giovedì 25 aprile 2024

GENIE LA MATTA

 




Gènie la matta - Inès Cagnati -

 Recensione di Miriam Donati

 

Un libro da leggere tutto d’un fiato fino a chiuderlo scossi e straziati.

È un romanzo feroce e spietato, una storia triste e disperata, un’opera tragica sulla vita misera tra i campi, con il lavoro senza sosta in primo piano, sulla pazzia usata come rifiuto ed emarginazione di chi fa scelte diverse, ma è soprattutto il dramma di due vite disperate escluse dalla loro comunità, e del desiderio di Gènie di difendere a ogni costo la figlia Marie dalle pene che lei ha sofferto.

Dopo uno stupro per il quale Génie è ripudiata dalla propria famiglia e messa all’indice dall’intera comunità, cresce la figlia Marie col lavoro duro nei campi per un tozzo di pane e rifugiandosi nel silenzio. Silenzio che viene considerato pazzia.

Con uno stile scabro, brusco e ripetitivo, giocato sui refrain (“Non starmi tra i piedi”, “Non ho avuto niente io”) con una voce quindi colloquiale che si mischia a tratti con una voce poetica “i suoi occhi diventavano spiagge vellutate dove danzava l’acqua popolata di stelle” racconta le vite miserabili degli emarginati spezzati come è stata spezzata Gènie e la sopravvivenza ostinata ai soprusi. La scrittura precisa, secca e tagliente lascia lo spazio essenzialmente alla storia, agli avvenimenti e ai silenzi con un ritmo ripetitivo in una sorta di crescendo emotivo che porta a un finale tragico e inevitabile. Ciò permette al lettore di “sentire” la grande paura di Marie di essere abbandonata, di avvertire la sua ostinazione prima e la sua rassegnazione poi, finendo senza alcuna speranza.

Gènie lavora tutto il giorno per nutrire la figlia, ma affettivamente la nutre di silenzi e il racconto che ne fa Marie è un infinito atto d’amore per la madre e un concentrato di sofferenza che fa distogliere lo sguardo. C’è un passaggio che si ripete nel libro quando madre e figlia si recano al lavoro nei campi e Gènie cammina rapida mentre Marie la rincorre con la paura di perderla, Gènie rallenta fino a rivedere la figlia per poi riallungare il passo e allontanarsi di nuovo. Nell’alternarsi di questa distanza tra vicinanza e lontananza si sente il desiderio della madre di tenere lontana dalla figlia le sofferenze che l’hanno segnata. Marie segue la madre nella durezza e nelle rinunce, soffrendo per la sua apparente freddezza e dovrà rinunciare a un cane, a una piccola mucca cieca, a un anatroccolo.

Piccole felicità attraversano il suo cammino: la bellezza della natura e delle stagioni che passano, l’amore che lei descrive “meno lontano” del nonno, spazi reali o immaginari lontani dal luoghi abitati, ma il male dirompe e non può essere fermato.  

Gènie, secondo sua madre che l’ha ripudiata, è meglio sia rinchiusa in un manicomio così da scomparire alla vista; è il capro espiatorio di un’intera comunità che, etichettandola come pazza si sente “normale” e virtuosa, esempio universale dell’ostracismo del diverso, del differente.

Cagnati pone l’esergo alla fine del libro, è una citazione del poeta Robert Desnos (1900 – 1945) che riassume finalmente la pietà per la protagonista: “Lasciatela dormire / Lasciate le grandi querce attorno al suo letto / Non scacciate dalla camera quell’umile margherita / mezzo sfiorita / Lasciatela dormire”.

Leggendo l’intervista dell’autrice alla fine del libro e le poche notizie sulla sua vita si ha l’impressione che la sua scrittura e il suo racconto siano esiti scaturiti proprio dal suo vissuto con gli squilibri subiti e dovuti alle differenze di cultura, di lingua, di classe sociale e anche di genere.

 

Genere: Narrativa

 Anno di pubblicazione: 2022

 


Nessun commento:

Posta un commento