Il ritratto - Ilaria Bernardini -
recensione a cura di Carmen Nolasco
Valeria Costas è una
scrittrice di successo. Da oltre venticinque anni è l'amante di Martin Aclà,
noto imprenditore sposato. L'incipit del libro svela subito la questione: Martin
e Valeria erano amanti. Lo erano stati per gran parte della loro vita.
Questo inizio, che porta al cuore della storia senza preamboli, è brutale e
sembra la promessa di un racconto dozzinale. E invece…
Valeria vive a Parigi, Martin
a Londra con moglie e figli. Quando Valeria scopre che il suo amante è in coma
in seguito a un ictus, riesce a insinuarsi nella casa di lui con la scusa di
farsi fare un ritratto, per la quarta di copertina del suo ultimo libro, dalla
moglie Isla, che è una ritrattista molto famosa. All'inizio disturba la
questione che siano tutte figure di successo, tutti vip, tutti conosciuti e
osannati da stampa e critica: Valeria, Isla, Martin. Sembra delinearsi una
narrazione mainstream: lui, la moglie e l'amante, belli ricchi e famosi. E
invece sappiamo che un romanzo è davvero speciale non per quello che racconta,
bensì per come lo racconta: il ritmo, le pause, le rivelazioni graduali,
l'intensità e la capacità introspettiva. E tutti questi talenti sono presenti
nel romanzo di Ilaria Bernardini, distribuiti in modo articolato e complesso, tale
che inizialmente l'autrice dà l’idea di procedere incerta, senza un canovaccio
preciso. Personaggi e situazioni appaiono in un primo momento poco definiti,
come se la Bernardini si lasciasse guidare dalla narrazione stessa. È proprio
questa incertezza iniziale a rendere più potente la presa di coscienza dell’intreccio
che avviene a metà lettura: il lettore scopre di essere imprigionato in un
groviglio di emozioni, nella sapiente trama del romanzo che lo trattiene dentro
la sua ragnatela collosa.
Ilaria Bernardini eccelle
nel dosare le rivelazioni: come tessere di un puzzle, vanno a completare, in
questa fase centrale, la caratterizzazione dei personaggi facendo maturare nel
lettore una comprensione via via sempre più profonda, non solo degli eventi che
si dipanano nel testo, ma dell'anima stessa di ciascun protagonista, con quella
forza e complessità che rendono un romanzo memorabile.
Poi, però, ecco la curva
discendente. L’andamento prima in salita, che a metà trasporta al clou della narrazione
con un impatto emotivo altissimo, discende trascinando chi legge in un baratro
di sconforto, tra malattie, pensieri suicidari, psicopatologie e drammi da cui
non si salva nessuno.
L'intensità, prima della
conclusione, guida positivamente la storia: le parole creano immagini, scavano
dentro il lettore. Non sono pietre affilate né fuoco che brucia, sono dense e
cremose come devono essere le parole giuste: Vide quella stessa scena da un
satellite molto lontano... dal satellite scattò una foto, la mise in un
cassetto. Ed ecco che per magia il lettore vede tutto, di colpo, dalla
prospettiva descritta: tutto piccolo, tutto dall'alto. Ma che brava! È un
passaggio di notevole efficacia. Il ritmo diventa così intenso che la lettura
assurge a valore prioritario nella quotidianità del lettore: bisogna continuare
a leggere per sapere come andrà a finire. Dunque, promosso a pieni voti?
Promosso, senza dubbio. Ma
non a pieni voti. Sul finire della storia ci si accorge delle ridondanze, come
la rievocazione sempre più esagerata di Sybilla, la sorellina morta di cancro a
dodici anni. Poi alcune inverosimiglianze: in un passaggio in cui Valeria
ricorda la sorellina, a un certo punto Sybilla, nove anni, dice: sono più
coraggiosa io! e Valeria, sette anni, risponde: Col cazzo che lo sei.
È credibile l’espressione per una bambina di soli sette anni? Oppure, quando
leggiamo: ‘Vi amo, bambine', ripeteva mentre camminava verso casa. 'Anche
noi ti amiamo' rispondevano loro’: in un dialogo realistico, possono i
personaggi rispondere perfettamente all'unisono?
Tra le ridondanze varie
che disturbano la lettura, si nota la ricorrenza esasperata del verbo scomparire
che all'inizio intriga e affascina, ma poi l’abuso lo rende estremamente fastidioso.
La ridondanza dei pensieri suicidari di molti personaggi e il tema della
perdita e della morte avvolgono in modo quasi claustrofobico l'umore del
lettore che non intravede una punta di luce. Inoltre, se l’intento dell’autrice
è stato quello di non farci amare Valeria come donna in quanto cupa,
egocentrica e monocorde, c’è riuscita perfettamente.
Altra ridondanza è insita
nella descrizione di Valeria come scrittrice: lo scrittore protagonista del
romanzo è un tema abusato in letteratura e in questo caso con troppa dovizia di
particolari e resoconti sulle sue abilità e abitudini.
Ci sono piccole sbavature
lessicali come l’uso errato del congiuntivo che non si capisce se volute (il
personaggio di colpo diventa sgrammaticato?) o capitate, come: "Spero
che tu e tua madre stiate bene e che il balcone “fosse” bello come sembrava
nelle fotografie". O ripetizioni come: "Vennero accolti dalla
figlia della proprietaria, che aveva capelli molto lunghi e pareva una divinità
egizia. Era più bella di profilo, cosa che avrebbe funzionato alla perfezione
in un ritratto egizio".
Ancora, spiegoncini
superflui tipo: A volte erano così in ritardo per la scuola che dovevano
correre “per coprire la distanza nel minor tempo possibile".
Infine, se la storia si
fosse conclusa senza l’Epilogo, avrebbe lasciato il lettore con
quell’incertezza di un finale aperto e con la suggestione meravigliosa della chiusa:
E con i polmoni aperti e con le bocche spalancate cantarono (tutti i
personaggi di tutte le storie scritte e mai scritte di Valeria) a
squarciagola, forti come i tuoni, potenti come l’amore.
Invece è come se un
editor abbia chiesto all’autrice un finale diverso, rivelatore, e così lei lo
abbia scritto e inserito alla fine, rendendo la storia inverosimile, e il
finale stesso un’appendice posticcia con ritmo e stile differenti.
In sintesi, lettura
consigliata? Sì. Un punto di vista diverso sul tradimento.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2020