Riprende oggi, dopo la pausa estiva, l’appuntamento con le interviste agli autori. In questo primo incontro ho il piacere di fare un po’ di chiacchiere con Fabio Mundadori che ho scoperto solo recentemente, grazie alla sua tenacia e alla sua voglia di farsi conoscere. Mi ha proposto di leggere L’altra metà della notte e mi ha conquistato. Veramente bravo, lo posso dire senza timore di smentite.
Buongiorno Fabio. Prima se posso ti faccio volentieri
qualche domanda di carattere generale per conoscerti un po’ meglio. Raccontaci
un po’ di te dove nasci e vivi, la tua formazione, qual è il tuo lavoro e poi
dicci come nasce l’idea di scrivere romanzi.
Buongiorno a te e grazie per l’ospitalità nel tuo blog. Io
sono nato a Bologna dove ho vissuto fino a 20 anni quando mi sono trasferito a
Brescia, ora vivo a Latina dove mi occupo di Sicurezza Informatica per le
aziende. La scrittura non nasce come un’idea vera e propria, diciamo che a un
certo punto mi sono accorto che dopo aver letto, ascoltato e visto centinaia di
storie mi sono reso conto che anche io avevo da raccontarne.
Oltre a scrivere sei anche un lettore? Hai un genere
preferito? Preferisci gli ebook o il libro cartaceo?
Sono ovviamente un lettore e non potrebbe essere altrimenti:
se si vuole scrivere è necessario aver letto moltissimo e continuare farlo. Oltre
al giallo, thriller e noir – quindi quello che oggi va sotto il macro genere
“crime” – i generi che preferisco sono la fantascienza e l’action, ma più in
generale posso dire che il mio genere preferito sono le belle storie scritte
bene; in conseguenza di quest’ultimo aspetto anche il “supporto” è
indifferente: a me basta leggere buone storie.
Da dove nascono le tue storie. Elabori notizie che leggi
o sono esclusivamente di fantasia?
Le storie sono tutte un po’ come le leggende, anche le più
fantastiche contengono sempre un fondo di verità. Tuttavia scrivendo storie
crime è normale che l’interazione con la realtà e le notizie di cronaca – o
comunque di quotidianità – sia maggiore, quello che mi piace rispetto a un
fatto realmente accaduto è esplorare le “sliding doors”, vedere “cosa sarebbe
successo se…”; un esempio estremamente calzante di questo aspetto, tra i miei
romanzi è “Dove scorre il male” nato ascoltando un’intervista dell’ex ex ex
sindaco di Roma Alemanno durante la quale dichiarò che Tor Bella Monaca, un
quartiere romano non proprio noto per la sua sicurezza, secondo lui andava raso
al suolo e ricostruito per dare più dignità e opportunità ai cittadini che lo
abitavano.
E poi come scrivo in TUTTI i miei libri
“La realtà non esiste. Esistono diverse percezioni di uno
stesso evento.”
La tua scrittura si colloca in un genere preciso?
Come ho detto poco fa, se devo inquadrare un macro genere
quello è certamente il crime, ma quando scrivo non mi pongo troppo il problema
di che genere di storia verrà fuori, cerco solo di scrivere una storia che mi
piace e che mi faccia divertire mentre la racconto (elemento essenziale se
voglio che il lettore si diverta a leggerla)
Hai solitamente una scaletta prefissata o ti fai condurre dalla narrazione?
Un mix delle due cose: ho una scaletta semi fissa non troppo
dettagliata ma che circostanzia tutti gli episodi della storia dall’inizio alla
fine.
Di norma preferisci scrivere libri stand alone che non
danno origine a serie o il personaggio principale da te creato in una storia lo
ritroviamo in tanti tuoi romanzi?
Anche in questo caso non faccio progetti, tuttavia spesso
capita che quando finisco una storia, poi il mio personaggio mi manchi e a
distanza di poche settimane inizio a pensare a come ritirarlo fuori dal
cassetto, creando di fatto una serialità (è successo con Naldi e Sammarchi).
Ti è capitato di presentare un tuo libro in pubblico?
Preferisci un moderatore che ti pone le domande “giuste” o preferisci lasciare
far fare le domande direttamente al pubblico?
Sì, cerco sempre di fare più presentazioni possibili di
tutto quello che pubblico (non solo romanzi ma anche racconti in antologie): la
presentazione è un momento molto importante, di contatto con i lettori, è il
momento in cui capisci se ciò che racconti è davvero interessante o no,
indipendentemente dal fatto che poi chi è lì comprerà il tuo libro o meno,
anche se ovviamente si fa per quello.
