venerdì 10 gennaio 2025

LE ASSAGGIATRICI

 




Le assaggiatrici - Rosella Postorino

Recensione di Miriam Donati

 

Ispirandosi alla storia vera di Margot Wölk (assaggiatrice di Hitler nella caserma di Krausendorf), l’autrice racconta la vicenda di Rosa Sauer, costretta, con un'altra decina di donne di Gross-Partsch, un villaggio molto vicino alla “Tana del Lupo”, il quartier generale di Hitler nascosto nella foresta, a diventare assaggiatrice dei cibi destinati al Führer. 

Siamo nel 1943 e Rosa è una giovane moglie trasferitasi da Berlino nella Prussia orientale; abita a casa dei suoceri nell’attesa di notizie del marito Gregor, partito per servire la Germania in guerra e, da questo obbligo che le viene imposto la sua vita cambierà.

Il rituale da cavie umane si ripete ogni giorno: dopo aver consumato i cibi preparati per il Führer, devono attendere almeno un’ora per verificare la mancanza di un eventuale veleno nel cibo ingerito. Sono donne privilegiate perché possono mangiare tutti i giorni quando fuori dalla caserma si soffre la fame, in realtà sono solo "oggetti d’esperimento”.
Nonostante la convivenza forzata, tra di loro, non si instaura molta solidarietà femminile sia per mentalità, sia per cultura politica. Per le altre Rosa è la “berlinese”, le è difficile ottenere amicizia, eppure si sorprende a cercarla. Specialmente con Elfriede, la ragazza che si mostra più ostile, la più carismatica. Poi, nella primavera del 1944, in caserma arriva il tenente Ziegler e instaura un clima ancora più rigido. Mentre iniziano a pervenire le prime cattive notizie sull’andamento della guerra nei vari fronti, fra Ziegler e Rosa si crea un legame impensabile.
Rosella Postorino penetra nell’ambiguità delle relazioni e degli istinti per chiedersi che cosa significhi essere, e rimanere, umani.

L’autrice in alcune parti della storia romanzata è riuscita a rendere l'idea della crudeltà di questo tipo di "lavoro" con realtà e in modo naturalistico. Ci sono alcuni brani del romanzo che fanno rabbrividire e inorridire. La sua scrittura è scorrevole, lineare con qualche accelerazione o rallentamento per creare ritmo e si notano alcune scelte lessicali non scontate, descrizioni visive personali ma funzionali e incisive come: corpo avaro ed elastico, faccia cremosa, volto sassoso.

Ho trovato l’idea iniziale riferita a questa ulteriore crudeltà del regime nazista che non conoscevo e rivelatasi quindi per me particolarmente interessante, vincente e attrattiva e l’ambientazione storico/geografica è ben fatta, ma ci sono troppi elementi anche storici inseriti sullo sfondo della narrazione senza sufficiente approfondimento che distolgono dal plot principale e sono poche le conseguenze dirette nelle vite quotidiane delle assaggiatrici; in sostanza, mentre la sinossi sembra sottintendere che si trovino costrette a scegliere tra una morte per stenti e del cibo potenzialmente avvelenato, in realtà nessuna di loro intraprende questo lavoro per scelta: vengono infatti costrette dai militari e non si comprende la decisione dell’autrice nell’aver evidenziato nel testo il disprezzo che le SS nutrono per queste donne che sono a tutti gli effetti delle cittadine tedesche.
Dopo l’arrivo del tenente Ziegler la storia ha una svolta rosa, da un lato possibile e anche prevedibile, ma dall’altro, troppo dominante sull’intera vicenda. Mi rendo conto che la vita debba andare avanti e che trattando di donne giovani, fosse necessario indagare anche nella loro vita sentimentale e sessuale, l'autrice però indugiando troppo su questo aspetto, ha messo in secondo piano il fulcro principale: la paura, l'incertezza, quella lunga ora da trascorrere in attesa che l'eventuale veleno facesse effetto, il desiderio che quel boccone fosse quello decisivo e che il pasto successivo non fosse più qualcosa da attendere con orrore. Forse è a causa di questo che ho fatto fatica a simpatizzare con la protagonista e con le sue ragioni.

Ci sono alcuni personaggi secondari che avrebbero meritato un approfondimento, come Elfriede e la Baronessa von Mildernhagen, che presentano, in nuce, molti lati singolari per le caratteristiche psicologiche del “doppio” che rappresentano. “Doppio” che caratterizza anche la protagonista e il suo ruolo all'interno del libro. L’autrice ne evidenzia infatti la doppia condizione di vittima e colpevole in modo reale. Il filo conduttore è il senso di colpa. È il sentimento che si porta dentro, fin da bambina, per aver morso la mano del fratello. E poi da adulta, per la sua condizione di privilegiata che si nutre, a differenza del resto del popolo che soffre la fame, per la sua relazione con Ziegler, per non essersi opposta alla vicenda che riguarda Elfriede. Inoltre il fatto che provenga da una famiglia che disapprova esplicitamente il regime nazista, tanto che il padre non perde occasione per disprezzarlo e anche lei sia contraria a tutto questo, farebbe supporre una sua maggiore presa di posizione, ma la paura di ribellarsi e l’istinto di sopravvivenza la spingono ad accettare la situazione e a rassegnarsi a quella che è la sua nuova vita e seguire passivamente le decisioni altrui. L’autrice probabilmente voleva creare un parallelo con il popolo tedesco nel suo insieme e sottolineare la capacità di adattamento come maggiore risorsa dell’essere umano.

Della parte rosa ho apprezzato le riflessioni sulla solitudine amorosa in tempo di guerra.

“Eravamo donne senza uomini. Tutte avevamo bisogno di essere desiderate perché il desiderio degli uomini ti fa esistere di più. Ogni donna lo impara da giovane. Ti accorgi di quel potere quando è ancora troppo presto per maneggiarlo. Non lo hai conquistato, perciò può diventare una trappola.”

Nel finale, mirabile, si compendia tutto l'orrore vissuto da queste donne, il danno che è stato fatto loro, l'impossibilità di cancellare con un colpo di spugna quella che in fin dei conti è stata una vera e propria tortura.

 

 Genere Narrativa

Anno di pubblicazione 2021

 

 


Nessun commento:

Posta un commento