domenica 17 novembre 2024

MENTRE MORIVO

 



Mentre morivoWilliam Faulkner -

recensione a cura di Carmen Nolasco


Ed eccomi qui a recensire un romanzo come ce ne sono pochi. È un privilegio, per me, farlo. È un privilegio, intanto, il solo averlo letto, lo dico subito. E non è per tutti, dico anche questo. Se volete la storiella da leggere sotto l’ombrellone, se volete scivolare veloci sulle pagine appollaiati con deliberata leggerezza, William Faulkner non fa al caso vostro. Premio Nobel per la letteratura nel 1950, con “Mentre morivo” ha decretato la sua inequivocabile grandezza di autore.

La storia è quasi banale: l’odissea di una famiglia, Anse Bundren e i suoi cinque figli, Cash, Darl, Jewel, Vardaman e Dewey Dell, che affronta un viaggio su un carretto malandato e trainato da una pariglia di muli per andare a seppellire Addie Brunden, moglie di Anse e madre dei cinque ragazzi.

Addie Bundren, già mentre moriva, si era fatta costruire la bara dal figlio Cash e aveva chiesto al marito di essere seppellita nel suo paese natio. Ecco dunque il viaggio tra fiumi in piena e ponti crollati, animali annegati e un fienile in fiamme.

In cosa consiste la bellezza del romanzo? Intanto è corale, con una voce narrante in prima persona per ogni capitolo; non solo la voce di Anse, della stessa Addie e dei cinque figli, ma anche di una serie di personaggi che ruotano intorno alla vicenda. In questo modo, tutto ciò che a inizio lettura appare oscuro, giacché non c’è mai nulla di raccontato e l’autore non appare mai dietro le voci, tutto ciò che è incomprensibile, dicevo, acquista via via contorni sempre meglio definiti. Quindici personaggi raccontano la stessa storia e il procedere di questa lungo un percorso irto di ostacoli e ciascuno di essi offrirà, di volta in volta, un elemento in più, quello che ci manca e la cui omissione ci ha disorientati, fino al completamento di un quadro piuttosto preciso.

Ma non è solo questo. Si tratta anche dello stile narrativo, della potenza di ogni singola voce narrante che, nel suo flusso di coscienza, ha una sua esplosiva autenticità. Attraverso la prospettiva di personaggi unici e diversi, emerge una narrazione ricca e sfaccettata e, a seconda di chi racconta, ora profonda, ora inquietante, ora folle, ora squallida.

L’incipit è per voce di Darl: Jewel e io veniamo su dal campo per il sentiero, uno dietro l’altro. Benché io sia cinque metri avanti a lui, uno che ci guardasse dalla baracca del cotone vedrebbe il cappello di paglia di Jewel, sfondato e sfilacciato, di tutta una testa sopra il mio. Darl ha una voce penetrante, un pensiero acuto e diverso da quello degli altri e alla fine si capirà perché.

Ciascuno dei figli, in questo viaggio, svela il proprio modo di affrontare il lutto e la perdita della madre. Le loro voci sono le voci dei contadini che non hanno dimestichezza con la parola e fanno fatica e dare corpo a pensieri e sentimenti. Ciascuno di loro affronta il trauma senza mai parlarne, ignorando il cadavere maleodorante già in decomposizione sul carro, e spostando il senso di perdita su altro; Jewel sul proprio cavallo (Vardaman con la sua voce infantile dirà: la madre di Jewel è un cavallo), Vardaman si concentrerà su un povero pesce morto che egli stesso ha dovuto fare a pezzi per ordine del padre e dirà mia madre è un pesce e ancora: sento dov’era il pesce nella polvere. È tagliato a pezzi di non-pesce, adesso, non-sangue sulle mani e sulla tuta. Prima non era così. Prima non era successo.

L’unico che pare non dolersi per il lutto è Anse, dice di continuo che ha deciso di affrontare il viaggio per obbedire al volere della moglie Addie, ma non è così: lui vuole solo rifarsi i denti in città. E alla fine vorrà anche altro che non è il caso di spoilerare.

Di tutte le voci che svelano sé stesse e rivelano al contempo gli altri, la più intensa è quella della stessa Addie ormai morta: Fu allora che capii che le parole non servono a nulla; che le parole non corrispondono mai neanche a quello che tentano di dire… che peccato, amore e paura sono soltanto dei suoni che gente che non ha mai peccato, amato né avuto paura ha per quello che non ha mai avuto e non potrà avere fintanto non si dimenticherà delle parole.

È sempre la voce di Addie che rivelerà il segreto della famiglia Bundren, la sua voce semplice e oscura. Segreto che il lettore attento ha già colto, a quel punto, in altre voci narranti. E se non l’ha già fatto, e dubito che l’abbia fatto, allora tornerà indietro, come ho fatto io, a sfogliare le pagine precedenti per trovare gli indizi e, così, finalmente, chiudere il cerchio e capire.


genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2007


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