Il patto dell’acqua – Abraham Verghese -
recensione a cura di Lilli Luini
L’anno, dal 1900 al 1977.
Il posto: siamo nel Kerala, regione a
sud ovest dell’India.
La storia inizia con una bambina di 12
anni, orfana di padre e priva di dote, che dorme tra le braccia della madre. È
l’ultima volta: il giorno dopo salirà su una barca e andrà via, lontano, data
in sposa a un uomo che ha trent’anni più di lei, vedovo e padre di un bambino.
Una brava persona, che rispetterà la sua infanzia e ne farà davvero sua moglie
solo quando sarà diventata donna.
Sulla famiglia dello sposo grava una
maledizione, detta il Morbo: alcuni dei suoi membri hanno una inspiegabile
incapacità di stare nell’acqua e ogni generazione piange almeno un morto
annegato. Con grande determinazione, diventa però subito padrona di casa e
madre del piccolo JoJo ed è lui il primo a chiamarla Grande Ammachi, grande
madre, il nome con cui sarà conosciuta per tutta la sua vita.
È lei uno dei personaggi principali di
questa straordinaria epopea, 736 pagine dense di vita, di morte, di malattie,
di ingiustizie. Di descrizioni naturali e di scienza, perché la medicina svolge
un ruolo centrale, sia attraverso i personaggi dei medici – lo scandinavo Rune,
lo scozzese Digby e Mariamma, nipote di Grande Ammachi, sia nell’incontro delle
persone con le malattie, con le cicatrici, con i limiti del corpo fisico. La
comunità a cui fa riferimento la famiglia è quella dei cristiani di San Tommaso,
ma con contaminazioni della cultura indiana. E naturalmente via via ci saranno
la guerra, il colonialismo, il sistema delle caste.
Per affrontare questo libro è necessario
essere consapevoli che si tratta di un romanzo diverso dalla narrativa
contemporanea a cui siamo abituati. Dobbiamo far riferimento ai classici, dove
l’autore si dilungava ad approfondire luoghi, caratteri e, come ho detto,
medicina. Occorre lasciarsi prendere per mano, entrare nelle pagine e seguire
fiduciosi l’autore lungo un percorso fatto di acqua e terra, accettando anche
la sofferenza a volte indicibile.
La scrittura invece è moderna, molto
scorrevole e diretta. L’autore, medico e preside della facoltà di medicina di
Stanford, è americano di origine indiana e nella postfazione rivela di aver
avuto una Grande Ammachi, sua nonna, che ha raccolto in un quaderno scritto a
mano tutti i suoi ricordi per la nipotina.
In tutta onestà, dopo aver letto commenti in cui si diceva che almeno un terzo del romanzo andrebbe tagliato, io non saprei dire quale sia il terzo da tagliare. È tutto così necessario, in quest’arazzo lontano dal nostro modo di vivere e ormai anche dal nostro tempo, ma così simile e vicino nei sentimenti, nelle emozioni, nei sogni e nelle sconfitte.
Mi ha tenuto compagnia negli ultimi
dieci giorni, l’ho portato ovunque, anche in aereo e in spiaggia e dovunque mi
sono immersa dimenticando il resto. E questo è ciò che io definisco un Vero
Romanzo.
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2023
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