Il figlio del padre - Victor Del Arbol -
recensione a cura di Lilli Luini
Non voglio ingannarti, tutto quello che
hai sentito su di me, e anche quello che non hai sentito, è vero: ho
sequestrato Martin Pearce, l’ho infilato nel bagagliaio della mia auto e ho guidato
per più di mille chilometri fino alla Casa Grande. Una volta lì l’ho torturato
per tre giorni e tre lunghe notti e l’11 novembre del 2010 l’ho ucciso
sparandogli due volte in testa. Poi ho chiamato la polizia e mi sono seduto ad
aspettare.
Comincia così, con la confessione di Diego Martín, questo romanzo contemporaneo spagnolo, ma non è un giallo e nemmeno un noir. Non solo, almeno, e non in senso classico. È piuttosto la storia di una famiglia sui cui componenti maschili pare gravare una maledizione che li conduce alla violenza, alla sopraffazione, all’incapacità di comunicare.
La storia si snoda su diversi piani
narrativi che cronologicamente vanno dalla fine della guerra civile spagnola
(1939) fino al 2010 e prende l’avvio con la morte di Antonio, padre di Diego. I
due non si parlano da moltissimi anni ma è proprio a questo figlio ripudiato
che l’uomo lascia la Casa Grande, cioè la casa di famiglia in una valle
dell’Estremadura. Prendere contatto con i luoghi della sua infanzia e
partecipare al funerale del padre per Diego significa riaprire ferite che
credeva di aver curato.
L’autore, partendo dalla vicenda di
Simon, nonno di Diego e padre di Antonio, ripercorre la storia di famiglia e la
Storia spagnola, la guerra, gli anni del franchismo, la migrazione dalla
campagna alla città, il difficile ritorno alla democrazia.
I Martin vivono in una regione povera,
l’Estremadura, servi di una famiglia potente a cui solo asserviti in totale
passività, che si riflette nella violenza che i padri e anche le madri sfogano
sui figli. Anche quando si ritrovano
scacciati e senza mezzi di sostentamento, catapultati in una vita tutta da
ricostruire, non trovano la strada per rimanere uniti.
Simon scaccia e rinnega Antonio, che a
sua volta scaccia e rinnega Diego. Quest’ultimo però decide di prendere in mano
la propria vita e rompere con il passato, ricostruendosi completamente e a
prescindere dalla figura del padre. Ma la morte di quest’ultimo rompe
l’equilibrio e la sua nuova vita comincia a sfaldarsi fino ad arrivare
all’omicidio.
Il titolo evidenzia proprio il processo
attraverso il quale Diego scopre di essere esattamente come quell’uomo da cui
voleva distinguersi ed è nella sua dolorosa confessione che ne prende atto.
Non è un romanzo facile, esige
concentrazione e questo è il suo punto debole: i piani narrativi sono diversi e
i personaggi che si incontrano e si intersecano sono tanti. Altro punto debole, per un lettore impaziente,
è l’inizio, che può indurre a credere di trovarsi in un libro-diario scritto in
prima persona con un solo punto di vista.
Non è affatto così, le note scritte da
Diego nell’Unità di Valutazione Psichiatrica a beneficio dei suoi medici sono
solo un fil rouge che unisce nel presente tutti gli accadimenti passati in un
fiume impetuoso e appassionante che ti prende e ti porta via.
Perché, e qui arriviamo al punto forte,
è un romanzo molto bello, scritto benissimo, pagine che ti accolgono e ti
avvolgono. Secondo me, per essere apprezzato in pieno va letto senza troppo
centellinare. Per dirla in parole più semplici: è un libro da leggere in due o
tre giorni di relax, non due o tre pagine ogni sera perché si rischia di
perdere il filo.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2022
Nessun commento:
Posta un commento