Che ci sia un moderatore è importante, è lui che deve guidare le eventuali
domande del pubblico (sempre troppo timido in questo senso)
Io sono un cultore del self publishing ma in generale
sono sempre molto interessato al processo riguardante la pubblicazione di un
libro. Se devo scegliere preferisco le case editrici indipendenti rispetto a
quelle “mainstream”. Prima di parlare più approfonditamente dei tuoi romanzi ci
racconti un po’ qual è la tua esperienza con le case editrici? Pubblicare con
una casa editrice la ritieni una cosa necessaria o l’idea di auto pubblicare
potrebbe, in futuro, essere presa in considerazione?
Io ho pubblicato sempre con case editrici indipendenti e
devo dire – salvo un caso in particolare in cui l’assetto societario di una di
queste si è modificato nel tempo introducendo di fatto persone più interessate
al proprio ego che alle cose buone che si stavano facendo – di non potermi
proprio lamentare. Premesso questo ritengo che una casa editrice seria
sia estremamente utile per un autore: una casa editrice seria (lo ripeto
volutamente) ha contatti, persone che si occupano dell’editing o quantomeno di
rileggere quello che un autore scrive, persone che si occupano della grafica,
della promozione, della distribuzione e tanto altro. Con il self publishing di
solito accade questo: scrivo il libro, lo faccio leggere a due o tre amici
nessuno dei quali mi dice che il mio libro ha dei problemi e quindi è
bellissimo, chiedo a mio cugino – che è bravo con illustrator e che in
educazione artistica alle medie aveva “buono” – di farmi una copertina, chiedo
a mia zia – che è brava con word perché fa la segretaria dell’amministratore
delegato della Pizza e Fichi spa – di impaginarmelo, poi mando il tutto alla
stamperia online di turno (tanto i nomi li sappiamo), faccio un bel bonifico a
tre zeri (perché almeno duecento copie vuoi non venderle?) e mentre il libro è
in stampa comincio a spammare su tutti i social la copertina del mio libro,
metto scrittore sul profilo Facebook e cambio l’immagine di profilo dove ho la
maglietta dei Simpson con una dove ho una polo nera, gli occhiali no look,
l’espressione assorta e la mano sotto il mento (foto scattata dal cugino di
prima che con l’iphone fa foto fichissime).
Dopo una settimana ricevo gli scatoloni con il mio libro pronto da vendere ma
presto mi accorgo che a parte gli amici di cui sopra –ai quali il libro lo
dovrò regalare perché “loro l’hanno letto per primi” e quindi glie lo devi – del mio libro importa a davvero poche
persone, nemmeno alle librerie che non hanno lo spazio per esporlo.
Questa chiaramente è un estremizzazione, ma c’è “un altro” Self publishing, quello in cui l’autore scrive il libro, lo da a uno o più professionisti che gli curano l’editing, contatta un grafico professionista che prepara una o più copertine e che magari è lo stesso che gli prepara l’impaginato del libro pronto per le piattaforme più importanti (anche quelle sappiamo quali sono), ha qualcuno che gli fa da ufficio stampa o da social media manager e forse ha anche qualcuno che gli ha fatto una piccola analisi di mercato per capire se il suo libro ha del potenziale commerciale, ma c’è un risvolto: questo self publisher di fatto investe denaro sul proprio prodotto – perché tutte le professionalità che ho citato vanno pagate – esattamente come farebbe una casa editrice.
Ovviamente anche in questo caso non c’è garanzia che il libro venda – così come
non è detto che nel primo caso il libro non sia un successo – ma conosco autori
che guadagnano molto bene. La differenza tra questi due esempi, ripeto, estremi
(ma non così tanto) è che spesso nel primo caso l’autore ripiega sul self
perché nessuno ha accettato di pubblicare il suo romanzo se non a pagamento
(eventualità sicuramente peggiore), mentre nel secondo dietro la pubblicazione
in self c’è un progetto, la convinzione – giusta o sbagliata che sia – che
quello è il modo in cui si vuol proporre il proprio prodotto. Chiudo questa
interminabile risposta con un ulteriore caso che si sta facendo strada in
questi ultimi tempi e cioè l’uso del crowdfunding per finanziare una
pubblicazione in self: personalmente ritengo questa – e mi assumo la
responsabilità del mio pensiero – una modalità profondamente scorretta che di
solito lascia poco spazio alla trasparenza rispetto al rapporto tra ai costi
effettivamente sostenuti, copie stampate e risultati effettivi di vendita,
elementi che normalmente riguarderebbero solo l’autore, ma che in questo caso
vanno a toccare anche gli “interessi” di chi ha contribuito alla realizzazione
del prodotto e cioè i crowdfounders.
