Gènie la matta - Inès Cagnati -
Un
libro da leggere tutto d’un fiato fino a chiuderlo scossi e straziati.
È
un romanzo feroce e spietato, una storia triste e disperata, un’opera tragica
sulla vita misera tra i campi, con il lavoro senza sosta in primo piano, sulla
pazzia usata come rifiuto ed emarginazione di chi fa scelte diverse, ma è
soprattutto il dramma di due vite disperate escluse dalla loro comunità, e del
desiderio di Gènie di difendere a ogni costo la figlia Marie dalle pene che lei
ha sofferto.
Dopo
uno stupro per il quale Génie è ripudiata dalla propria famiglia e messa
all’indice dall’intera comunità, cresce la figlia Marie col lavoro duro nei
campi per un tozzo di pane e rifugiandosi nel silenzio. Silenzio che viene
considerato pazzia.
Con
uno stile scabro, brusco e ripetitivo, giocato sui refrain (“Non starmi tra i piedi”, “Non ho avuto
niente io”) con una voce quindi colloquiale che si mischia a tratti con una
voce poetica “i suoi occhi diventavano
spiagge vellutate dove danzava l’acqua popolata di stelle” racconta le vite
miserabili degli emarginati spezzati come è stata spezzata Gènie e la
sopravvivenza ostinata ai soprusi. La scrittura precisa, secca e tagliente lascia
lo spazio essenzialmente alla storia, agli avvenimenti e ai silenzi con un
ritmo ripetitivo in una sorta di crescendo emotivo che porta a un finale
tragico e inevitabile. Ciò permette al lettore di “sentire” la grande paura di
Marie di essere abbandonata, di avvertire la sua ostinazione prima e la sua
rassegnazione poi, finendo senza alcuna speranza.
Gènie
lavora tutto il giorno per nutrire la figlia, ma affettivamente la nutre di
silenzi e il racconto che ne fa Marie è un infinito atto d’amore per la madre e
un concentrato di sofferenza che fa distogliere lo sguardo. C’è un passaggio
che si ripete nel libro quando madre e figlia si recano al lavoro nei campi e
Gènie cammina rapida mentre Marie la rincorre con la paura di perderla, Gènie
rallenta fino a rivedere la figlia per poi riallungare il passo e allontanarsi
di nuovo. Nell’alternarsi di questa distanza tra vicinanza e lontananza si
sente il desiderio della madre di tenere lontana dalla figlia le sofferenze che
l’hanno segnata. Marie segue la madre nella durezza e nelle rinunce, soffrendo
per la sua apparente freddezza e dovrà rinunciare a un cane, a una piccola
mucca cieca, a un anatroccolo.
Piccole
felicità attraversano il suo cammino: la bellezza della natura e delle stagioni
che passano, l’amore che lei descrive “meno lontano” del nonno, spazi reali o
immaginari lontani dal luoghi abitati, ma il male dirompe e non può essere
fermato.
Gènie,
secondo sua madre che l’ha ripudiata, è meglio sia rinchiusa in un manicomio
così da scomparire alla vista; è il capro espiatorio di un’intera comunità che,
etichettandola come pazza si sente “normale” e virtuosa, esempio universale
dell’ostracismo del diverso, del differente.
Cagnati
pone l’esergo alla fine del libro, è una citazione del poeta Robert Desnos
(1900 – 1945) che riassume finalmente la pietà per la protagonista: “Lasciatela dormire / Lasciate le grandi
querce attorno al suo letto / Non scacciate dalla camera quell’umile margherita
/ mezzo sfiorita / Lasciatela dormire”.
Leggendo
l’intervista dell’autrice alla fine del libro e le poche notizie sulla sua vita
si ha l’impressione che la sua scrittura e il suo racconto siano esiti
scaturiti proprio dal suo vissuto con gli squilibri subiti e dovuti alle
differenze di cultura, di lingua, di classe sociale e anche di genere.
Genere: Narrativa
Nessun commento:
Posta un commento