Meno di zero - Bret Easton Ellis -
recensione a cura di Carmen Nolasco
Bret Easton Ellis aveva
appena vent'anni quando, nel 1985, pubblicò il suo primo romanzo "Meno di
zero" ("Less Than Zero"). Concepito originariamente come tesi
finale per un corso universitario di scrittura creativa, il libro rivela immediatamente
il talento e l'audacia narrativa dell'autore. La sua scrittura,
sorprendentemente matura, dà l'impressione di uno scrittore esperto che si
cimenti in un romanzo di formazione. Eppure, tra le righe, emerge tutta
l'inquietudine dell'adolescenza che si trasforma e si spegne in una narrazione
che mostra, senza bisogno di spiegazioni, il puro nichilismo. In questo senso,
il parallelo con "L'Ospite inquietante" di Umberto Galimberti appare
inevitabile, entrambi diversamente testimoni del disincanto di una generazione
alla deriva.
Se esiste uno scrittore
che incarna il principio secondo cui la scrittura non ha regole, questi è
certamente Bret Easton Ellis. "Meno di zero" è un romanzo privo di
una trama convenzionale, dove apparentemente non accade nulla di rilevante, eppure
ogni singola riga risulta essenziale. Ellis non narra grandi eventi, ma si
concentra sulle piccole azioni quotidiane e sui dialoghi tra gli amici che, nel
fluire dei giorni, riescono a dipingere con ferocia e brutalità disarmante il
sordo dolore di un adolescente. Un dolore che il protagonista riesce
fugacemente a intravedere nella vacuità della propria esistenza e in quella dei
suoi coetanei.
La narrazione, che
racconta le vacanze di Natale del giovane Clay, durante le quali torna alla
natia Los Angeles, si sviluppa senza mai suscitare la classica domanda: "E
poi?". Questo non significa che l'assenza di suspense non riesca a
mantenere il lettore incollato alle pagine. Al contrario, chi legge viene
assorbito dal racconto, immerso nelle parole e svuotato a sua volta, e lasciato
con un profondo senso di angoscia esistenziale. E se il lettore è un genitore,
con un'inquietante domanda. Tra le pagine emerge infatti un'accusa spietata
verso una generazione di genitori assenti, concentrati esclusivamente sulle
proprie vite.
L'indifferenza nelle
relazioni, la superficialità dei rapporti, la prosperità economica, e
l'incapacità di assumere responsabilità (emblematico lo psicologo di Clay, egli
stesso parte di questo mondo perduto) sono i tratti distintivi della società
americana rappresentata: l’ambiente opulento e superficiale degli Studios
cinematografici. In questo contesto emerge, senza clamori espliciti, il dolore
di Clay, protagonista del romanzo, che si manifesta nel suo ripetuto e
struggente "Sparire qui" e nel suo pianto apparentemente immotivato.
Ellis dipinge un universo
popolato da ragazzi biondissimi, abbronzatissimi, bellissimi e terribilmente
vuoti, incapaci di provare il minimo sentimento empatico. La patinata Los
Angeles che fa da sfondo alla narrazione diventa simbolo dell'abbondanza: una
città abitata da persone che possiedono tutto e non hanno più nulla da
desiderare.
Questo romanzo
rappresenta il primo grande esempio della genialità di Ellis. Se in opere
successive, come "American Psycho", affinerà il suo stile
provocatorio, qui dimostra già una sorprendente capacità di catturare l’immoralità
e la devastazione di un’adolescenza annichilita. La sua scrittura è penetrata in
me come un punteruolo, e mi ha catturato soprattutto nell'ultima pagina, grazie
a una chiusura impeccabile e – inaspettatamente − profonda, lasciandomi con
l'impossibilità di liberarmi da due parole contrastanti, ma perfettamente
appropriate: terribile e capolavoro.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 1985
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