Circe - Madeline Miller -
recensione a cura di Patrizia Zara
Fin dalle prime pagine, una sensazione indefinibile e sgradevole mi ha
assalito, come se stessi assistendo a un'opera di demolizione forzata e
ricostruzione posticcia. Le parole sembrano esercitare una pressione fastidiosa,
un'intrusione indebita nei cardini intoccabili di un mito che dovrebbe restare
tale: puro, enigmatico, grandioso.
E più avanzavo nella lettura, più questa sensazione cresceva, lasciando spazio
a un'esclamazione inevitabile: **"Ma che grande americanata!"**
Il fascino ammaliante di Circe ridotto a una poltiglia insipida: una ragazzetta
complessata e vendicativa, schiacciata da cliché abusati. Il padre assente, la
madre egocentrica, le sorelle gelose e pettegole, gli zii corrotti dal lusso e
dai vizi… sembra la sceneggiatura di un dramma familiare da quattro soldi.
Quando poi la "maga" si trasforma in madre single alle prese con un
figlio ribelle in crisi d’identità, il quadro si fa ancora più
prevedibile.
Se togliamo dèi, titani, mostri e la magia che dovrebbe pervadere la storia,
ciò che resta è un romanzo mediocre e ripetitivo, una rilettura della mitologia
annacquata dall'ossessione moderna per l'introspezione forzata.
Circe non è più la maga temuta e rispettata, ma un'insicura vittima di se
stessa, impacciata e sola, trascinata nel vortice dell’autocommiserazione e del
lamento continuo. Insomma, un mito sacrificato sull'altare della banalizzazione
psicologica.
Alla fine, l'unico vero motivo per leggere questo libro? Aver accanto
l'Odissea, per ricordarsi cosa sia davvero la grandezza epica e perché certe
storie dovrebbero rimanere nel loro splendore originario, senza sovrastrutture
inutili.
anno di pubblicazione: 2021
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