La felicità del cactus – Sarah Haywood -
recensione a cura di Patrizia Zara
“Così ostiche e coriacee, adoro le piante grasse, la
loro beffarda strafottenza, l’essere burbere per non concedersi alle carezze di
chiunque. Eppure, a dispetto della loro atavica ruvidità, ti sorprendono
improvvisamente, incastonando delicate grazie floreali tra aculei indisponenti.
Un po’ come me.”
(Michelangelo Da Pisa)
Proprio per lo stesso amore che Michelangelo nutre per le piante grasse, ho
deciso di leggere "La felicità del cactus".
Non mi aspettavo, sia chiaro, un grande romanzo, ma almeno una lettura
piacevole, con protagonista una figura coriacea, metaforicamente accostata alle
piante grasse.
Mi aspettavo una storia simpatica, velata di filosofia di vita, con qualche
accenno psicologico e un umorismo garbato.
E invece… niente.
Un romanzetto da quattro soldi, come avrebbe detto mio padre.
Una protagonista sconclusionata nella sua presunta indipendenza, circondata da
personaggi sopra le righe, privi di spessore e già visti mille volte.
Una storiella stupidamente inglese, figlia bastarda de "Il diario di
Bridget Jones".
La trama è così prevedibile da sembrare riciclata. Alcune scene sembrano prese
di peso da altri romanzi simili o da qualche commedia da domenica pomeriggio.
Che fantasia!?
Una semplice esercitazione linguistica, nulla più. La scrittura è fluida,
almeno questo glielo concedo.
E vabbè, ci sta.
Ma mi chiedo: com’è possibile che molte scrittrici inglesi emergenti vengano
così celebrate, pur scrivendo sempre le stesse cose?
Potere dell’editoria.
Mi scuso con i cactus, relegati a un ruolo marginale in questo libricino.
Spero che la loro superiorità non impedisca loro di fiorire in questo mondo
spesso così banale.
So io quanto è preziosa e rara la fioritura di un cactus. Altroché.
“Era tutto così irrilevante da risultare offensivo.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2019
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