recensione a cura di Carmen Nolasco
Ci tengo molto ai consigli dei librai che conosco. In particolare, vado spesso a trovare due libraie che leggono davvero – non solo il riassunto in copertina.
Così accade che una di loro, giovane e letterariamente onnivora, mi dice che sta leggendo un romanzo di Emmanuel Carrère: I Baffi. E che, se all’inizio la lettura le ha strappato qualche sorriso, proseguendo è entrata in una dimensione di incredulità e inquietudine. Addirittura. Sì, dice: è spiazzante, ma non ho ancora finito di leggerlo.
Allora lo compro! Esclamo. Mi basta questa sua descrizione.
Detto fatto. Mi ritrovo tra le mani 149 pagine, come dire, perturbanti. Scopro che il romanzo è stato pubblicato nel 1986 e che − mi riprometto di andarlo a cercare − ne è stato tratto un film omonimo nel 2005 interpretato, tra gli altri, da Vincent Lindon ed Emmanuelle Devos.
Emmanuel Carrère, l’autore, è nato a Parigi dove attualmente vive, Adelphi ha già pubblicato dodici dei suoi libri.
La storia parte, in effetti, in modo piuttosto divertente: un giovane architetto decide una mattina di tagliarsi i baffi. L’incipit è proprio questo:
“«Che ne diresti se mi tagliassi i baffi?». Agnès, che sfogliava una rivista su divano, diede in una risata leggera, poi rispose: «Sarebbe una buona idea»”.
Poi la moglie esce a fare la spesa e il nostro personaggio resta solo. L’operazione di rasatura è accompagnata da sentimenti contradditori: l’eccitazione per la novità del suo cambiamento d’immagine e la preoccupazione per la reazione di Agnès al suo rientro. Ma quando la moglie torna, pare non accorgersi di nulla e non fa alcun riferimento alla questione. I due si recano a cena a casa di amici e anche loro non notano niente. L’architetto si sente in bilico tra un risentimento infantile e un godereccio divertimento per quello che, a questo punto, ritiene essere uno scherzo ideato dalla moglie, del resto avvezza a burle del genere.
La burla però, se di questo si tratta, si protrae oltre il previsto. Una volta a casa Agnès, interrogata, gli risponderà che lui non ha mai avuto i baffi. Inizia a questo punto un corposo e sconvolgente rimuginare che porterà il nostro uomo a ipotizzare non più uno scherzo innocente della moglie con la complicità degli amici, ma un vero complotto a suo danno che acquisterà, via via, dimensioni sempre più considerevoli e risvolti sgradevoli fino a condurlo al temere per la propria incolumità.
Ciò che il lettore si domanderà per grande parte della lettura, scorrevolissima e sorprendente, è se il protagonista sia un folle paranoico oppure la vittima di una macchinazione di larga portata.
La soluzione arriverà nel proseguo e sarà sempre più sbalorditiva fino a condurci dentro un finale assolutamente imprevedibile.
Come non associare questa lettura al folgorante “Uno, Nessuno e Centomila” di Luigi Pirandello?
“Mia moglie sorrise e disse: – Credevo ti guardassi da che parte ti pende. Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda: – Mi pende? A me? Il naso? E mia moglie, placidamente: – Ma sì, caro. Guardatelo bene: ti pende verso destra”.
Il viaggio allucinante del protagonista nei meandri tortuosi della mente al fine di sciogliere il dilemma sui presunti baffi è davvero, per tantissime pagine, un incubo senza soluzione che ci rimanda alla questione identitaria non solo pirandelliana, ma anche kafkiana della Metamorfosi, dove la situazione paradossale mette alla prova l’intero equilibrio esistenziale del personaggio.
Nel caso de “I baffi”, a soccorrere il protagonista c’è però un legame amoroso con Agnès così intenso che pare, almeno in un primo tempo, sorreggere l’affanno:
“Andrò da uno psichiatra, disse lei. Perché tu? Se c’è qualcuno che è fuori di testa, rispondeva lui, quello sono io. Perché? Perché gli altri la pensano come te, anche secondo loro non ho mai avuto i baffi, quindi sono io che do i numeri. Ci andremo entrambi, disse lei baciandolo, forse alla fin fine è una cosa comune. Tu credi? No. Nemmeno io. Ti amo. E si ripeterono che si amavano, che si credevano, che si fidavano l’uno dell’altra, anche se era impossibile, ma cos’altro potevano ripetere?”.
Senza voler spoilerare nulla, ritengo che la parte più imprevedibile e intensa risiede nel finale: vi farà chiudere il libro con un sopracciglio alzato e la sensazione, terribile e affascinante al tempo stesso, di aver fatto un viaggio, trattenendo il fiato, lungo 149 pagine, attraversando i meccanismi psicologici dell’uomo per il quale la fuga da tutto e da tutti, non rappresenta, come spesso si crede, la salvezza, ma un punto di non ritorno.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2020
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