L'amore ai tempi del colera - Gabriel García Márquez -
recensione a cura di Patrizia Zara
L'orrore della vita con le sue regole e le sue leggi umane e divine molto
spesso dall' insopportabile retrogusto amaro trasformato in un'impensabile
storia d'amore. La cronaca dell'illustre sentimento ricreata dalle macerie,
reinventata in un tempo nuovo, scrostata dalla ruggine delle abitudini, dalle
convenzioni, dai pregiudizi, emersa dal fango e dalla bruma maleodorante della
morte, elevata dai piaceri della carne e proiettata, da uno spontaneo lascivo,
al sogno.
Ecco cos'è, a mio avviso, il realismo magico di Gabriel García Márquez.
Con un narrato che avvolge e penetra in una visione infantile di grazia che
agisce sulla natura umana, in una celebrazione gioiosa di quel quid divinum che
soffia dove vuole e quando vuole, facendo dei giorni degli uomini un arazzo
dove si fondono il quotidiano e il miracoloso, Gabo ricostruisce
spontaneamente un' ossessione dove l'amore si alimenta della sua stessa
idealizzazione, germoglia tra le rovine della canicola caraibica, fra i
crepuscoli furibondi, tra gli orgasmi istintivi in un vortice di sensualità e
sessualità primitiva, per finire ancora "vergine" tra la pelle
raggrinzita presa a morsi da una bocca priva di artigli
Un inesauribile obnubilamento capace, al momento giusto, di impedire il senso
di nausea, di evitare la melma dell'inconfessabile, capace di appannare in
tempo le scene cruenti, elevando il brutto con la signorilità della lirica.
"L' amore ai tempi del colera" è la testimonianza di un amore potente
ai limiti del patologico che racchiude in sé le virtù e le meschinità dei
drammi umani ma, al contempo, avvolto da un immenso candore.
Florentino Ariza ha commesso il delitto di amare Fermina Daza e il suo castigo
è di amarla, ovunque, dovunque, con chiunque, sempre oltre il tempo, anche
oltre la morte, un' ombra, quest'ultima, che si affaccia furtiva con la
complicità di un pendolo inclemente.
È un libro che va letto per esorcizzare una realtà assetata d'amore ma
incapace di far sgorgare dalle sue gore, ostruite dalla squallida e tremenda
quotidianità, la ninfa vitale affinché possa nutrirsi.
Márquez c'è riuscito creando un universo magico proprio dallo squallido
quotidiano.
Si è tuffato nell'originaria placenta con uno sguardo ebbro, curioso e smaltato
di sogni, birichino proprio come un bambino, privo di malizia, puro, ancora non
contaminato da brutte verità e, con il potere della sua scrittura, ha
trasformato quella realtà desolata e desolante - senza per questo
mortificandola - in qualcosa che rimane indelebile nel cuore dei lettori
malgrado tutto.
"Senza proporselo, senza neppure saperlo, dimostrò con la sua vita la
ragione del padre, il quale aveva ripetuto fino all'ultimo respiro che non
esisteva nessuno con maggiore senso pratico, né spaccapietre più ostinati né
direttori più lucidi e pericolosi dei poeti"
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