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mercoledì 5 giugno 2024

LE SCHEGGE

 



Le schegge - Bret Easton Ellis -

recensione a cura di Daria Lucca


E fu così che il vecchio Bret si trovò al centro di una ragnatela senza altra via di fuga che scrivere, scrivere, scrivere quella storia:

700 pagine. Una bibbia volendo. Di cui Bret è il creatore, il distributore e il consumatore. D’altra parte, lui ha scelto di mettersi al centro del tutto, con il suo nome e cognome. E non possiamo che prenderne atto. “Le schegge” sono la più recente prova di Bret Easton Ellis e reggono tranquillamente il confronto con il suo romanzo d’esordio, quel “Meno di zero” scritto intorno ai vent’anni, e con il superdiscusso “American Psycho”.

Su “Le schegge” è già stato detto di tutto, persino che grazie a Bret il Quaalude è la nuova Madeleine (ma Proust potrebbe non essere d’accordo). E dunque se è stato analizzato, destrutturato, ricomposto, ingoiato, digerito e riespulso da decine di critici, è impossibile aggiungere qualcosa di significativo.

Che dire allora? Che i personaggi sono ben delineati, la scrittura scorrevole, e altre banalità del genere? No, l’unica cosa da dire, a parte il numero di pezzi musicali citati (la più grande carrellata sulla musica anni ‘80), è che val la pena di essere letto. 700 pagine che filano via anche perché sorrette da una storia ambigua, contorta, doppia, ma una storia. Là dove si dimostra che chi sa scrivere comincia il suo lavoro da lì, dall’inventare una storia.

Allora, eccola in una telegrafica sintesi: Bret e i suoi amici sono all’ultimo anno della Buckley, scuola privata per ricchi e fighi, quando fra loro compare un nuovo studente che scompagina l’equilibrio esistente, mentre a Los Angeles un killer soprannominato il pescatore a strascico uccide persone e animali. Dopo di che, in una storia quel che conta è come la racconti. E lui, Bret protagonista e autore, la racconta divinamente.


genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2023

 

mercoledì 31 gennaio 2024

LO SCAMBIO

 




Lo scambio - John Grisham -

recensione a cura di Daria Lucca


Mitch McDeere ricompare. A New York, nello studio legale più grande del mondo, duemila avvocati, una trentina di sedi nei cinque continenti, bilanci da due miliardi di dollari. Eccetera. Se non sapete chi è Mitch, non siete lettori di John Grisham.

Il protagonista de Il socio (almeno Tom Cruise e Gene Hackman li ricorderete, nel film) riappare nel 2005, ben sistemato con la moglie Abby ora editor famosa di libri di cucina e due gemelli in età scolare, in questa nuova prova di uno dei re del legal thriller, Lo Scambio. Mitch era fuggito da Atlanta 15 anni prima, per salvarsi dalla mafia. Ha vagato a lungo in Italia, è stato assunto dalla sede londinese di Scully & Pershing ed è infine approdato nella sede centrale della società (in Usa, gli studi legali sono società di avvocati) nella metropoli che tutti sognano.

Felicità e soddisfazione sono all’ordine del giorno. Ma il capo dello studio lo convoca e lo spedisce a Roma per assumere un incarico di quelli che noi abituati alle cause di condominio neanche riusciamo a immaginare: patrocinare di fronte all’United Arbitration Board, a Ginevra, un’azienda di costruzioni turca, difesa dal socio romano di S&P, contro il governo libico di Gheddafi (nel 2005, il colonnello era ancora al potere, per chi non lo ricordasse).

Da un punto di vista strettamente legale, Mitch si sente in una botte di ferro perché ritiene che il suo assistito abbia tutte le carte in regola per chiedere un risarcimento milionario al governo di Tripoli. E, come sempre, su questo fronte Grisham si gioca le carte migliori.

Dopodiché, se chiedi soldi a uno “stato canaglia”, come gli Usa definivano la Libia, governato da un uomo che conta più nemici che amici, non esattamente disposto ad ammettere di avere torto (legalmente parlando), come niente ti ritrovi dalle ovattate aule di un tribunale internazionale in Svizzera a una dozzina di cadaveri imprevisti in nord Africa.

