martedì 30 settembre 2025

LA CASA DELLA MOSCHEA

 




La casa della moschea – Kadar Abdolah - 

recensione a cura di Lilli Luini

 

Un romanzo che lascia il segno, questo di Kadar Abdolah, scrittore persiano emigrato – anzi, riparato in Olanda. Ho scritto “persiano” e non iraniano per rispettare il sentimento dell’autore, che si riconosce nella Persia di Sherazade, dei tappeti dai mille disegni e dei giardini in fiore, non certo nell’Iran degli ayatollah che gli ha ucciso un fratello e ha costretto lui alla fuga.

“C’era una volta una casa, una casa antica, che si chiamava “la casa della moschea”. Era una grande casa, con trentacinque stanze. Lì, per secoli, famiglie dello stesso sangue avevano vissuto al servizio della moschea. Ogni stanza aveva una funzione e un nome corrispondente a quella funzione, come la stanza della cupola, la stanza dell’oppio, la stanza dei racconti, la stanza dei tappeti, la stanza dei malati, la stanza delle nonne, la biblioteca e la stanza del corvo”.

Comincia così, in tono quasi fiabesco, la narrazione della vicenda legata a una famiglia che da secoli vive in quella casa, generazione dopo generazione. La figura centrale del romanzo è quella di Aga Jan, ricco mercante di tappeti nella città religiosa di Senjan. All’inizio siamo nel 1969 e il nipote costringe lui e l’anziano iman della moschea a guardare lo sbarco sulla luna su una piccola Tv che ha portato a casa di nascosto. Siamo nell’epoca dello Scià e della sua politica filo-occidentale. A Teheran si guarda la Tv, si canta e si balla, le ragazze non indossano più il chador ma le minigonne. Ma a Senjan tutto questo non è arrivato e guai se si sapesse che nella casa della moschea c’è un televisore. Ma il nipote insiste: devono conoscere cosa sta là fuori, invece di vivere in un’atmosfera quasi fiabesca, tra i canti degli uccelli e i fiori. Il sentimento religioso è forte ma mai fanatico, lo Scià non è amato ma la sua influenza resta distante, quando non assente. La Persia come la conosceva è cambiata ma nella casa della moschea tutto continua come prima. Finché tutto cambia direzione, all’improvviso Aga Jan vede le persone che conosceva voltare faccia e la Persia diventa l’Iran degli ayatollah, con il suo carico di sangue, torture, dolore e morte. Stavolta la casa della moschea non verrà risparmiata.

Tutto questo viene raccontato in quasi cinquecento pagine intensissime, con un registro narrativo azzeccato, capace di saltare giorni, settimane, mesi e poi anni senza mai perdere il filo della vicenda e della Storia. Stupendo è il crescendo rossiniano della vicenda, con una prima parte che sa di una pace quasi fuori dal mondo e che poi via via diventa tragedia.

Il romanzo è corale, ricco di personaggi che restano impressi subito e di altri che, rimasti in ombra, assurgono a un ruolo primario nel momento in cui la rivoluzione degli ayatollah impone di prendere posizione e non sottrarsi alle proprie responsabilità, anche a costo della morte o dell’esilio. Allo stesso modo, altri sposeranno in pieno la causa di Khomeini, tradendo la loro stessa famiglia.

Ciò che salta all’occhio è il profondo senso di appartenenza dei personaggi che suggerisce continuità, addirittura eternità e tutto questo coinvolge e appassiona chi legge proprio come i grandi romanzi del passato. C’è naturalmente il pregio di introdurci a un pezzo di Storia che conosciamo solo dai telegiornali e che invece qui ci mostra dal vivo una tragedia terribile, che l’autore ha vissuto in prima persona.

Un libro da leggere su un mondo che troppo spesso liquidiamo con la nostra fissazione di voler definire le cose bianche o nere, senza preoccuparci di approfondire e conoscere.


genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2008

 

 


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