La Valle dei fiori - Niviaq Korneliussen -
recensione a cura di Patrizia Zara
Consiglio calorosamente la lettura di questo libro. Perché è
un racconto di un'autenticità talmente potente che riesce ad abbattere il muro
di un confinante provincialismo.
Perché è violento come uno schiaffo morale, gelido che
sveglia dall’oblio, percuote, desta da quel sonno ipnotico il cui sguardo non
va oltre le quattro facciate in cui il mondo sembra tutto lì, fermo ai nostri
dolori, alle nostre piccole gioie, pettegolezzi, vittorie e fallimenti, like e
non like. Limiti. Facce sempre uguali, chiacchere ripetitive. Voliamo oltre.
Con "La valle
dei Fiori" usciamo dal nostro ristretto "io" e scopriamo altri
mondi, altre dimensioni, altre vite per renderci conto che non siamo solo noi a
esistere e a morire.
"La Valle dei Fiori" è un romanzo innovativo, contemporaneo,
autentico, genuino, tosto.
La penna di Niviaq Korneliussen ha la forza caustica di
scavare tra i ghiacciai di cuori frantumati, di toccare l'anima inquieta
devastata dal disagio, dal senso di inadeguatezza e da una vertiginosa
solitudine. Affronta il tema della morte, voluta, cercata per non soffrire più.
È un romanzo crudelmente e volutamente fisico, carnale
talmente genuino da elevarsi in poesia quella pura senza fronzoli né ricami, né
manipolazioni letterarie, né merletti di contorno. Un vero e proprio orgasmo
letterario.
È una scrittura schietta, palpitante, perché i malesseri e i
tormenti della giovane protagonista volutamente senza nome e di origini Inuit
(Popolazione indigena delle coste artiche dell'America, distribuita dalla
Groenlandia sino all'Alaska), penetrano dentro la pelle e fanno male:
appartengono a tutti noi.
Ci spiattellano una società fallimentare che in nome di una
globalizzazione infelice distrugge giovani identità, schiaccia esistenze come
fossero parassiti.
Una società che avvolge nell'oblio i deboli per ingannare
gli occhi della vasta comunità in cui vige la legge del più furbo e del più
forte. Gioca a pingpong scaricando colpe e giustificazioni.
Non abbiamo nome neppure nella tomba, ma solo numeri e fiori
di plastica.
Ed è per questo che ringrazio Niviaq Korneliussen,
scrittrice millennial, lesbica, groenlandese, per avere scritto un romanzo che
ha dato voce a chi non viene ascoltato perché ciò richiederebbe troppo sforzo,
troppo impegno, troppa umanità, troppo tempo, bisognerebbe disobbedire ai
rigidi protocolli e non ne vale la pena mettersi sotto scopa. Non è facile
sanare la discrasia di un'esistenza combattuta tra il bisogno bruciante di
amore e la paura di deludere e di donarsi con cui finisce per far male agli
altri quanto a se stessa.
La ringrazio per avere dato voce a chi si scontra con il
muro dell'indifferenza, a chi non ha la forza di imporsi fra i lupi. Poveri
giovani. Che società di merda.
D'altronde una società che sforna professionisti (psicologi,
medici, insegnanti etc. etc.) che fanno a gara a chi ha più attestati e
partecipazioni a convegni dimenticando il vero ruolo umanitario e il soggetto
dei loro studi, tutto risulta vano e sterile. Palloni gonfiati di gloria e di
ego.
Una denuncia corale ed entusiasta. Un libro bellissimo,
intenso, sconvolgente che ci fa sentire meno soli e ci sprona a non arrendersi
in nome di chi, dal Nord al profondo Sud, dall'Ovest all'estremo Est, tale
forza non ce l'ha.
Tuttavia, sebbene la gravità della tematica trattata
(suicidi fra i giovani, tema universale) sia forte, la lettura risulta
scorrevole e trascinante per nulla triste e malinconica poiché lo stile è
fresco e moderno e regala anche momenti di piacevole umorismo grazie
all’abilità dell'autrice che, con intelligenza arguta e pensosa e una profonda
e spesso indulgente simpatia umana, crea personaggi tanto amabili quanto
bizzarri.
Una nota personale: l'ultimo capitolo intitolato
"Io" mi ha riportato a rivivere la lettura di "Fuga nelle
tenebre" di Arthur Schnitzler. Entrambe le narrazioni presentano uno stile
di scrittura accelerata, sempre più incalzante e concitata al fine di
travolgere i lettori nell'incontrollata emorragia di follia che trascina
nell'inevitabile tracollo i giovani protagonisti delle due storie distanti nel
tempo e nello spazio.
Ne "La Valle dei Fiori” la nostra giovane Inuit è
troppo scura, troppo grassa, troppo per questa società di apparenze, di
protocolli, di cartelle e di numeri.
"La vita è troppo breve per crucciarsi, oppure che non
conta quanti anni si viva, ma quanta vita c'è in quegli anni. Le frasi
motivazionali la commuovono facilmente, come 'non piangere perché è finito,
sorridi perché c'è stato' ". Consolazioni patetiche, tutto qui.
P.S. splendida la copertina. Iperborea una garanzia
genere: narrativa
anna pubblicazione: 2023
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