Qui il nostro maestro di sfide a suon di codici perde qualche colpo. Lo scenario misto, militare e terroristico, che il romanzo delinea lascia a desiderare non già nella verosimiglianza dell’impianto generale quanto nell’assegnazione dei compiti ai vari personaggi. Come le battaglie in tribunale, anche il thriller d’azione ha le sue regole, che Lo scambio ogni tanto dimentica.

Ringraziamo Grisham, che ci ricorda come anche i grandi a volte mancano il bersaglio, e aspettiamo fiduciosi che ritrovi quella forma smagliante per cui lo amiamo.

Come sempre, ottima traduzione e lettura scorrevole.


genere: thriller

anno di pubblicazione: 2023




domenica 14 gennaio 2024

LA CADUTA, CRONACHE DELLA FINE DEL FASCISMO

 




La caduta, cronache della fine del fascismo - Ezio Mauro -

recensione a cura di Daria Lucca


Per quanto riguarda i saggi, di solito scelgo gli argomenti e non gli autori. E quando mi sono imbattuta ne “La caduta” di Ezio Mauro l’ho preso al volo perché mi sono resa conto che dei fatti accaduti in questo paese il 25 luglio 1943 non sapevo quasi nulla, nonostante la storia sia una delle mie passioni. Però lì, in effetti, mi riconoscevo un buco. Certo, so che è il giorno in cui Mussolini viene scaricato dal Gran Consiglio del partito fascista, ma poco altro. Oltretutto, mi son detta, Ezio Mauro, ex direttore di Repubblica, ex corrispondente della Stampa a Mosca, sa scrivere. Cioè, sa comunicare bene (confermo, dopo la lettura).

Il libro è una sorta di diario degli eventi che vanno dai giorni immediatamente precedenti quel 25 luglio (di cui nel ’23 ricorreva l’ottantennale) all’8 settembre. Raccontato in modo brillante, con largo uso dei documenti storici, ma non solo quelli che ti aspetti, tipo lo stringato annuncio regale delle dimissioni del duce. Ci sono tantissimi agganci alla cronaca dell’epoca, che qualcuno dei lettori più anziani ricorderà dalle memorie dei genitori e dei nonni.   Ma quelli che mi hanno colpito di più sono, ad esempio, le trascrizioni delle telefonate intercettate dagli spioni di stato che tutte le mattine venivano consegnate, sulla mega scrivania nello studio di palazzo Venezia (sì, quello con il balcone), al comandante supremo delle forze armate italiane.

Anzi, no. Quella carica lui non l’ha mai ottenuta. Vittorio Emanuele ha sempre fatto resistenza (l’unica resistenza, perché non ha resistito quando ha firmato le leggi razziali, quando ha taciuto sul delitto Matteotti) a consegnargliela.

A me è sembrato che il saggio racconti appunto due persone: il capo del fascismo e il monarca, la coppia al comando del paese per vent’anni. L’uno che rifiuta di prendere atto che la guerra è persa, gli alpini sono stati decimati in Russia, i fanti sono prigionieri in Africa (proprio ieri, passeggiando, un signore con cucciolo ci raccontava del padre rimasto due anni nel campo di prigionia inglese in Kenya) , gli americani sono sbarcati in Sicilia, e insiste provocando la sfiducia del suo stesso partito; l’altro che non trova di meglio che incaricare un generale già discusso dopo Caporetto, Pietro Badoglio, che non si decide a firmare l’armistizio lasciando le forze armate senza ordini precisi, concedendo tempo ai tedeschi per occupare l’Italia, perdendo la faccia e il futuro della monarchia di fronte ai suoi concittadini.

