Molto forte, incredibilmente vicino - J. Safran Foer -
recensione a cura di Lilli Luini
Non è un libro facile, di quelli
che divertono passando via senza lasciare traccia. Questo è un libro che resta
per sempre, se riesci a entrarci e ad accettare il modo in cui l’autore te lo pone.
Oskar racconta, incolla le fotografie che ritaglia dai giornali o che scatta
lui stesso e già questa forma può spiazzare. Ma la difficoltà maggiore la si
incontra quando alla voce dell’io narrante si aggiungono altre voci che non
sappiamo a chi appartengano. L’autore padroneggia con grande maestria i vari
piani narrativi e infatti, una volta compreso il meccanismo e le identità degli
altri narratori, il romanzo fluisce trascinandoti con sé come in una piena fino
alle pagine finali, fatti di parole e immagini indimenticabili.
Oskar Schell è un bambino quasi
geniale che tuttavia parla con un gergo da bambino e con la sincerità candida di
un bambino, a volte con trovate lessicali spiazzanti.
«Ho
tirato su la lampo del sacco a pelo di me stesso.»
Il suo percorso attraverso New
York è una sorta di viaggio dantesco, dove incontra personaggi improbabili ma
del tutto possibili, accompagnato da un Mister Black che sembra un novello
Virgilio e del quale non sapremo nulla, neppure se è reale o immaginario. Ma
non ha importanza, perché quello di Oskar è un viaggio dell’inconscio, per
ritrovare un senso alla propria vita e un’idea di futuro dopo una perdita
devastante.
Un viaggio in cui anche la
psicoterapia può fare poco, come ci mostrano i dialoghi di Oskar con il dottor
Fein:
«Mi
stavo domandando se per caso parte di quello che provi non derivi da qualche
cambiamento nel tuo corpo.»
«No.
Deriva dal fatto che mio padre è morto della morte più orribile che uno si
possa inventare.»
La soluzione dell’enigma della
chiave è geniale, andando a chiudere un altro cerchio, un’altra perdita, così
come la vicenda passata della famiglia di Oskar si unisce a quella presente,
formando un unico fiume che ci condurrà alla fine.
Ci sono pagine strazianti, altre
di una crudezza senza pari (il bombardamento di Dresda, in cui i nonni di Oskar
persero tutto tranne se stessi) e alla fine, oltre a un romanzo sulla perdita,
è anche un romanzo sull’insensatezza della violenza, delle guerre che
distruggono per sempre le vite non solo di quelli che muoiono ma anche dei
sopravvissuti, che devono trovare un nuovo senso all’esistenza stessa.
Come dicevo, il romanzo è
popolato di molti personaggi che circondano Oskar o lo incontrano nella sua
ricerca. Alcuni appaiono per poche righe, ma la scrittura è talmente intensa da
renderli ben visibili al lettore, unici nel loro modo di essere. Anche la città
è un personaggio importante, circonda Oskar e ne condivide il dolore.
«Quella
sera, a letto, ho inventato uno scarico speciale da mettere sotto tutti i
cuscini di New York, collegato al laghetto del Central Park. Ogni volta che
qualcuno si addormentava piangendo, tutte le lacrime sarebbero finite nello
stesso posto e poi al mattino al bollettino meteo avrebbero detto se il livello
delle acque del Laghetto delle Lacrime era salito o sceso, così la gente poteva
sapere se le scarpe di New York erano pesanti.»
Difficile
alla fine lasciare andare questo bambino geniale, difficile non pensare a lui
come a una persona vera, anziché un personaggio di un romanzo. e non chiedersi
come affronterà il resto della sua vita. Ma è questo che fa la grandezza di un
romanzo.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2005
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