere, perché convinto che dentro di lei ci sia ancora tanto amore da
donare.
Adoro
particolarmente le storie in cui i libri sono parte integrante del racconto e
ho apprezzato molto l’ambientazione in una caffetteria letteraria.
Mi è
piaciuto lo stile della narrazione, che fa scoprire piano piano particolari
importanti, tenendo l’attenzione del lettore sempre viva.
Il racconto
scorre piacevolmente, ma questo non significa che sia una storia leggera, anzi è
dolce, delicata e romantica e da spunto di riflessione sull’ambivalenza della
vita, che in alcuni momenti sembra troppo difficile da affrontare, ma poi, in
altri, ci regala un po’ di quella felicità che ci permette di andare avanti, ci
dona nuova speranza e ci fa capire che vale sempre e comunque la pena di
viverla.
Io,
appassionata di classici da sempre, ho scoperto che dare una possibilità a
scrittori emergenti e ancora poco conosciuti, mi regala, la maggior parte delle
volte, forti emozioni e letture intense… ed è proprio il caso del libro “Le
principesse non dicono le parolacce “
Grazie Emma
per questa opportunità!
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2023
La luce sugli oceani - M.L. Stedman -
recensione a cura di Elisa Caccavale
Il libro che vi vengo a
presentare oggi è La luce sugli oceani di M.L. Stedman, uscito in Italia
per Garzanti nel 2012; un libro, quindi, non più recente ma che ha tutte le
carte in regola per rimanere nei suggerimenti di lettura ancora per lungo
tempo.
📖Siamo nel 1918, la vicenda narra di
Tom Sherbourne, un ex soldato reduce della prima guerra mondiale, che accetta
l’impiego di guardiano del faro dell’isola australiana di Janus Rock. Poco
prima di partire conosce Isabel Graysmark e i due si innamorano, al punto che
decidono di sposarsi e iniziare una nuova vita sull’isola sperduta in mezzo
all’Oceano. Qui il sogno di Tom e Isabel di costruire una famiglia si infrange
contro l’impossibilità della donna di portare a termine le sue gravidanze. E
mentre il piccolo giardino dietro casa si riempie di minuscole croci bianche,
un giorno, dopo una tempesta, sulle coste di Janus Rock viene sospinta una
piccola imbarcazione con a bordo un uomo morto e una neonata viva e piangente.
Il dovere di Tom sarebbe quello di denunciare il naufragio e l’accaduto, ma
Isabel lo supplica di tacere, per poter tenere con loro quella piccola che per
la donna è un dono del cielo, facendola passare come figlia loro. Tom si trova
davanti al dilemma e, qualunque scelta prenderà, le conseguenze sconvolgeranno
molte vite e infrangeranno molti sogni…
🔎Un libro, semplicemente, splendido! I
temi che si intrecciano sono molti: dal dramma e il dolore della maternità
sognata, cercata e perduta e tutte le implicazioni ad esso connesse, all’orrore
dell’intolleranza e del razzismo, dalla bruttura dei pregiudizi, allo spaccato
della vita su un’isola sola nell’Oceano fino alle conseguenze che una guerra
porta con sé.
🖋️Il lettore resta spiazzato con questo
romanzo perché l’autrice riesce a tratteggiare i drammi umani con una tale
vividezza e intensità che è davvero difficile decidere da che parte
“schierarsi”; il senso etico del lettore viene messo a dura prova e più volte
ribaltato nel corso della lettura, durante la quale ci si trova spesso a non
sapere più cosa sia giusto o sbagliato; un bellissimo inno alle mille
sfaccettature dell’esistenza che non è mai facilmente catalogabile.
♥️Un romanzo coinvolgente
e commovente, un libro che fa piangere, senza dubbio e senza sconti, ma proprio
questo è un altro suo punto di forza: tocca corde emotive profondissime e
viscerali, scandagliando importanti e profondi rapporti umani.
✒️Una scrittura limpida e sincera trasporta
il lettore sul faro di Janus Rock e all’interno della vita e delle emozioni dei
personaggi, e quando chi legge lascerà andare questi protagonisti e le
ambientazioni lo farà con una grande malinconia, come quella che accompagna un
tramonto sul mare.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2012
Il tempo che vorrei - Fabio Volo -
recensione a cura di Patrizia Zara
Qualcuno può storcere il naso.
Fabio Volo scrittore? Mah!
Conoscendolo dalla TV, non posso dare torto a chi lo snobba.
Però devo lanciare una piccolissima freccia a suo favore: come lettura leggera
non è male. Lo paragono al sorbetto limone fra una portata di buona carne e di
pesce fresco!
Premetto che è il primo libro che leggo (ne ha scritti precedentemente cinque)
e non l'ho trovato peggio di alcuni scrittori italiani e stranieri che si
annoverano tra i migliori di questo "strano" periodo letterario (?)
Certo non si tratta di una scrittura impegnativa, elaborata, intensa, nondimeno
lo stile istintivo, veloce ed elementare conquista.
Di solito ripercorro certe pagine prima di continuare la lettura, stavolta non
è stato mai necessario. Sono andata avanti, paragrafo dopo paragrafo, perché il
tempo lo aveva già perso il protagonista con le sue paranoie e le sue
elucubrazioni da proletario.
Il trascorso di Lorenzo, nome del protagonista, è come ascoltare un amico che
vuole raccontarti la sua vita mentre sei seduto al bar e sorseggi un buon caffè
e/o sgranocchi patatine: lo ascolti interessato fino a un certo punto, perché
poi diventa ripetitivo e noioso. Tutto qui.
E pertanto "Il tempo che vorrei" non si può certo definire un gran
romanzo, forse neppure romanzo, bensì la travagliata confessione di un
comunissimo giovane uomo, dall'infanzia difficile, fatta di rinuncie e
privazioni, che si accorge di non sapere amare (il rapporto con il padre è,
forse, una delle cause?) e vuole recuperare il tempo vissuto -a suo avviso -
passivamente.
I ricordi dell'infanzia e della prima fanciullezza li ho trovati deliziosamente
sinceri: i rossori, le vergogne, i difficili primi amori; mentre la storia con
la "lei" mi ha snervato!
In conclusione alcuni passaggi non male, un'ironia spicciola e scontata, un
amore da Harmony.
Libro leggero, spesso ripetitivo, a volte fittiziamente forte, soprattutto nei
passaggi di sesso dove si nota una eccessiva, quanto inopportuna, calcata di
penna (le scene alla basic instint se li poteva forse risparmiare!)
"Voglio darti un consiglio, poi tu fai come ti pare. La tua forza è
l'autenticità. Non sforzarti di essere ciò che non sei, ma lotta per rimanere
ciò che sei. Tu non devi cercare niente, hai già tutto; fidati, devi solo
prendere coscienza di te stesso. Credici di più, prova ad avere un po' di
autostima. Non devi cercare un linguaggio nuovo ; bensì imparare ad ascoltare
quelli che già possiedi. Difendi la tua spontaneità e nel frattempo otterrai
anche la naturalezza che si acquisisce nel tempo con la fiducia in se stessi.
Ricordati che vivere è l'arte di diventare quello che si è già"
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2019