martedì 29 aprile 2025

MENO DI ZERO

 






Meno di zero - Bret Easton Ellis -

recensione a cura di Carmen Nolasco


Bret Easton Ellis aveva appena vent'anni quando, nel 1985, pubblicò il suo primo romanzo "Meno di zero" ("Less Than Zero"). Concepito originariamente come tesi finale per un corso universitario di scrittura creativa, il libro rivela immediatamente il talento e l'audacia narrativa dell'autore. La sua scrittura, sorprendentemente matura, dà l'impressione di uno scrittore esperto che si cimenti in un romanzo di formazione. Eppure, tra le righe, emerge tutta l'inquietudine dell'adolescenza che si trasforma e si spegne in una narrazione che mostra, senza bisogno di spiegazioni, il puro nichilismo. In questo senso, il parallelo con "L'Ospite inquietante" di Umberto Galimberti appare inevitabile, entrambi diversamente testimoni del disincanto di una generazione alla deriva.

Se esiste uno scrittore che incarna il principio secondo cui la scrittura non ha regole, questi è certamente Bret Easton Ellis. "Meno di zero" è un romanzo privo di una trama convenzionale, dove apparentemente non accade nulla di rilevante, eppure ogni singola riga risulta essenziale. Ellis non narra grandi eventi, ma si concentra sulle piccole azioni quotidiane e sui dialoghi tra gli amici che, nel fluire dei giorni, riescono a dipingere con ferocia e brutalità disarmante il sordo dolore di un adolescente. Un dolore che il protagonista riesce fugacemente a intravedere nella vacuità della propria esistenza e in quella dei suoi coetanei.

La narrazione, che racconta le vacanze di Natale del giovane Clay, durante le quali torna alla natia Los Angeles, si sviluppa senza mai suscitare la classica domanda: "E poi?". Questo non significa che l'assenza di suspense non riesca a mantenere il lettore incollato alle pagine. Al contrario, chi legge viene assorbito dal racconto, immerso nelle parole e svuotato a sua volta, e lasciato con un profondo senso di angoscia esistenziale. E se il lettore è un genitore, con un'inquietante domanda. Tra le pagine emerge infatti un'accusa spietata verso una generazione di genitori assenti, concentrati esclusivamente sulle proprie vite.

L'indifferenza nelle relazioni, la superficialità dei rapporti, la prosperità economica, e l'incapacità di assumere responsabilità (emblematico lo psicologo di Clay, egli stesso parte di questo mondo perduto) sono i tratti distintivi della società americana rappresentata: l’ambiente opulento e superficiale degli Studios cinematografici. In questo contesto emerge, senza clamori espliciti, il dolore di Clay, protagonista del romanzo, che si manifesta nel suo ripetuto e struggente "Sparire qui" e nel suo pianto apparentemente immotivato.

Ellis dipinge un universo popolato da ragazzi biondissimi, abbronzatissimi, bellissimi e terribilmente vuoti, incapaci di provare il minimo sentimento empatico. La patinata Los Angeles che fa da sfondo alla narrazione diventa simbolo dell'abbondanza: una città abitata da persone che possiedono tutto e non hanno più nulla da desiderare.

Questo romanzo rappresenta il primo grande esempio della genialità di Ellis. Se in opere successive, come "American Psycho", affinerà il suo stile provocatorio, qui dimostra già una sorprendente capacità di catturare l’immoralità e la devastazione di un’adolescenza annichilita. La sua scrittura è penetrata in me come un punteruolo, e mi ha catturato soprattutto nell'ultima pagina, grazie a una chiusura impeccabile e – inaspettatamente − profonda, lasciandomi con l'impossibilità di liberarmi da due parole contrastanti, ma perfettamente appropriate: terribile e capolavoro.


genere: narrativa

anno di pubblicazione: 1985


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