Pastorale Americana - Philip Roth
recensione a cura di Patrizia Zara
La disgregazione di una vita e di una nazione intera. Il fallimento dell'individuo e di un paese interno.
La caduta generazionale. La continuità unitaria falciata dal troppo, dall'eccesso, eredità di un passato di rivalsa e di riscatto.
Il non senso di ogni cosa incorniciata in quadretti di vita perfetti ma che di perfetto hanno soltanto la cornice, strato lucidato a dovere dove si annidano le cimici dell'insoddisfazione, delle paure, delle inadeguatezze, dell'incomunicabilità tra presente e futuro, tra una generazione gloriosa e una generazione che apparentemente tutto possiede, ma che in realtà è soltanto vittima di un riscatto sempre più esigente.
Falò di idealismi estremi, confusi; modelli utopistici che di schiantano frontalmente come macchine impazzite da luna park.
E si ride sotto la maschera del dolore e dei perché, si finge che tutto è ok, che tutto va bene, che tutto passerà, ma piano piano la morte affonda le sue fauci nella carne indebolita dalle sofferenze interne.
"Pastorale Americana" è un capolavoro perfetto, un'analisi lucida e dettagliata nel deliberare le esistenze di una nazione del "siamo forti, siamo grandi, siamo belli, siamo potenti", quando in definitiva nulla è perfetto, nulla è potente. La perfezione e la potenza hanno basi imperfette che si poggiano su esistenze fragili, esistenze che hanno ereditato un peso troppo grande, generazioni instabili che si nutrono di benessere sulle note di "Image": nessun paese industrializzato, nessun stato capitalizzato ne è immune.
Lo "Svedese", giovane ebreo, alunno modello, atleta acclamato, marines, uomo professionalmente affermato nell'azienda paterna, marito e padre esemplare, un concentrato perfetto del mito americano (un mito da emulare, da eguagliare) è il protagonista ineccepibile di questo immenso romanzo epocale. E come la maggior parte di noi in cui pensiamo ingenuamente di tenere sotto controllo ogni situazione perché tendiamo a pianificare anche le menti altrui, perché ci teniamo a essere belli, educati, talentuosi al fine di non creare sbavature e farci amare, anche lo svedese ha creduto di aver fatto le scelte giuste imboccando il percorso che congiunge passato, presente e futuro. Grande errore. Non c'è percorso perfetto. No, assolutamente no. E come lo svedese, quando davanti a noi si aprono fratture, voragini impensabili, ci troviamo coscientemente soli con un fagotto di verità scomode, soli con il nostro alter ego che ci ha sempre mandato segnali che puntualmente abbiamo ignoriamo per evitare sbavature che potessero deturpare le facce lustre, pulite; sigilliamo il vaso di Pandora.
Boom. Bombe ad orologeria, tsunami, terremoto. Stecchiti da ciò che non doveva accadere e da ciò che invece è accaduto.
"Pastorale americana è un romanzo perfetto perché insegna a credere che non esiste alcun credo inappuntabile È un romanzo potente, che apre gli occhi per vedere oltre la staccionata geometricamente impeccabile. Nessun sogno, americano o quello che sia, rimarrà intatto nel tempo. Prima o poi verrà sgretolato da ciò che non avresti mai pensato di pensare. Scrittura graffiante ma mai eccessiva perché non oltrepassa la freddezza analitica degli eventi i cui fallimenti individuali si rispecchiano nel fallimento universale, trama vortiginosa in un crescendo logorante e sfiancante.
E si, cari amici se volete leggere la bucolica storia di Philip
Roth armatevi con ardore di una grande forza di spirito, di pazienza, abbattete
i luoghi comuni, infrangete i cliché. Credetemi c'è tanto di tutti noi
genere: narrativa
anno pubblicazione: 1997
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