E’ il racconto di una disfatta, reso vivido da una scrittura battente e ricca. Il cui punto di drammaticità massima, per me torinese e repubblicana, è la scena in cui il corteo reale ormai avviato verso Brindisi (vergogna nazionale) si ferma per una pausa, il principe ereditario Umberto si avvicina all’auto del padre e gli dice “Io torno indietro“, ultimo sussulto d’orgoglio di una dinastia al tramonto e il re gli risponde. In dialetto: «S’at piju, at masu». Serve la traduzione? Se fossi un professore di storia delle superiori, lo darei da portare all’esame di maturità.

genere: saggio

anno di pubblicazione: 2023

 


venerdì 26 giugno 2020

INTERVISTA A DARIA LUCCA







Oggi nello spazio interviste abbiamo il piacere di ospitare l’autrice e giornalista Daria Lucca. Grazie per averci dedicato un po’ del tuo tempo. 

Daria Lucca la conosciamo un po’ tutti perché, prima che scrittrice, o contemporaneamente alla sua attività di scrittrice, è un’ottima giornalista. Ma io qui voglio conoscere meglio te soprattutto come autrice e di questa tua attività cercheremo di scoprire il più possibile. Prima però, se posso, ti faccio volentieri qualche domanda di carattere generale per conoscerti un po’ meglio. Allora Daria raccontaci un po’ di te dove nasci e vivi, la tua formazione, qual è il tuo lavoro e poi dicci come nasce l’idea di scrivere romanzi. 

Sono nata a Torino e lì sono cresciuta. A Roma sono arrivata agli inizi degli anni ’80, come cronista giudiziaria del Manifesto allora diretto da Luigi Pintor (se non hanno fatto una statua a lui, non dovrebbero farla a nessun altro giornalista) in tempo per seguire il processo per l’attentato a Giovanni Paolo II ed occuparmi di qualche regolamento di conti all’interno della banda della Magliana. In quegli anni, Palermo era sconvolta dalla guerra di mafia che ha lasciato a terra centinaia di cadaveri e quella è stata senza dubbio l’esperienza più intensa della mia formazione professionale. Quella, insieme con l’arrivo a Bologna qualche ora dopo l’esplosione, il 2 agosto 1980, o con i lunghi anni dell’inchiesta sulla strage di Ustica. Perciò, ho sempre scritto, come giornalista con l’impegno verso il lettore di raccontare solo la verità, pur se dura da digerire. Non c’è stato un momento in cui ho deciso di passare alla narrazione creativa. Ho sempre saputo che prima o poi sarei atterrata lì. Poi, un giorno, ho aperto il Mac e ho cominciato a scrivere la storia di Amanda Garrone.

 

Oltre a scrivere sei anche una lettrice? Hai un genere preferito? Preferisci gli ebook o il libro cartaceo? 

Leggo da quando ho ricordi, a 13 anni leggevo Hemingway di nascosto, e non ho mai smesso. A parte la buona letteratura, tendo a preferire la narrativa che si colloca lungo l’intero arco di quello che noi italiani chiamiamo giallo, dal mistery al thriller, passando per l’hard boiled, il poliziesco e il noir. Sono una forte sostenitrice degli alberi (ti aspettavi che dicessi della carta, vero?) e perciò mi sono procurata una boccetta di profumo al libro nuovo, la annuso di tanto in tanto, nel frattempo da anni compro soltanto ebook. Sono tesserata a due biblioteche che hanno un ottimo catalogo digitale. Ovviamente, mi sono rimasti i vecchi libri e li amo moltissimo.

 

Da dove nascono le tue storie. Elabori notizie che leggi o che conosci grazie al tuo lavoro o sono esclusivamente di fantasia?

Non parto mai da una notizia precisa perché avendo “lavorato” notizie tutta la vita so che, per quanto il cronista sia ligio, serio e accurato, non riuscirà mai a comporla come una scultura a tutto tondo, nella sua completezza. Mi piace però rimuginare sulle tematiche che le notizie propongono e, sguazzando nelle acque torbide che circondano le azioni umane, cerco un filo mio da cui estrarre il primo nucleo di una storia. “Distanza di sicurezza”, l’esordio di Amanda, aveva ad esempio al centro un tema cruciale: uccidere un essere umano con l’automobile è poi così diverso, dal punto di vista della coscienza, dall’ucciderlo con il veleno o con il coltello? Per autoassolversi, è sufficiente ricorrere a quella formuletta che recita “non l’ho fatto apposta” e che ogni buon psicologo è in grado di smascherare con un paio di domande ben piazzate? 

