giovedì 30 maggio 2024

CUORE NERO

 




Cuore nero - Silvia Avallone -

recensione a cura di Carmen Nolasco


“Cuore nero” di Silvia Avallone è un romanzo tosto. Una storia intensa che mi ha costretta a non abbandonare la lettura per giungere subito, e con curiosità, al finale e capire quale crimine avesse commesso Emilia, la protagonista. Crimine che, strategicamente, trapela dalle pagine senza essere spiegato nella sua dinamica se non all’ultimo, e questo, lo riconosco, è frutto di abilità narrativa.

Emilia è un personaggio tormentato, forse troppo caratterizzato, ma prende. La storia si snoda come in un film per la capacità di Silvia Avallone di saper creare immagini con le parole. In alcuni tratti la descrizione dei luoghi è incredibilmente vivida e realistica, ci sono frasi intere di audace bellezza.

I temi trattati sono importanti: il dolore, la colpa, il perdono. La solitudine. Il carcere minorile, l’adolescenza, l’amore. Il male. Sono molteplici anche i personaggi: Riccardo, il padre di Emilia; Bruno il co-protagonista che di lei si innamora; Basilio, l’artista; Marta, l’amica; e tanti altri. 

A caldo posso dire che è una storia che turba, cupa e inquietante, con enormi potenzialità − inesplose − e spunti di riflessione. Una storia così forte che mi ha fatto chiudere un occhio sulla scrittura – debole in questo libro − di Avallone. Basta questo a definire buono un romanzo? Basta che sia memorabile? Se la risposta è sì, allora questo romanzo è davvero buono.

Eppure.

Eppure mi è sembrato un romanzo bipolare, con due penne e due anime: interi periodi e descrizioni singolari e di grande impatto associati a banalità stucchevoli e adolescenziali. Costruzioni salde e mature e poi pagine balbettanti piene di ovvietà e di strutture incerte.

Non mi è piaciuto il registro linguistico gergale, mi è parso, in alcuni tratti, una forzatura, ma probabilmente è una questione di gusto; a mio parere ha tolto bellezza e magia alla narrazione. L’uso gergale − e volgare − del linguaggio è certamente funzionale alla storia che si vuole raccontare, ma dovrebbe essere sciolto, ben dosato e soprattutto calibrato sui personaggi; a tratti Bruno ed Emilia paiono la stessa persona, con lo stesso identico modo di esprimersi e questo non può essere: Bruno è un insegnante colto e vive tra i libri, Emilia ha un profilo decisamente più basso.

Altra forzatura l’ho colta nella ricerca stilistica quasi ansiosa, nell’uso teatrale di aggettivi e metafore: le lentiggini crepitanti, il crinale illibato e tanto altro; accostamenti ricercati, goffi e inverosimili.

L’uso del “punto di vista” – che è quello di Bruno, io narrante – è confuso fin dall’inizio ed è paradossale in molte porzioni di testo. Sono la prima a dire che la scrittura è creatività, che non esistono regole e tutto può essere inventato, tuttavia ci deve essere una coerenza che faccia da collante e io qui non l’ho trovata.  Ho avuto la sensazione, piuttosto, che il punto di vista sia stato corretto a posteriori entrando a gamba tesa con gli accorgimenti tipici della revisione editoriale, cosa che giustificherebbe anche quella sensazione di due penne differenti.

In ultimo, ecco il mio parere sul tema di fondo: la colpa. Esprimo, con quest’analisi, una valutazione assolutamente personale come lettrice sui contenuti e i messaggi che ogni narrazione veicola.

La colpa efferata di Emilia viene trattata, secondo me, in maniera non adeguata facendo barcollare il patto di sospensione dell’incredulità. La colpa viene affrontata senza quella necessaria e positiva elevazione dell'anima. Non c'è una vera redenzione, il pentimento − e di conseguenza il perdono altrui − non è inquadrato con risoluzione nell'alveo dell'atroce consapevolezza del male commesso, non è cioè rappresentato con adeguata declinazione psicologica, con la sofferenza per la mera crudeltà dell’atto, si snoda piuttosto nel dramma del pregiudizio sociale e del senso di colpa attraverso una ricostruzione accorata, e dunque inverosimile, dei "realmente futili" motivi. Una questione così profondamente delicata e introspettiva avrebbe dovuto essere trattata con maggiore complessità, con un’articolazione più raffinata, di certo meno stereotipata, soprattutto considerando che la voce narrante è quella di Bruno.  Anche se è da riconoscere alla Vallone la bravura di aver portato alla luce un tema sociale così importante.

Una curiosità: Cuore nero mi ha ricordato la trama del film “Il papà di Giovanna”, film diretto da Pupi Avati e tratto dal suo omonimo romanzo. Ho visto una somiglianza anche fisica tra l’Emilia che ho immaginato durante la lettura e la bravissima attrice Alba Rohrwacher.


genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2024

 


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