Il giocatore - Fëdor Dostoevskij
Un ammasso di pazzi. Proprio cosi.
Ogni qualvolta concludo un libro del famoso autore russo, mi
sembra di essere uscita da una stanza di manicomio: personaggi folli,
sconclusionati, agitati, insensati, deliranti.
Nei "Memorie del sottosuolo", "Delitto e Castigo" e ora
"Il giocatore”, Dostoevskij descrive personaggi disturbati e disturbanti
(forse perché riesce a mettere a nudo, come pochissimi, la vera natura umana?).
Fagocitati nell'abisso dei loro vizi e tentazioni, figure tormentate che si
muovono impazzite alla ricerca di una fantomatica pace interiore.
E, in questa tanto affannosa quanto inutile ricerca, sembrano mortificare
volutamente per sadico divertimento e masochistico piacere la loro intelligenza
e i loro sentimenti immergendosi, appunto, nella farneticazione assoluta.
Ridicoli, goffi in bilico tra il credere e non credere, tra la bramosia voglia
di vivere e il desiderio di lasciarsi andare alla deriva, Dostoevskij
scandaglia la loro psiche come se la tagliasse con un coltello
affilatissimo. Descrive con rilevante peculiarità le sensazioni, le
emozioni, i sentimenti raggiungendo il culmine estremo di una fanatica follia
quasi come se fosse ambita, desiderata voluta.
Tocca il fondo più nero dell'anima, getta i suoi personaggi ad ardere nel fuoco
dell'inferno come se volesse punirli con la forza purificatore del fuoco.
Ne "Il giocatore" non si salva nessuno, tranne forse Mr Astley, il
gentleman inglese, timido e riservato, l’unico a non perdere il controllo della
situazione, neppure la bizzarra, ingenua e simpatica nonnina che con la sua
morte salverebbe dalla rovina economica i suoi designati eredi, aridi
personaggi che hanno venduto il cuore alla roulette, questa simbolo di
un'esistenza manovrata dal filo del fatalismo, del caso e delle incalcolabili
possibilità,
La scrittura, apparentemente scorrevole e "facile" -se mi permette di
definirla così e in alcuni capitoli divertente sino al paradosso (l'arrivo
sorprendentemente spiazzante della nonna) - cela agli occhi di uno sprovveduto
lettore (e sì bisogna stare molto attenti!) nelle traslitterazioni, e nel
complesso patchwork linguistico, grida nascoste di sincere simpatie e
sprezzanti antipatie, di sentite denunce di una società borghese stretta nell'avida
ricerca di una posizione sociale sempre più fittizia che nell'illusorio dio
denaro vede l'unica salvezza, muto e scintillante capo espiratorio del
crescente "mal de vivre". E nel gioco/forza di una amara ironia ai
limiti del sarcasmo pungente rivela il "canagliume che trema davanti un
solo fiorino".
Tutto è azione in un continuo accedersi e spegnersi fino a raggiungeremo del
vuoto nella promessa di un domani.
Scritto in soli 27 giorni, sotto la pressione di un contratto editoriale
capestro, "Il giocatore" è stato definito un romanzo autobiografico
e/o molto vicino alla vita estrema vissuta dallo stesso Dostoevskij alias
Aleksej/Rakl’nikof, spiritualmente evoluto ma che appare non avere raggiunto
uno sviluppo umano e sociale completo in quanto si presenta in continuo bilico
tra fede e non fede, tra ribellione e codardia, toccando le punte estreme senza
mai raggiungere quell'agognato punto di un invisibile equilibrio perfetto.
Carnefice e al tempo stesso vittima dei suoi limiti carnali in un continuo circolo
dantesco di poche luci e tante ombre,
Dostoevskij incarna quell'uomo/donna che ancora oggi è di un'attualità
sconvolgente, purtroppo!
"Siete dei gonzi, voialtri, siete dei gonzi, a quanto vedo"
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