Abbiamo sempre vissuto nel castello - Shirley Jackson -
recensione a cura di Elisa Caccavale
🏰Il romanzo narra la vicenda di una
famiglia, i Blackwood, o perlomeno di ciò che ne rimane dal momento che durante
una cena sono stati tutti avvelenati e passati quindi a miglior vita; della
numerosa famiglia, composta da padre, madre, tre figli, il fratello del padre e
la moglie, sono sopravvissuti solo due delle figlie, la diciottenne Mary Katherine
(Merricat) e la sorella maggiore Constance e Julian, loro zio, rimasto invalido
per le conseguenze dell’avvelenamento al quale è però scampato.
📖La voce narrante è quella di
Merricat, l’unica che esce di casa due volte alla settimana per provvedere ai
bisogni della famiglia, mentre Constance e Julian vivono murati nella grande
villa di famiglia dalla quale non escono dal giorno della strage, sei anni
prima. Julian vive scrivendo ossessivamente le sue memorie e rivivendo, in un
cortocircuito senza uscita, l’ultimo giorno della sua famiglia, mentre Constance
veglia su tutto e tutti come un angelo del focolare, gestendo la casa e i
bisogni di Merricat e Julian in modo amorevole e con totale dedizione. Intorno
a loro la palese ostilità dei paesani che non hanno dimenticato il crimine per
il quale, a loro giudizio, chi ha colpe non ha pagato…
📚Romanzo piuttosto breve (189 pagine)
non si tratta, però, di una lettura scorrevole: l’impianto del testo è
teatrale, nel senso che, fatta eccezione per il primo capitolo in cui si segue
Mary Katherine nelle sue commissioni in paese, è interamente ambientato nella
villa e il testo, privo di azione vera e propria, è costruito quasi interamente
su dialoghi, il che rende la narrazione piuttosto lenta e a tratti noiosa. Questi
dialoghi, poi, molto spesso risultano claustrofobici, un vortice di discesa
nella follia, non quella urlata, evidente, ma quella più subdola, strisciante,
e arrivano al punto di essere irritanti nel loro essere a tratti stucchevoli, a
tratti surreali (ho perso il conto delle volte in cui l’autrice ha fatto
pronunciare a Constance l’espressione “Merricat, sciocchina”).
👤L’autrice è riuscita nella notevole
impresa di rendere odiosi tutti i personaggi, ognuno a suo modo: Merricat,
persa nel suo mondo e nel suo folle egocentrismo, Constance che nasconde ciò
che non si può nascondere e costruisce un’esistenza basata sulla menzogna,
mansueta come un agnello destinato al patibolo, Julian, petulante e ossessivo,
il cugino Charles, parassita approfittatore che un giorno piomba nella villa a
scombinare la quotidianità. Eppure, nonostante tutto, si riesce persino ad
empatizzare ed essere solidali con la famiglia Blackwood quando viene travolta
dalla cattiveria più bieca, rappresentata dalla gente del paese, la quale
incarna tutte le brutture e bassezze umane. Il personaggio corale della “gente
del paese” balza così in testa alla classifica degli elementi in grado di
logorare i nervi del lettore di questo libro, che vorrebbe entrare nelle pagine
e prendere tutti per il collo, o per strozzarli o per scuoterli e farli
rinsavire.
❌Il libro ha un sapore di incompletezza: la
conclusione è volutamente surreale, con una regressione delle protagoniste ad
un’esistenza quasi selvaggia e animale (il come e perché lo scoprirete solo
leggendo), ma quello che più esalta questa sensazione è che nulla viene
spiegato; “Abbiamo sempre vissuto nel castello” si chiude con un grande punto
interrogativo. E non parlo di un finale aperto, intendo proprio che non vi è
spiegazione su nessun aspetto: su quanto è successo sei anni prima, sul
comportamento dei personaggi, sulle vicende pregresse e future, sui rapporti
umani e sulle pulsioni e motivazioni che li governano. Il lettore resta lì,
come un voyeur sbigottito e confuso, aspettando un’altra pagina che dia
un senso a tutto ciò che ha visto dalle finestre della villa dei Blackwood.
❓Questo libro mi è piaciuto? No. Tuttavia
se ho scritto una recensione di una pagina significa che è un libro che lascia
delle sensazioni, magari non per tutti piacevoli, ma di certo non lascia
indifferenti. Ed è l’indifferenza il peccato mortale per un libro.
genere:horror
anno di pubblicazione: 1962, prima ed. italiana: 1990
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