 

 La tua scrittura si colloca in un genere preciso?

 No, direi di no, per parecchi motivi. Nel 1920, il genere era uno solo, il mistery alla Agatha Christie e gli autori avevano ben poca scelta. Poi gli americani, thanks god, inventarono l’hard boiled e allora furono possibili le prime commistioni. Via via che i sottogeneri aumentavano, con il police procedural, poi il noir, il thriller, aumentavano anche le chances di contaminazione per gli autori. Le storie che ho finora costruito prendono spunto da una protagonista che è una poliziotta, ma non lavora da sola, indaga su un delitto che è sempre collocato dentro un contesto più ampio e analizza anche gli aspetti sociali del crimine. O economici, come nel caso di “La mossa dell’impiccato” che rievoca un periodo buio della storia senese dove i fenomeni sociali (l’antisemitismo) e quelli economici (le difficoltà odierne delle banche italiane) si intrecciano. So che molti lettori non hanno amato la complessità della trama e i personaggi in scena, giudicati troppi. Io di solito leggo con attenzione le recensioni critiche, da cui si impara molto, e ne faccio tesoro. Forse ridurrò il numero delle comparse, ma certo non rinuncerò a descrivere il mondo in cui si muovono gli esseri umani per quello che è. Complicato.

 

Hai solitamente una scaletta prefissata o ti fai condurre dalla narrazione?

 Ho sempre una traccia precisa per quanto riguarda le grandi svolte narrative (i personaggi principali, le azioni principali, chi vive e chi muore) a cui tengo fede fino a che non ritengo più avvincente introdurre un cambiamento. Del resto, è ovvio. Puoi avere tutte le tracce che vuoi ma, mentre scrivi, il personaggio se ne balza fuori con un’idea improvvisa, una decisione che non avevi previsto, un incontro che ti portano a un nuovo scenario e non puoi che corrergli dietro.

 

Quando scrivi deve esserci assoluto silenzio o ti concentri meglio con una buona base musicale? Scrivi quando riesci o preferisci un momento particolare della giornata?

 L’ambiente sonoro non ha alcuna influenza. Va bene il silenzio assoluto o le urla del condominio. Mi sono formata nella redazione di un giornale dove i rumori anche molesti superano qualsiasi accordo armonico. Per la stessa ragione, dopo aver tentato di scrivere all’alba, a pranzo o il pomeriggio mi sono arresa agli orari che mi hanno “deformato”: dalle 17 alle 21. Gli orari di un quotidiano. Quando ti occupi di cronaca, giri tutto il giorno e ti siedi alla macchina da scrivere (oggi al computer) dopo le 17. E per le 21 devi avere comunque finito, perché il giornale va in stampa.

 

Sei un’autrice che auto pubblica i suoi libri. O meglio tu hai pubblicato i tuoi ultimi due libri, La mossa dell’impiccato e Morte sottovento, utilizzando Amazon in veste di editore. Raccontaci un po’ questa “terza via” rispetto al self publishing puro o alla pubblicazione attraverso una casa editrice tradizionale. La tua è una scelta voluta e definitiva oppure ambisci ancora, come hai fatto per la prima avventura di Amanda Garrone e per altre tue opere, a scrivere per una casa editrice ma non ne hai avuto l’opportunità? Parlaci della tua esperienza.

