Non dico addio - Han Kang -
recensione a cura di Carmen Nolasco
Avete presente quelle letture che
sembrano avvolgervi completamente, facendovi dimenticare il posto in cui vi
trovate? Non dico addio di Han Kang fa proprio questo. È un romanzo che
mi ha fatto provare un freddo intenso, tanto che mi rifugiavo sotto un plaid
caldo e morbido ogni volta che riprendevo la lettura. La scrittura di Kang
possiede, infatti, un potere immersivo davvero straordinario, che raramente ho
sperimentato in altre opere letterarie.
Ciò che colpisce di questo
romanzo è la prosa lirica e precisa — a tratti spietata — e la meticolosa
scelta delle parole, unite a un perfetto bilanciamento musicale tra le frasi:
“Quell'armonia sorprendentemente
soave, ma nello stesso tempo lievemente dissonante, che sembrava doversi
interrompere da un momento all'altro, aveva continuato a srotolarsi
nell'aria."
Un elogio particolare va a Lia
Iovenitti per la sua magistrale traduzione italiana. È riuscita a preservare un
testo denso di immaginazione e poesia, trasmettendo intatta, suppongo, la magia
dell'originale coreano.
Ogni parola di Kang è calibrata
per trascinarti nel gelido mondo di Gyeong-ha, tra fiocchi di neve e
"istanti congelati in volo che brillano come cristalli". Quanto
freddo! Un freddo che permea ogni pagina fino alla conclusione. Lirico, duro, brutale.
Squisitamente poetico. Quando ho chiuso il libro sull'ultima pagina, la mia
pelle era gelida come quella della protagonista, e anche il mio cuore
continuava a tremare.
Va detto, con onestà, che non è
stata una lettura sempre scorrevole. In alcuni passaggi il ritmo rallenta,
l'incedere diventa contemplativo, quasi statico. L'inquietudine che pervade la
narrazione sembra talvolta fine a sé stessa, raramente proiettata verso il
futuro con la domanda: "E poi? Che accadrà dopo?"
L'epilogo lascia un senso di
incompiutezza che sconfina nell'amaro. È drammatico, un sogno lucido che
costringe a riflettere e risolve la lettura in un momento di consapevolezza:
"Oh! Era questo, dunque!":
"Ogni fiocco di neve
sembrava illuminato dall'interno da un minuscolo tizzone ardente... poi...
l'oscurità ha cancellato di nuovo ogni cosa".
Ho lasciato decantare la storia
prima di scrivere questa recensione, pensando inizialmente che il romanzo non
mi fosse piaciuto. Invece, mi ha profondamente colpita, poiché a distanza di
settimane continuo a rifletterci, e sono davvero rari i libri che lasciano
un'impronta così duratura nella memoria.
La storia ruota attorno a
Gyeong-ha, una scrittrice che ritorna sull'isola di Jeju per confrontarsi con
le ombre del suo passato. Attraverso un viaggio intrapreso per accudire
l'uccellino di un'amica ricoverata in ospedale, si immerge nei ricordi del massacro
di Jeju del 1948, un evento storico che ha profondamente segnato la Corea del
Sud. Il romanzo intreccia memoria, sofferenza e oblio con straordinaria
maestria, portando il lettore a riflettere sulla fragilità dell'esistenza umana
e sul peso dei traumi collettivi.
Han Kang, vincitrice del Premio
Nobel per la Letteratura nel 2024, conferma con Non dico addio il suo
talento eccelso, arricchendo una produzione già iconica che comprende opere
fondamentali come La vegetariana, L'ora di Greco e Atti umani.
La sua capacità unica di trasformare il dolore in arte sublime rende questo
romanzo un'esperienza letteraria indimenticabile, seppur impegnativa, che
continua a risuonare ben oltre l'ultima pagina.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2024
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