Il
viaggiatore notturno - Maurizio Maggiani
recensione di Miriam Donati
Un esperto di migrazioni animali aspetta il passaggio delle rondini seduto su una cima nel mezzo del deserto sahariano e, mentre aspetta, ascolta, osserva e racconta affascinando con le descrizioni del posto: “Questo è il cielo dell’Hoggar: un pozzo di acqua stellata profondo un infinito”. “Il centro dell’Universo è un rigurgito della Terra rappreso in purissimo cristallo”.
L’irundologo
(specialista nelle migrazioni delle rondini) si è allontanato dal resto del
mondo che altrove continua a distruggersi nel caos delle guerre e racconta
storie di esodi e migrazioni con una scrittura elegante, suggestiva, a tratti
poetica. Attraverso il flusso di coscienza o direttamente a Jbril, guida tagil,
racconta il suo viaggio nel mondo. È il primo degli argomenti trattati, è nel
titolo ed è dentro il protagonista.
Le
parole, oltre al loro significato, evocano suoni, hanno corpo e spessore,
armonia, ritmo, lo stesso ritmo da tenere durante il cammino e lo stesso ritmo
del battere dei tamburi di latta che accompagna la sera intorno al fuoco il
racconto del poeta itinerante dimah Tighritz.
Il
protagonista raccontando le proprie vicende e i personaggi incontrati, dal
padre Dinetto all’armeno Zingirian, dall’assedio di Tuzla all’orsa Amapola,
dalla berbera Jasmina a Perfetta, indugia in piccoli dettagli come le mani del
padre, quelle mani grandi, capaci di costruire oggetti minuscoli come le gabbie
per i canarini o di sistemargli il colletto del grembiule il primo giorno di
scuola. Le stesse mani ereditate dal protagonista, mani grandi, nodose, capaci
di accogliere una rondine e rassicurarla, mani che hanno cullato l’orsa
Amapola, errabonda sui monti della Carnia, hanno sepolto le settanta vittime alla
fine dell’assedio di Tuzla e hanno aiutato la Perfetta.
Disseminati
nel libro vari riferimenti e citazioni al pensiero di père Foucault che visse
sull’Hoggar e che meritano un’indagine a parte per la loro profondità che però
ho trovato scissi dal resto del racconto generale. Uno per tutti: “Non ci sono sopravvissuti a una guerra,
solo resti viventi. Dovremo andare nei campi e nelle città a raccogliere questi
resti e custodirli pregando Dio giorno e notte perché nella sua infinita carità
compia il miracolo di ricomporli”.
Questo
libro testimonia la volontà dell’uomo di rialzarsi dalle proprie miserie, fare
il proprio viaggio anche solo per testimoniare la bellezza e di questo fa
cogliere al lettore la poesia, la nostalgia e la dolcezza.
Molti
i temi trattati che si sovrappongono, alcuni dei quali molto forti, come
l’eccidio di Tuzla ed è come se l’autore avesse voluto inserire più libri nel
libro con un risultato a volte impegnativo e faticoso creando a tratti l’impressione
di aver corso il rischio di essersi persi in qualche passaggio. Questo potrebbe
creare una discrepanza nel lettore, ma è abbondantemente compensato dai pregi
dati dalla lettura complessiva che fornisce sensazioni ed emozioni indicibili.
genere: narrativa
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