Un divorzio tardivo - Abraham B. Yehoshua
Recensione a cura di Miriam Donati
Nove capitoli che si svolgono nell’arco di nove giorni per raccontare la storia di una famiglia al ritorno in patria dall’America del capostipite Yehudà Kaminka per divorziare dalla moglie ammalata Na’omi.
La narrazione è fatta a più voci che si
differenziano tra loro sia per il modo di raccontare attraverso monologhi,
dialoghi o flusso di coscienza, sia utilizzando la maniera di esprimersi diversa
per ognuno di loro. Una sperimentazione da parte dell’autore che affascina e
nello stesso tempo coinvolge nei punti di vista dei vari membri della famiglia.
Essi affrontano nei giorni che precedono la Pasqua ebraica, a causa della
presenza del padre, il peculiare personale “passaggio che li porti oltre” incrociando la relazione e il confronto con
l’altro attraverso il proprio vissuto e la propria psicologia.
Questo crea contemporaneamente amore e odio,
apprezzamento e biasimo nei rapporti aumentando conflitti e incomprensioni.
Ogni personaggio appartiene a un ceto sociale
diverso ed esprime una varietà di convinzioni differenti, ma il legame che li
vincola è talmente stretto da accrescere a dismisura i dissidi.
Non esiste una vera e propria trama perché l’autore privilegia il modo di raccontare e ciascun personaggio in ogni capitolo aggiunge la propria realtà soggettiva che accresce quindi di nuovi particolari e nuovi spunti la storia complessiva.
Via via conosciamo la realtà di Gadi, bambino
tenero e introverso, allevatore di bachi da seta, quella nobile e irrequieta di
Dina, il sarcasmo allo stesso tempo sprezzante e attento di Kedmi, la dolcezza
e la devozione di Yael, il razzismo e il maschilismo del marito, l’insicurezza
di Assa e la disinvoltura di Zwi.
Un capitolo è dedicato alla moglie Na’omi e
sorprende la sua coerenza rispetto a quanto di lei hanno raccontato in
precedenza gli altri personaggi. Nasce così il dubbio su chi sia il vero
malato. "Spesso la follia di una persona serve ai suoi
parenti per sentirsi normali.” E, in
effetti, i ruoli a poco a poco si invertono rivelando sia l’inquietudine
segreta che affligge ciascuno dei personaggi, sia la profonda nevrosi del
padre, che, deciso a divorziare per poter sposare la donna che lo aspetta in
America, insieme al figlio che deve nascere, è pian piano fagocitato
dall’ambiente familiare, dall’angoscia di dover tagliare tutti i legami con
Israele, la vecchia casa, figli e parenti e persino con la vecchia moglie e
giunge così a comporre un finale inatteso.
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