Tessiture di sogno - W.G. Sebald -
recensione a cura di Patrizia Zara
Tessitura: serie di operazioni che hanno sostanzialmente lo
scopo di produrre la formazione dell'intreccio di fili paralleli con un filo
continuo.
Quattro prose dedicate alla Corsica e 13 saggi, già pubblicati in riviste
letterarie, costituiscono il libro” Tessiture di sogno" di W G. Sebald
pubblicato dopo anni dalla prematura morte dell'autore avvenuta per un
incidente automobilistico il 14 dicembre 2001.
Al di là delle operazioni editoriali, i diciassette capitoli, che
apparentemente si presentano indipendenti fra loro, sono intessuti dal quel
particolare e unico filo conduttore che altro non è che l'ammaliante quasi
ipnotica scrittura del geniale autore –ahimè troppo presto scomparso- poco
adatta a trame tradizionali.
Un grande spessore culturale, un magma narrativo neobarocco rigoglioso e
suggestivo, un calarsi nella realtà passando dalla dimensione onirica e
surreale, un attraversare porte, a volte volutamente sbarrate, della memoria e
del passato, evocare luoghi lontani e renderli vividi, far rivivere personaggi
ormai fantasma e dotarli di un personale spessore letterario.
Ed è proprio lo stile unico di una scrittura che con abilità sorprendente
intreccia parole, frasi ed episodi, personaggi del presente e del passato, che
rende i temi elegiaci - il fardello di un passato doloroso a cui
non si può obliare poiché racchiude tutti gli orrori che un essere umano può
infliggere al suo simile, la guerra e tutte le inesprimibili sofferenze della
tortura; la morte come "la parte di vita che da noi distoglie lo
sguardo"; l'arte della fotografia la sola che legittima la verità
dei fatti e che può fermare il tempo - di una profondità arguta poiché va oltre
la mediocrità di un pensiero che si limita a esaminare soltanto una dimensione
apocrifa di una realtà sociale affetta da cecità (leggi "Lutto
impossibile, assenze nella letteratura del dopoguerra).
Ricordiamo che quando leggiamo Sabald i suoi scritti non sono soltanto saggi,
cioè l'autore tedesco non si limita soltanto ad analizzare criticamente un
determinato argomento storico, biografico o critico, egli è anche uno scrittore
e in quanto scrittore denuncia, con le lame affilate delle parole, le assurdità
di un'umanità che tende a smarrirsi in se stessa, avviata, malgrado moniti e
richiami, verso l'autodistruzione.
"Nel corso di questa evoluzione anche la sofferenza personale si trasforma
a poco a poco nella consapevolezza che le distorsioni grottesche della nostra
vita interiore hanno uno sfondo e per fondamento la storia della collettività
sociale".
Vorrei segnalare tra i tredici interessantissimi saggi dove rivivono,
attraverso la mitica penna di Sebald, le allucinazioni delle sofferenze di Jean
Amery, gli interessi dell'esiliato Kafka (cinema) e i fantasmi di Nabokov, il
saggio dedicato a Peter Weiss dal titolo "La mortificazione del
cuore".
Il testo di Sebald ruota attorno il capolavoro di Weiss "Estetica della
resistenza", mai tradotto in Italia (una mancanza colossale, a mio
avviso).
Tale romanzo è la testimonianza di come un uomo perda per mano di un altro uomo
l'essenza, la sua essenza umana. Dove la sofferenza fisica, la carne, annienta
e mortifica l'anima e il pensiero (il nostro Primo Levi insegna).
È la furia contro l'arte letteraria del dopoguerra copiosa e inutile, cieca e
falsata, il desiderio di penetrare nell'angoscia della storia e la sua
crudeltà, setacciare la causa e i suoi perché, scandagliare il fallimento del
secolo e legittimare quello che resta della propria vita da sopravvissuto.
Mi sa, però, che l'umanità non ha ancora capito che i monumenti alla memoria
non riscattano e sbarazzano la coscienza dai sensi di colpa e non ripuliscono
le strade dal sangue che si continua a versare.
Gli esseri umani non sono pedine di una scacchiera di economia globale.
Inorridisco quando nelle guerre si parla con tanta superficialità di perdite
umane: numeri imbrattati del sangue in quel gioco perverso tra vittima e
carnefice.
"La nostra specie è incapace di imparare dai propri
errori".
Aggiungo in onore a Sebald un pensiero del grande filosofo francese
contemporaneo Gilles Deleuze, Pourparler
"Siamo pervasi di parole inutili, di una quantità folle di parole e di
immagini. La stupidità non è mai muta né cieca. Il problema non è più quello di
fare in modo che la gente si esprima, ma di procurare loro degli interstizi di
solitudine e di silenzio a partire dai quali avranno finalmente qualcosa da
dire. Le forze della repressione non impediscono alla gente di esprimersi, al
contrario la costringono ad esprimersi. Dolcezza di non aver nulla da dire,
diritto di non aver nulla da dire: è questa la condizione perché si formi
qualcosa di raro o di rarefatto che meriti, per poco che sia, d’esser detto.
Gilles Deleuze, Pourparler"
genere: saggio
anno di pubblicazione: 2022
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