lunedì 1 aprile 2024

CASTELLI DI RABBIA

 





Castelli di rabbia - Alessandro Baricco -

recensione a cura di Patrizia Zara



La furbizia sta nel giocare con le parole, che a quanto pare Baricco ne possiede un grosso, inesauribile bagaglio. La genialità si sposa con il non senso. L'abilità nasce dal far credere ai lettori di non avere letto una storia qualunque, ma tante storie che si intersecano, si intrecciano tra realtà, sogno e immaginazione, storie fantastiche. Uniche e ben scritte. 
Ma si tratta di un tranello, un abile gioco di parole per trascinare il lettore in un geniale gioco di inganno: spacciare la quieta mediocrità per genialità. Le storie di Baricco in "Castelli di rabbia" sono storie intensamente e volutamente umane tanto mediocri quanto originali: Alice e il suo paese delle meraviglie, Pinocchio, il Genio della lampada etc., favole, fiabe, cantastorie...
Gira, gira la ruota panoramica di quel criceto impazzito.
E poi ci trovi anche quelle frasi buttate, così, che fanno sempre un certo effetto, alla Pessoa o alla Coelho. Frasi da sottolineare, estratti solitari che acquistano un filosofico significato tanto da produrre un effetto balsamo per chi li riporta nei pubblici diari telematici: unguento dell'anima che si espande a dismisura a forza di like. In realtà sono frasi che tutti noi conosciamo poiché ben nascoste dentro la nostra testa o il nostro cuore, che vogliamo sentirceli dire per il piacere di sorprendersi.
Baricco è furbo, genialmente furbo: fa vagare le storie lungo inesistenti rotaie, lasciando al lettore la destinazione. E si diverte a sparare i suoi proiettili, " il proiettile corre e non sa se ammazzerà qualcuno o finirà nel nulla, ma intanto corre e nella sua corsa è già scritto se finirà a spappolare il cuore di un uomo o a scheggiare un muro qualunque. Lo vede il destino? Tutto è già scritto eppure niente si può leggere".
Non hanno senso logico i personaggi di un'immaginaria cittadina chiamata "Quinnipak” ma stranamente ti senti, tu lettore o lettrice, coinvolto/a nelle loro storie, nei loro apparentemente illogici dialoghi. Cerchi di colmare quei continui e fastidiosi puntini di sospensione, quelli che mettono ansia perché fa rabbia non riuscire a salvare quei castelli che i personaggi, anomali e particolari come te, caro lettore, hanno innalzato, procedono in bilico tra la genialità delle loro idee e l'emozionante e rassicurante miseria della loro esistenza qualunquista.
Tutto in questo libro si incastra alla perfezione: senso e non senso, lucidità e follia, sesso e amore, vita e morte, scodellando qua e là, nel narrare con lucida consapevolezza -direi, più precisamente e per sensazione, presuntuosa consapevolezza - munifici aforismi, salvifiche citazioni senza una stonatura o sbavatura tranne tutti quei fastidiosi e inutili puntini...
I personaggi, da Rail e la sua locomotiva, a Jun e la sua irresistibile bocca, da Pekisch e il suo umanofogo, a Pehnt e la sua giacca nera, dal vecchio Andersson e il suo brevetto, al Hector Horeau e il suo Crystal Palace, si muovono nel palcoscenico di Quinnipak.
Sono personaggi alla Godot che, aspettando di dare un senso alla vita impazziscono e...
Leggetelo. Ne esce un Baricco antipatico e presuntuoso ma è innegabile che ci sa fare con le parole, centrando uno squinternato bersaglio...

genere: narrativa

anno di pubblicazione: 2022


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