giovedì 11 aprile 2024

IL VIAGGIATORE NOTTURNO

 




Il viaggiatore notturno - Maurizio Maggiani

recensione di Miriam Donati


Un esperto di migrazioni animali aspetta il passaggio delle rondini seduto su una cima nel mezzo del deserto sahariano e, mentre aspetta, ascolta, osserva e racconta affascinando con le descrizioni del posto: “Questo è il cielo dell’Hoggar: un pozzo di acqua stellata profondo un infinito”. “Il centro dell’Universo è un rigurgito della Terra rappreso in purissimo cristallo”.

L’irundologo (specialista nelle migrazioni delle rondini) si è allontanato dal resto del mondo che altrove continua a distruggersi nel caos delle guerre e racconta storie di esodi e migrazioni con una scrittura elegante, suggestiva, a tratti poetica. Attraverso il flusso di coscienza o direttamente a Jbril, guida tagil, racconta il suo viaggio nel mondo. È il primo degli argomenti trattati, è nel titolo ed è dentro il protagonista.

Le parole, oltre al loro significato, evocano suoni, hanno corpo e spessore, armonia, ritmo, lo stesso ritmo da tenere durante il cammino e lo stesso ritmo del battere dei tamburi di latta che accompagna la sera intorno al fuoco il racconto del poeta itinerante dimah Tighritz.

Il protagonista raccontando le proprie vicende e i personaggi incontrati, dal padre Dinetto all’armeno Zingirian, dall’assedio di Tuzla all’orsa Amapola, dalla berbera Jasmina a Perfetta, indugia in piccoli dettagli come le mani del padre, quelle mani grandi, capaci di costruire oggetti minuscoli come le gabbie per i canarini o di sistemargli il colletto del grembiule il primo giorno di scuola. Le stesse mani ereditate dal protagonista, mani grandi, nodose, capaci di accogliere una rondine e rassicurarla, mani che hanno cullato l’orsa Amapola, errabonda sui monti della Carnia, hanno sepolto le settanta vittime alla fine dell’assedio di Tuzla e hanno aiutato la Perfetta.

Disseminati nel libro vari riferimenti e citazioni al pensiero di père Foucault che visse sull’Hoggar e che meritano un’indagine a parte per la loro profondità che però ho trovato scissi dal resto del racconto generale. Uno per tutti: “Non ci sono sopravvissuti a una guerra, solo resti viventi. Dovremo andare nei campi e nelle città a raccogliere questi resti e custodirli pregando Dio giorno e notte perché nella sua infinita carità compia il miracolo di ricomporli”.

Questo libro testimonia la volontà dell’uomo di rialzarsi dalle proprie miserie, fare il proprio viaggio anche solo per testimoniare la bellezza e di questo fa cogliere al lettore la poesia, la nostalgia e la dolcezza.

Molti i temi trattati che si sovrappongono, alcuni dei quali molto forti, come l’eccidio di Tuzla ed è come se l’autore avesse voluto inserire più libri nel libro con un risultato a volte impegnativo e faticoso creando a tratti l’impressione di aver corso il rischio di essersi persi in qualche passaggio. Questo potrebbe creare una discrepanza nel lettore, ma è abbondantemente compensato dai pregi dati dalla lettura complessiva che fornisce sensazioni ed emozioni indicibili. 

genere: narrativa  

 Anno di pubblicazione 2005


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