 I due volumi più recenti di Amanda Garrone sono stati pubblicati da Amazon Publishing come editore a tutti gli effetti. Con loro, mi sono trovata benissimo. Lo svantaggio di non essere in libreria è stato abbondantemente compensato dal vantaggio di avere un editore che conosce l’importanza del marketing e lo pratica. La distinzione tra casa editrice tradizionale e Amazon come editore è falsata da un sacco di leggende metropolitane, se mi passi l’accostamento. La prima è quella che l’editore tradizionale ti permette di essere presente nelle librerie. Ok, ma in quante? In tutte le librerie d’Italia? No, solo in quelle che scelgono di accettare il tuo libro. Spesso, il libro finisce in una manciata di bookstore e basta. Se parli con gli addetti ai lavori, in camera caritatis ti confessano che la mole di volumi finiti al macero ogni anno è impressionante. Allora, amando gli alberi più della carta, preferisco Amazon che il libro te lo stampa in mezz’ora quando lo ordini e te lo spedisce massimo in tre giorni. Sono sicura di aver venduto più copie cartacee dei due volumi pubblicati da Amazon di quante ne abbia vendute del primo volume un editore tradizionale come Robin. 

 

Ma dal tuo punto di vista meglio pubblicare con una casa editrice piccola o indipendente o è sempre meglio, nel caso, affidarsi alle grandi possibilità di una grande casa editrice? 

Come autrice non ho la risposta, penso che andrebbe chiesto a chi ha pubblicato molto più di me e ha firmato degli autentici best sellers. Come lettrice, penso che dipenda dal tipo di autori che si amano e dal periodo.  Al momento, le grandi case editrici possono vantare solo la forza del nome. Ho trovato storie banali ed errori madornali in libri pubblicati dalle grandi monopoliste (Mondadori, Rizzoli, Feltrinelli, gruppo Spagnol) e ho trovato delle vere perle pubblicate da piccoli editori che sanno il fatto loro. Editori veri, però. Non personaggi che hanno creato case editrici solo perché non sapevano che altro fare.

 

Ti è capitato sicuramente di presentare un tuo libro in pubblico. Preferisci un moderatore che ti pone le domande “giuste” o preferisci lasciare far fare le domande direttamente al pubblico?

 Preferisco sempre la freschezza e la spontaneità. Mi piacciono le domande vere, che nascono da un interessamento reale.

 

La risposta è quasi scontata ma la domanda te la formulo lo stesso. Preferisci scrivere libri autoconclusivi che non danno origine a serie o il personaggio principale da te creato in una storia lo ritroviamo in tanti tuoi romanzi? Amanda Garrone era stata pensata, già inizialmente, come personaggio seriale o il fatto di essere arrivata al terzo episodio (e magari al quarto) è una casualità?

 Amanda Garrone la pensai fin dall’inizio composta da quattro volumi, in una sorta di percorso ideale che lei avrebbe compiuto partendo dallo smacco subito per colpa di un’indagine finita male, smacco che la portò a dirigere la Polstrada di Aprilia, lei investigatrice nata. In questo viaggio, la vicequestrice Garrone ci porta a spasso in alcuni luoghi italiani per eccellenza. Prima i Castelli Romani, poi Siena, ora è passata dalla zona di Portofino e approderà nelle Langhe. Quattro tappe che comprendono anche una sorta di percorso storico italiano. Lei, come sai, ha una relazione con un docente di storia moderna e la storia fa sempre capolino nei vari romanzi. Nel terzo, è storia contemporanea, storia criminale se vogliamo, ma sempre presente.  Questi quattro quarti che hanno scandito l’avventura Garrone si svolgono fra l’altro ognuno in diverse stagioni dell’anno che finora sono state inverno, estate, primavera.

 

Passiamo ad analizzare il tuo ultimo libro che è Morte sottovento.  Quando lo hai scritto e cosa ti ha ispirato?

Lo spunto di pancia, se posso usare questa espressione, è stato l’arrivo qualche anno fa delle grandi navi da crociera nel golfo del Tigullio. Non ho niente contro le crociere, ognuno sceglie le vacanze che preferisce, ma l’averle di continuo sotto gli occhi mi ha fatto scattare curiosità morbose. Forse tu non sai, ma quando i transatlantici si ancorano in un golfo, fuori dai porti, i passeggeri sbarcano senza alcun controllo doganale. E allora ho cominciato a chiedermi: che cosa potrebbe avere nella borsa quella vecchia signora inglese, magari a sua insaputa?

 

Raccontaci un po’ la trama, dove è ambientato, i suoi personaggi principali. Facci venir voglia di leggerlo….

