Paese Perduto - Pierre Jourde -
recensione a cura di Maria Rosaria Vitalone
“E’ un paese perduto”, dicono, non v’è espressione più giusta. Non ci si
arriva che smarrendosi. Nulla da fare qui, nulla da vedere. Perduto forse fin
dall’inizio, talmente perduto prima di essere stato che questa perdita non è
altro che la forma della sua esistenza. E io, stupidamente, fin dal principio,
cerco di conservarlo. Vorrei che fosse se stesso, immobile nella sua
perfezione, e che a ogni istante ce ne si possa riempire.” (cit. pag. 18)
Un romanzo autobiografico, tanto che è lo stesso autore a
disegnare una piantina del paese che ben conosce che è all’interno del libro e
che troviamo anche in copertina. Pierre Jourde traccia i luoghi e i
nomi dei personaggi di cui racconterà, e lo fa così bene che qualcuno non ha
gradito il racconto siffatto.
Il paese perduto di
cui parla Jourde è lontano dalle città, tra le montagne francesi,
raggiungibile attraverso strade impervie. Chi va in quel luogo ha un legame, un
ricordo, qualcosa da ritrovare; non è certo un luogo di passaggio o meta di
vacanze. Per Pierre e il fratello è
un posto famigliare, il paese d’origine del padre, il luogo a cui sono legati
da ricordi di vacanze in famiglia e di incontri con personaggi davvero molto
particolari che in questo racconto ritroviamo. Vi si recano per una eredità, una
fattoria alquanto malandata ricevuta dal fratello e quando arrivano ricevono la
notizia della morte di una ragazza del paese. Recarsi a casa della defunta per
gli ossequi e il successivo funerale, apre a Pierre una finestra sui ricordi e a noi una narrazione sulle
caratteristiche delle persone incontrate, sugli usi, i costumi e il paesaggio
che incuriosisce fino all’ultima pagina.
Pierre Jourde non lascia nulla all’immaginazione, racconta quel che
vede e quel che ricorda dei tempi passati, scende nei particolari, utilizzando
anche tratti goliardici e grotteschi: la solitudine, il cibo e l’alcol,
l’inverno, l’igiene sono punti cardine attorno a cui ruotano le storie. Il
funerale raccoglie attorno alla famiglia della defunta coloro che sono rimasti
e, di quelli che non ci sono più, arriva il ricordo grazie all’impronta che
hanno lasciato. E da qui le riflessioni sulla morte, sulla mancanza, sulla
memoria.
Nonostante Jourde sembra essere nostalgico non
scende mai nel patimento ma, al contrario, tende a sollevare il lettore
utilizzando una forma molto diretta e colloquiale che non allontana dalla
pagina. Le sue riflessioni sono intense, tanto che porta chi legge a farle proprie.
E’ un viaggio questo libro, in sé stessi oltre che nel paese perduto. Ha questa dualità che non tutti gli autori riescono
a proporre.
E’ molto probabile che chi legge questo libro possa trovare
delle similitudini con altri luoghi ed altri paesi, perduti o no, della propria
infanzia o della propria vita - così come è capitato alla sottoscritta - e di
sorriderne. Di paesi piccoli, dove tutti si conoscono, dove i legami sono forti
e dove la nostalgia la fa da padrona, ne abbiamo piena la memoria. E questo
libro può essere un’ottima rappresentazione di quelle comunità.
Paese perduto è la prima opera pubblicata in Italia di Pierre
Jourde, a cui sono seguite altre. È uno degli scrittori più autorevoli
della letteratura francese contemporanea che spazia dal romanzo al racconto,
dall’autobiografia alla poesia ed al saggio filosofico, passando per la critica
letteraria. Anche lui ha un blog molto conosciuto, Confitures de Culture.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2019
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