venerdì 19 aprile 2024

MOLTO FORTE, INCREDIBILMENTE VICINO

 




Molto forte, incredibilmente vicino - J. Safran Foer -

recensione a cura di Lilli Luini


Non è un libro facile, di quelli che divertono passando via senza lasciare traccia. Questo è un libro che resta per sempre, se riesci a entrarci e ad accettare il modo in cui l’autore te lo pone. Oskar racconta, incolla le fotografie che ritaglia dai giornali o che scatta lui stesso e già questa forma può spiazzare. Ma la difficoltà maggiore la si incontra quando alla voce dell’io narrante si aggiungono altre voci che non sappiamo a chi appartengano. L’autore padroneggia con grande maestria i vari piani narrativi e infatti, una volta compreso il meccanismo e le identità degli altri narratori, il romanzo fluisce trascinandoti con sé come in una piena fino alle pagine finali, fatti di parole e immagini indimenticabili.

Oskar Schell è un bambino quasi geniale che tuttavia parla con un gergo da bambino e con la sincerità candida di un bambino, a volte con trovate lessicali spiazzanti.

«Ho tirato su la lampo del sacco a pelo di me stesso.»

Il suo percorso attraverso New York è una sorta di viaggio dantesco, dove incontra personaggi improbabili ma del tutto possibili, accompagnato da un Mister Black che sembra un novello Virgilio e del quale non sapremo nulla, neppure se è reale o immaginario. Ma non ha importanza, perché quello di Oskar è un viaggio dell’inconscio, per ritrovare un senso alla propria vita e un’idea di futuro dopo una perdita devastante.

Un viaggio in cui anche la psicoterapia può fare poco, come ci mostrano i dialoghi di Oskar con il dottor Fein:

«Mi stavo domandando se per caso parte di quello che provi non derivi da qualche cambiamento nel tuo corpo.»

«No. Deriva dal fatto che mio padre è morto della morte più orribile che uno si possa inventare.»

La soluzione dell’enigma della chiave è geniale, andando a chiudere un altro cerchio, un’altra perdita, così come la vicenda passata della famiglia di Oskar si unisce a quella presente, formando un unico fiume che ci condurrà alla fine.

Ci sono pagine strazianti, altre di una crudezza senza pari (il bombardamento di Dresda, in cui i nonni di Oskar persero tutto tranne se stessi) e alla fine, oltre a un romanzo sulla perdita, è anche un romanzo sull’insensatezza della violenza, delle guerre che distruggono per sempre le vite non solo di quelli che muoiono ma anche dei sopravvissuti, che devono trovare un nuovo senso all’esistenza stessa.

Come dicevo, il romanzo è popolato di molti personaggi che circondano Oskar o lo incontrano nella sua ricerca. Alcuni appaiono per poche righe, ma la scrittura è talmente intensa da renderli ben visibili al lettore, unici nel loro modo di essere. Anche la città è un personaggio importante, circonda Oskar e ne condivide il dolore.

«Quella sera, a letto, ho inventato uno scarico speciale da mettere sotto tutti i cuscini di New York, collegato al laghetto del Central Park. Ogni volta che qualcuno si addormentava piangendo, tutte le lacrime sarebbero finite nello stesso posto e poi al mattino al bollettino meteo avrebbero detto se il livello delle acque del Laghetto delle Lacrime era salito o sceso, così la gente poteva sapere se le scarpe di New York erano pesanti.»

Difficile alla fine lasciare andare questo bambino geniale, difficile non pensare a lui come a una persona vera, anziché un personaggio di un romanzo. e non chiedersi come affronterà il resto della sua vita. Ma è questo che fa la grandezza di un romanzo.


genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2005

 

 


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