Amanda Garrone è arrivata da una settimana a Santa Margherita Ligure in ferie obbligate (il ministero ha ordinato di smaltire gli arretrati, si dice in gergo) e, mentre fanno il bagno, una sua vecchia amica avvocato le chiede aiuto per un cliente che è stato ricattato. L’oggetto del ricatto riguarda un trapianto di cuore, materia delicatissima ricca di implicazioni per la coscienza e non solo per il codice penale. Nel frattempo, il cadavere di uno sconosciuto ucciso da un colpo di arma da fuoco viene recuperato su una spiaggetta vicino a Portofino. E’ una storia che scava nelle dolorose responsabilità di un genitore che vuole salvare il figlio malato di cuore ma non disdegna il ritmo incalzante dell’azione. Un dettaglio. Al contrario del luogo comune che vuole polizia e carabinieri in perenne antagonismo (vero, ma esagerato nella narrativa), a me piace far lavorare Amanda con il suo vecchio amico dei Ros, colonnello Nasi. 

 

Hai dovuto fare un lavoro di studio degli argomenti trattati o lo hai ambientato in luoghi e descritto situazioni che conosci bene?

Mio marito e io viviamo nel Tigullio da diversi anni, perciò conosco bene i luoghi e come giornalista ho sempre letto con attenzione le notizie che riguardano la presenza della ‘ndrangheta nella regione. Proprio qualche giorno fa, è emersa la partecipazione della camorra nelle operazioni di sistemazione del porto di Rapallo dopo la grande mareggiata del 2018. Perciò, la parte romanzata dedicata alla criminalità organizzata in zona è di fantasia ma certo non ha stupito i lettori locali, che peraltro sono stati tanti. 

 

Secondo te c’è un pubblico specifico per questo libro? O può essere apprezzato da tutti?

La serie è stata apprezzata (o al contrario criticata) da tutti i generi di lettori. E sono convinta che sia davvero così. Tuttavia, non nascondo che una certa parte di pubblico non ci si ritroverebbe. Non si ride molto, nei miei romanzi. Si ironizza, certo. E li ci si ferma, perché a me che l’ho visto dal vero per quasi 30 anni, il crimine non ha mai strappato risate. E persino come lettrice, prediligo decisamente i generi che sottolineano il lato drammatico del delitto, pur mostrandone le varie facce. 

 

Preferisci i finali accomodanti (col lieto fine), dove tutti i cerchi vengono chiusi o spesso lasci qualcosa di non concluso o poco definito? Ti piacciono i finali spiazzanti ed un po’ cinici dove anche qualche protagonista importante incorre in qualche “incidente” o preferisci il vissero tutti felici e contenti?

Io e i luoghi comuni facciamo a botte tutti i giorni. Anche nelle conversazioni fra amici, mi piace introdurre ragionamenti provocatori purché sostenuti da fatti reali. E con questo, direi che ti ho risposto. Ugualmente, non amo i finali in cui tutto è risolto. Anzi. Considerato il numero di delitti senza autore, da noi e nel mondo, ogni tanto mi piace ricordare al lettore che il bene non vince quasi mai. Così è stato per la serie Amanda Garrone. Ho in progetto però un romanzo storico, venato di giallo ma senza omicidi, basato su un avvenimento reale che si conclude con un successo. E questo per ricordare a me stessa che anche il bene ogni tanto vince!

 

Facci un piccolo excursus nella tua bibliografia. Hai pubblicato altri romanzi precedentemente a questo. A quale genere appartengono? Stai scrivendo qualcosa in questo periodo? Oppure sei già ai dettagli? 

Prima della serie Amanda Garrone indaga, ho pubblicato soltanto saggi. Quello più importante è “A un passo dalla guerra” sulla strage di Ustica, scritto con Andrea Purgatori e Paolo Miggiano. Lo scrivemmo nel lontano 1995 ma lo considero ancora di attualità, anche se è ormai fuori catalogo (comunque rintracciabile in moltissime biblioteche). Avevamo moltissime informazioni, ma non tutte erano attribuibili a una fonte, perciò decidemmo di separare il libro in due parti. Raccontammo in forma romanzata quello che secondo noi era successo e corredammo i vari snodi drammatici con schede documentate da fonti reali. Ora che ci penso, può darsi che l’idea di scrivere “gialli” mi sia nata allora!

