La stagione degli innocenti - Samuel Bjork -
recensione a cura di Elisa Caccavale
La
stagione degli innocenti è un libro di Samuel Biork e racconta la prima vicenda
di una serie che vede protagonisti gli investigatori della polizia di Oslo, Holger
Munch e Mia Kruger.
In
questa storia la polizia norvegese si trova ad indagare sugli omicidi di alcune
bambine di sei anni che vengono trovate morte nei boschi, vestite come bambole,
con attaccato al collo un biglietto con scritto “io viaggio da sola”.
L’assassino sembra inafferrabile e continua a rapire le sue vittime innocenti,
gettando la popolazione nel terrore e la polizia nello sconforto. A questa
vicenda si intrecciano il destino di una misteriosa comunità cristiana che
sembra nascondere qualcosa e le vicende personali dei protagonisti, che in
questo primo libro vengono presentati al lettore, pronto a seguire gli sviluppi
nei libri seguenti della serie (“La stagione del sangue” e “La stagione del
fuoco”).
Il
libro si inserisce nel filone ormai ben consolidato della narrativa gialla
scandinava; i personaggi ricalcano quello che è ormai un topos
narrativo, quello del detective antieroe, ricco di talento quanto di turbe e
idiosincrasie: Holger Munch è
sovrappeso, divorziato, ha una figlia che lo evita il più possibile e fuma in
modo compulsivo; Mia Kruger inganna il tempo cercando di risolvere il caso
mentre aspetta il momento di suicidarsi per raggiungere così la sorella
gemella, morta per overdose, e nel frattempo si uccide lentamente ingollando
pasticche ed alcol fino ad ottenebrarsi la mente. Nonostante questo Munch e
Kruger, insieme alla loro squadra, sono ancora i migliori investigatori di Oslo
e saranno gli unici in grado di tenere testa a questo assassino di bambine; un
messaggio esplicito e positivo, pur in mezzo a tanta cupezza, sul fatto che le
debolezze umane vanno accettate e gestite e non identificano (o condannano) le
persone.
Il
libro si legge con piacere, la trama è piuttosto avvincente e soprattutto in
certi passaggi la suspance è ben costruita, anche se, in conclusione, la
vicenda narrata non risulta sempre credibile e il movente, una volta scoperto,
è piuttosto debole. Un discreto colpo di scena rende il finale gustoso anche se
la costruzione della vicenda è un po’ stiracchiata.
Il
romanzo tocca anche profonde corde emotive perché quando le vittime sono
bambini la coscienza di tutti rimane scossa, pur se si tratta solo di finzione.
Il
libro è immotivatamente lungo (490 pagine); molto spesso le digressioni in cui
l’autore si perde sono più un divagare che un contestualizzare, lunghi passaggi
in cui si sofferma su personaggi secondari narrando le loro vite e le loro
esperienze per introdurre un fatto che poi risulta essere totalmente slegato
dal personaggio stesso.
In
sintesi: un libro che consiglio agli amanti degli autori scandinavi e che
apprezzano i protagonisti complessi (e un po’ complessati) e vicende forse non
proprio coerenti fino in fondo ma che sanno creare una buona tensione e
condurre il lettore attraverso svariati depistaggi e vicoli ciechi, prima di
imboccare la via della risoluzione del caso.
genere: giallo
anno di pubblicazione: 2017
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