martedì 13 febbraio 2024

ABBIAMO SEMPRE VISSUTO NEL CASTELLO

 




Abbiamo sempre vissuto nel castello - Shirley Jackson -

recensione a cura di Elisa Caccavale


🏰Il romanzo narra la vicenda di una famiglia, i Blackwood, o perlomeno di ciò che ne rimane dal momento che durante una cena sono stati tutti avvelenati e passati quindi a miglior vita; della numerosa famiglia, composta da padre, madre, tre figli, il fratello del padre e la moglie, sono sopravvissuti solo due delle figlie, la diciottenne Mary Katherine (Merricat) e la sorella maggiore Constance e Julian, loro zio, rimasto invalido per le conseguenze dell’avvelenamento al quale è però scampato.

📖La voce narrante è quella di Merricat, l’unica che esce di casa due volte alla settimana per provvedere ai bisogni della famiglia, mentre Constance e Julian vivono murati nella grande villa di famiglia dalla quale non escono dal giorno della strage, sei anni prima. Julian vive scrivendo ossessivamente le sue memorie e rivivendo, in un cortocircuito senza uscita, l’ultimo giorno della sua famiglia, mentre Constance veglia su tutto e tutti come un angelo del focolare, gestendo la casa e i bisogni di Merricat e Julian in modo amorevole e con totale dedizione. Intorno a loro la palese ostilità dei paesani che non hanno dimenticato il crimine per il quale, a loro giudizio, chi ha colpe non ha pagato…

📚Romanzo piuttosto breve (189 pagine) non si tratta, però, di una lettura scorrevole: l’impianto del testo è teatrale, nel senso che, fatta eccezione per il primo capitolo in cui si segue Mary Katherine nelle sue commissioni in paese, è interamente ambientato nella villa e il testo, privo di azione vera e propria, è costruito quasi interamente su dialoghi, il che rende la narrazione piuttosto lenta e a tratti noiosa. Questi dialoghi, poi, molto spesso risultano claustrofobici, un vortice di discesa nella follia, non quella urlata, evidente, ma quella più subdola, strisciante, e arrivano al punto di essere irritanti nel loro essere a tratti stucchevoli, a tratti surreali (ho perso il conto delle volte in cui l’autrice ha fatto pronunciare a Constance l’espressione “Merricat, sciocchina”).

👤L’autrice è riuscita nella notevole impresa di rendere odiosi tutti i personaggi, ognuno a suo modo: Merricat, persa nel suo mondo e nel suo folle egocentrismo, Constance che nasconde ciò che non si può nascondere e costruisce un’esistenza basata sulla menzogna, mansueta come un agnello destinato al patibolo, Julian, petulante e ossessivo, il cugino Charles, parassita approfittatore che un giorno piomba nella villa a scombinare la quotidianità. Eppure, nonostante tutto, si riesce persino ad empatizzare ed essere solidali con la famiglia Blackwood quando viene travolta dalla cattiveria più bieca, rappresentata dalla gente del paese, la quale incarna tutte le brutture e bassezze umane. Il personaggio corale della “gente del paese” balza così in testa alla classifica degli elementi in grado di logorare i nervi del lettore di questo libro, che vorrebbe entrare nelle pagine e prendere tutti per il collo, o per strozzarli o per scuoterli e farli rinsavire.

Il libro ha un sapore di incompletezza: la conclusione è volutamente surreale, con una regressione delle protagoniste ad un’esistenza quasi selvaggia e animale (il come e perché lo scoprirete solo leggendo), ma quello che più esalta questa sensazione è che nulla viene spiegato; “Abbiamo sempre vissuto nel castello” si chiude con un grande punto interrogativo. E non parlo di un finale aperto, intendo proprio che non vi è spiegazione su nessun aspetto: su quanto è successo sei anni prima, sul comportamento dei personaggi, sulle vicende pregresse e future, sui rapporti umani e sulle pulsioni e motivazioni che li governano. Il lettore resta lì, come un voyeur sbigottito e confuso, aspettando un’altra pagina che dia un senso a tutto ciò che ha visto dalle finestre della villa dei Blackwood.

Questo libro mi è piaciuto? No. Tuttavia se ho scritto una recensione di una pagina significa che è un libro che lascia delle sensazioni, magari non per tutti piacevoli, ma di certo non lascia indifferenti. Ed è l’indifferenza il peccato mortale per un libro.

genere:horror

anno di pubblicazione: 1962, prima ed. italiana: 1990


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