L'anniversario - Andrea Bajani -
recensione a cura di Carmen Nolasco
Ho letto in soli due giorni “L'anniversario” di Bajani e lo
recensisco di getto, per non perdere l'eco che ha prodotto dentro di me, e
quella propaggine depressiva che ancora mi aleggia intorno.
Mi ha colpito subito la scrittura accurata e l'incipit
intrigante, quell'ultimo incontro del protagonista "io narrante" con
i suoi genitori, con la madre che lo insegue per le scale apprensiva, e poi
quella frase, che resta impressa nel cuore del lettore: da allora ho
cambiato numero di telefono, casa, continente, ho tirato su un muro
inespugnabile, ho messo un oceano di mezzo. Sono stati i dieci anni migliori
della mia vita.
È una partenza che crea subito aspettativa sulla storia,
mentre l'estrema eleganza stilistica e l’innegabile maestria lessicale catturano
immediatamente. La narrazione però - quella di una famiglia disfunzionale, con
padre autoritario, madre succube e figli incompresi - continuerà monocorde fino
alla fine.
Sembra che l'autore, pur abile nel raccontare uno squilibrio che,
a dire il vero, era abbastanza ricorrente nelle famiglie italiane di quegli
anni, badi più alla precisione stilistica che all'accuratezza psicologica. La
scrittura appare così volutamente fredda, chirurgica, priva di emozioni e di
calore umano. Piatta. Se proprio questa è la particolarità del libro, l'unicità
che lo ha portato alla ribalta, resta però difficile superare la sensazione
claustrofobica che suscita.
Non sembra un romanzo - ma lo è davvero? - quanto piuttosto
un resoconto, una sorta di cronistoria giornalistica che ricostruisce i fatti
mantenendo un rigido distacco.
L'autore ha creato uno sguardo osservativo sulla storia,
trattandola come l'analisi di un "sistema-famiglia" da cui il
narratore è uscito. L'elemento autobiografico tuttavia, appare così indiscusso
e potente da far sembrare questa storia più una psicoterapia del ricordo o una
vendetta personale. Proprio qui emerge quell'assenza di compassione che sarebbe
naturale in un figlio, insieme alla presenza di un chiaro danno psicologico subito,
che si consolida proprio in questa incapacità di provare comprensione.
La vecchiaia, nel libro di Bajani, emerge alla fine come il
grande equalizzatore che dovrebbe condurre naturalmente alla compassione e al
perdono. Il padre dominante e la madre succube si troveranno inevitabilmente
vulnerabili, ridotti a quella fragilità umana universale che dovrebbe toccare
il cuore di un figlio. Eppure il figlio si sottrae, non per vendetta, quella
arriva attraverso la stesura del romanzo stesso come terapia - vendicativa - ma
per una più tragica incapacità: il danno subito è così profondo da impedirgli
di accogliere persino le miserie della vecchiaia. Il no-contact diventa così
non un atto di forza, ma la manifestazione di un'impotenza emotiva,
l'incapacità di provare quella pietà che il disarmo dei propri genitori
dovrebbe spontaneamente suscitare. È il paradosso più amaro: quando finalmente
i carnefici sono presumibilmente innocui, il figlio scopre di essere
emotivamente incapace e dunque cieco proprio verso quella empatia che potrebbe
guarirlo.
Eppure, proprio attraverso questo distacco emotivo e
quest'assenza di perdono, Bajani riesce a farci vivere un dolore soffocato e
intenso - un dolore che necessiterà di anni di terapia evidentemente mai
risolutivi.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2025