Terra alta – Javier Cercas –
recensione a cura di Lilli Luini
Con questo romanzo, l’autore spagnolo dà una svolta alla propria
narrazione cimentandosi nel genere poliziesco noir. Lo fa però in una maniera
del tutto personale. Il protagonista, Melchor Marin, è un poliziotto con alle
spalle una storia personale travagliata. Figlio di una prostituta, una
giovinezza vissuta nel crimine che lo ha portato anche in carcere, dopo
l’assassinio della madre di entrare in polizia. Grazie a un mentore – forse suo
padre, forse no – ci riuscirà, ripulendo la propria fedina penale. Il suo
percorso, che è il vero fulcro del romanzo, è segnato dalla sua ossessiva
lettura de I Miserabili, il romanzo di Victor Hugo in cui si identifica sia con
il protagonista Jean Valjean che con il suo antagonista Javert. E qui si
ritorna a una delle tematiche dell’autore, la giustizia che a volte si tramuta
in ingiustizia,
Nell’economia del romanzo, l’indagine poliziesca – una
coppia di ricchi anziani massacrata in casa insieme alla governante - finisce
per essere una sotto trama e la cosa potrebbe non piacere agli appassionati di
giallo.
Se devo trovare una manchevolezza al romanzo, l’ambientazione – per quando spesso nominata –
mi è parsa un po’ superficiale. Si tratta infatti di una zona della Catalogna, regione
attraversata da spinte nazionalistiche che hanno portato a un referendum molto
contestato. Se ne parla in queste pagine, ma senza che entri nello sentire dei
personaggi, quasi che la cosa non li avesse toccati.
Detto questo, la scrittura di Cercas mi è piaciuta molto e
altrettanto i personaggi. Il protagonista è al tempo stesso eroe e anti eroe,
un uomo alla ricerca del proprio posto nel mondo e di una giustizia che finisce
per mettere in pericolo tutto ciò che ha. Melchor non è un vincente ma un resistente e l’autore non
fa sconti, né a lui né a noi lettori
genere: thriller
anno di pubblicazione: 2020
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