In questo periodo sto finendo la quarta e conclusiva avventura di Amanda. Ti ho detto che si svolgerà nelle Langhe, altro non posso aggiungere, anche se mi spiace…:)

 

Prima dei saluti finali mi piacerebbe avere da te un’opinione del mondo nel quale ti muovi. Secondo me gli scrittori self sono considerati autori meno capaci rispetto a quelli che scrivono per le case editrici. Sono io che vedo le cose in maniera distorta o la pensi anche tu cosi? C’è una ragione plausibile per cui un libro autoprodotto non possa essere presente sugli scaffali di una libreria? Per Amazon casa editrice credo sia un discorso diverso e anche molto chiaro. I librai odiano Amazon per tutta una serie di ragioni, anche comprensibili, e quindi non metterebbero mai in vendita libri pubblicati da lei. Ma per tutti gli altri? Per un autore emergente la scelta di auto pubblicarsi non dovrebbe essere penalizzante già in partenza, come invece avviene. Posso dire tranquillamente, per averne letti tanti, che tra gli autori self ci sono grandi talenti. Qual è la tua opinione?

Sono d’accordo con te, anche perché conosco dall’interno i meccanismi perversi del mondo dell’editoria dove, persino per avere la possibilità di essere valutati, conta solo chi ti presenta. Non sto dicendo che si pubblichi roba scadente, tutt’altro. Però è vero che si possono trovare dei veri talenti anche tra i self-publisher. Il fenomeno va assolutamente sostenuto, anche convincendo i librai a vendere questo tipo di libri, cosa fra l’altro oggi possibile perché Amazon da alcuni mesi ha inaugurato un servizio dedicato appositamente alle librerie, con grossi sconti per loro. Sull’altro versante, bisogna che chi si autopubblica impari ad autopromuoversi seriamente, dopo avere imparato a lasciarsi correggere. In questo senso, i vari editor indipendenti sono fondamentali. Mai mandare in stampa un libro che non sia passato sotto gli occhi di un editor professionale. Che per questo lavoro deve essere pagato. E per rafforzare il concetto, ti dico che io stessa non disdegnerò in futuro il self-publishing per i miei romanzi. Nei paesi anglosassoni, molti autori bravissimi hanno abbandonato gli editori e sono passati all’autopubblicazione. Vorrei chiudere con quello che considero un mio chiodo fisso. I librai odiano Amazon perché vende libri che costano meno. Non lo ammettono, ma è così. E sbagliano a non capire che oggi sono i libri degli editori tradizionali a costare troppo. Ti faccio un esempio. Perché il lettore deve pagare un ebook di Mondadori 7,90 - 8,90 o persino 10,90 euro, quando un ebook di Amazon costa solo 4,99? Trasformare un testo word in formato epub o altri formati analoghi costa la stessa cifra, ad Amazon o a Rizzoli. E allora? Ecco, invece di fare la guerra ad Amazon, non sarebbe meglio nell’interesse del cliente finale, cioè il lettore, fare la guerra agli editori troppo cari?

 

Ti ringrazio della bella chiacchierata, ti auguro tanta fortuna per tutte le tue attività e spero che non si affievolisca mai la tua voglia di scrivere romanzi perché sei veramente brava. Se ritieni puoi aggiungere qualcosa che magari ritieni importante far sapere ai lettori….

Sono io che ringrazio te per avermi dato questo spazio e…taccio. Auguro ai tuoi lettori di divertirsi sempre leggendo, di soddisfare le loro curiosità e di avere la bella sensazione che un buon libro arricchisce chi lo ha letto.

 

Di nuovo grazie. Complimenti ed a presto.

 

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Nota bene: Rispondendo alle domande di questa intervista viene dato il consenso alla sua pubblicazione sul blog Un libro di emozioni e sui social ad esso legati.