Castelli di rabbia - Alessandro Baricco -
recensione a cura di Patrizia Zara
La furbizia sta nel giocare con le parole, che a quanto pare Baricco ne
possiede un grosso, inesauribile bagaglio. La genialità si sposa con il non
senso. L'abilità nasce dal far credere ai lettori di non avere letto una storia
qualunque, ma tante storie che si intersecano, si intrecciano tra realtà, sogno
e immaginazione, storie fantastiche. Uniche e ben scritte.
Ma si tratta di un tranello, un abile gioco di parole per trascinare il lettore
in un geniale gioco di inganno: spacciare la quieta mediocrità per
genialità. Le storie di Baricco in "Castelli di rabbia" sono storie
intensamente e volutamente umane tanto mediocri quanto originali: Alice e il
suo paese delle meraviglie, Pinocchio, il Genio della lampada etc., favole,
fiabe, cantastorie...
Gira, gira la ruota panoramica di quel criceto impazzito.
E poi ci trovi anche quelle frasi buttate, così, che fanno sempre un certo
effetto, alla Pessoa o alla Coelho. Frasi da sottolineare, estratti solitari
che acquistano un filosofico significato tanto da produrre un effetto balsamo
per chi li riporta nei pubblici diari telematici: unguento dell'anima che si
espande a dismisura a forza di like. In realtà sono frasi che tutti noi
conosciamo poiché ben nascoste dentro la nostra testa o il nostro cuore,
che vogliamo sentirceli dire per il piacere di sorprendersi.
Baricco è furbo, genialmente furbo: fa vagare le storie lungo inesistenti
rotaie, lasciando al lettore la destinazione. E si diverte a sparare i suoi
proiettili, " il proiettile corre e non sa se ammazzerà qualcuno o finirà
nel nulla, ma intanto corre e nella sua corsa è già scritto se finirà a
spappolare il cuore di un uomo o a scheggiare un muro qualunque. Lo vede il
destino? Tutto è già scritto eppure niente si può leggere".
Non hanno senso logico i personaggi di un'immaginaria cittadina chiamata
"Quinnipak” ma stranamente ti senti, tu lettore o lettrice, coinvolto/a
nelle loro storie, nei loro apparentemente illogici dialoghi. Cerchi di colmare
quei continui e fastidiosi puntini di sospensione, quelli che mettono ansia
perché fa rabbia non riuscire a salvare quei castelli che i personaggi, anomali
e particolari come te, caro lettore, hanno innalzato, procedono in bilico tra
la genialità delle loro idee e l'emozionante e rassicurante miseria della loro
esistenza qualunquista.
Tutto in questo libro si incastra alla perfezione: senso e non senso, lucidità
e follia, sesso e amore, vita e morte, scodellando qua e là, nel narrare con
lucida consapevolezza -direi, più precisamente e per sensazione, presuntuosa
consapevolezza - munifici aforismi, salvifiche citazioni senza una stonatura o
sbavatura tranne tutti quei fastidiosi e inutili puntini...
I personaggi, da Rail e la sua locomotiva, a Jun e la sua irresistibile bocca,
da Pekisch e il suo umanofogo, a Pehnt e la sua giacca nera, dal vecchio
Andersson e il suo brevetto, al Hector Horeau e il suo Crystal Palace, si
muovono nel palcoscenico di Quinnipak.
Sono personaggi alla Godot che, aspettando di dare un senso alla vita
impazziscono e...
Leggetelo. Ne esce un Baricco antipatico e presuntuoso ma è innegabile che ci
sa fare con le parole, centrando uno squinternato bersaglio...
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2022
Nessun commento:
Posta un commento