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domenica 31 agosto 2025

IL RITRATTO

 



Il ritratto - Ilaria Bernardini - 

recensione a cura di Carmen Nolasco


Valeria Costas è una scrittrice di successo. Da oltre venticinque anni è l'amante di Martin Aclà, noto imprenditore sposato. L'incipit del libro svela subito la questione: Martin e Valeria erano amanti. Lo erano stati per gran parte della loro vita. Questo inizio, che porta al cuore della storia senza preamboli, è brutale e sembra la promessa di un racconto dozzinale. E invece…

Valeria vive a Parigi, Martin a Londra con moglie e figli. Quando Valeria scopre che il suo amante è in coma in seguito a un ictus, riesce a insinuarsi nella casa di lui con la scusa di farsi fare un ritratto, per la quarta di copertina del suo ultimo libro, dalla moglie Isla, che è una ritrattista molto famosa. All'inizio disturba la questione che siano tutte figure di successo, tutti vip, tutti conosciuti e osannati da stampa e critica: Valeria, Isla, Martin. Sembra delinearsi una narrazione mainstream: lui, la moglie e l'amante, belli ricchi e famosi. E invece sappiamo che un romanzo è davvero speciale non per quello che racconta, bensì per come lo racconta: il ritmo, le pause, le rivelazioni graduali, l'intensità e la capacità introspettiva. E tutti questi talenti sono presenti nel romanzo di Ilaria Bernardini, distribuiti in modo articolato e complesso, tale che inizialmente l'autrice dà l’idea di procedere incerta, senza un canovaccio preciso. Personaggi e situazioni appaiono in un primo momento poco definiti, come se la Bernardini si lasciasse guidare dalla narrazione stessa. È proprio questa incertezza iniziale a rendere più potente la presa di coscienza dell’intreccio che avviene a metà lettura: il lettore scopre di essere imprigionato in un groviglio di emozioni, nella sapiente trama del romanzo che lo trattiene dentro la sua ragnatela collosa.

Ilaria Bernardini eccelle nel dosare le rivelazioni: come tessere di un puzzle, vanno a completare, in questa fase centrale, la caratterizzazione dei personaggi facendo maturare nel lettore una comprensione via via sempre più profonda, non solo degli eventi che si dipanano nel testo, ma dell'anima stessa di ciascun protagonista, con quella forza e complessità che rendono un romanzo memorabile.

Poi, però, ecco la curva discendente. L’andamento prima in salita, che a metà trasporta al clou della narrazione con un impatto emotivo altissimo, discende trascinando chi legge in un baratro di sconforto, tra malattie, pensieri suicidari, psicopatologie e drammi da cui non si salva nessuno.

L'intensità, prima della conclusione, guida positivamente la storia: le parole creano immagini, scavano dentro il lettore. Non sono pietre affilate né fuoco che brucia, sono dense e cremose come devono essere le parole giuste: Vide quella stessa scena da un satellite molto lontano... dal satellite scattò una foto, la mise in un cassetto. Ed ecco che per magia il lettore vede tutto, di colpo, dalla prospettiva descritta: tutto piccolo, tutto dall'alto. Ma che brava! È un passaggio di notevole efficacia. Il ritmo diventa così intenso che la lettura assurge a valore prioritario nella quotidianità del lettore: bisogna continuare a leggere per sapere come andrà a finire. Dunque, promosso a pieni voti?

Promosso, senza dubbio. Ma non a pieni voti. Sul finire della storia ci si accorge delle ridondanze, come la rievocazione sempre più esagerata di Sybilla, la sorellina morta di cancro a dodici anni. Poi alcune inverosimiglianze: in un passaggio in cui Valeria ricorda la sorellina, a un certo punto Sybilla, nove anni, dice: sono più coraggiosa io! e Valeria, sette anni, risponde: Col cazzo che lo sei. È credibile l’espressione per una bambina di soli sette anni? Oppure, quando leggiamo: ‘Vi amo, bambine', ripeteva mentre camminava verso casa. 'Anche noi ti amiamo' rispondevano loro’: in un dialogo realistico, possono i personaggi rispondere perfettamente all'unisono?

Tra le ridondanze varie che disturbano la lettura, si nota la ricorrenza esasperata del verbo scomparire che all'inizio intriga e affascina, ma poi l’abuso lo rende estremamente fastidioso. La ridondanza dei pensieri suicidari di molti personaggi e il tema della perdita e della morte avvolgono in modo quasi claustrofobico l'umore del lettore che non intravede una punta di luce. Inoltre, se l’intento dell’autrice è stato quello di non farci amare Valeria come donna in quanto cupa, egocentrica e monocorde, c’è riuscita perfettamente.

Altra ridondanza è insita nella descrizione di Valeria come scrittrice: lo scrittore protagonista del romanzo è un tema abusato in letteratura e in questo caso con troppa dovizia di particolari e resoconti sulle sue abilità e abitudini.

Ci sono piccole sbavature lessicali come l’uso errato del congiuntivo che non si capisce se volute (il personaggio di colpo diventa sgrammaticato?) o capitate, come: "Spero che tu e tua madre stiate bene e che il balcone “fosse” bello come sembrava nelle fotografie". O ripetizioni come: "Vennero accolti dalla figlia della proprietaria, che aveva capelli molto lunghi e pareva una divinità egizia. Era più bella di profilo, cosa che avrebbe funzionato alla perfezione in un ritratto egizio".

Ancora, spiegoncini superflui tipo: A volte erano così in ritardo per la scuola che dovevano correre “per coprire la distanza nel minor tempo possibile".

Infine, se la storia si fosse conclusa senza l’Epilogo, avrebbe lasciato il lettore con quell’incertezza di un finale aperto e con la suggestione meravigliosa della chiusa: E con i polmoni aperti e con le bocche spalancate cantarono (tutti i personaggi di tutte le storie scritte e mai scritte di Valeria) a squarciagola, forti come i tuoni, potenti come l’amore.

Invece è come se un editor abbia chiesto all’autrice un finale diverso, rivelatore, e così lei lo abbia scritto e inserito alla fine, rendendo la storia inverosimile, e il finale stesso un’appendice posticcia con ritmo e stile differenti.

In sintesi, lettura consigliata? Sì. Un punto di vista diverso sul tradimento.


genere: narrativa 

anno di pubblicazione: 2020