Passiamo ad analizzare il tuo ultimo libro, Ombre di
vetro. Permettimi solo di dire che è un romanzo che io consiglio vivamente a
tutti. A me è piaciuto molto non solo per la trama ma anche per la cura che ci
hai messo, che traspare chiaramente leggendolo. Quando lo hai scritto e cosa ti
ha ispirato?
L’ho scritto pochi mesi prima della sua uscita sull’onda
della bella esperienza de “L’altra metà della notte” e della simpatia che Naldi
aveva suscitato nei lettori. L’idea di fondo è che ci può essere qualcosa che
va ben oltre la morte del corpo e cioè la morte della speranza.
Raccontaci un po’ la trama, dove è ambientato, i suoi
personaggi principali. Facci venir voglia di leggerlo….
Trent’anni fa Bologna è sconvolta da una sequenza di omicidi
da parte di un killer seriale che sceglie le sue vittime tra donne in attesa di
un figlio, dopo averle uccise si accanisce sul loro corpo asportando il feto
che portano in grembo, per questo i media dell’epoca lo soprannomineranno
Mammana.
Le indagini sono condotte da un giovane ispettore, Cesare Naldi, uno dei
sopravvissuti alla strage del 2 agosto 1980.
Il poliziotto è l’elemento più in gamba della questura e quando sembra aver
rinchiuso il colpevole inuna cella, Mammana torna a colpire, una sola ultima
volta prima di svanire nello stesso nulla dal quale è comparso. Oggi, sempre a
Bologna, qualcuno torna a uccidere con lo stesso modus operandi di Mammana: è
ancora lui o è solo un emulatore?
L’unico in grado di dare una risposta è Cesare Naldi che però, per le vicende
narrate ne “L’altra metà della notte” – spazio pubblicità: di nuovo in libreria
da fine agosto. Fine spazio pubblicità – non è più nell’organico della polizia
e ha una propria agenzia investigativa che conduce con la propria compagna
Cristina Colombo. Sarà la vice questore Silvia Severi, andando contro alle
direttive dei suoi superiori e alle stesse resistenze di Naldi, a coinvolgere
l’ex poliziotto nella soluzione del caso.
Una soluzione che chiederà a ognuno dei protagonisti un prezzo elevatissimo da
pagare.
Hai dovuto fare un lavoro di studio degli argomenti
trattati o lo hai ambientato in luoghi e descritto situazioni che conosci bene?
Ambientare le proprie storie in luoghi ben noti è la prima
regola per molti scrittori, me incluso, poi ovviamente nel corso della stesura
capita di imbattersi in temi che si conoscono poco (o nulla) e allora ci si
documenta (internet è una grandissima risorsa).
Secondo te c’è un pubblico specifico per questo libro? O
può essere apprezzato da tutti?
Diciamo che dall’adolescenza in su io credo che sia una
storia godibile per tutti, certo chi ama il romance non troverà ciò che si
aspetta.
Preferisci i finali accomodanti, dove tutti i cerchi
vengono chiusi, o preferisci lasciare anche qualcosa di poco definito dove il
lettore può completare gli “spazi” vuoti con la propria fantasia? Ti piacciono
i finali spiazzanti ed un po’ cinici dove anche un personaggio importante
incorre in qualche… “incidente”? O preferisci il vissero tutti felici e
contenti?
“Il libro perfetto è quello che leggeresti anche se mancasse
il finale”, non ricordo chi lo abbia detto ma mi ci ritrovo molto, però
tranquilli, nei miei romanzi il finale c’è sempre e spessissimo –quasi sempre –
è un finale aperto perché per come la vedo io se la vita reale finisce solo con
la nostra morte anche le storie – che ne sono uno specchio – finiscono davvero
solo con la morte del personaggio (quando è sicura). Premesso questo, per
quanto mi riguarda, se un finale c’è deve essere spiegato, non deve lasciare
nulla al dubbio o alla “fantasia” quella il lettore deve utilizzarla per altro.
Facci un piccolo excursus nella tua bibliografia. Hai
pubblicato altri romanzi precedentemente a questo. A quale genere
appartengono?
Nell’ordine
2012 Occhi Viola (giallo con risvolti horror)
2015 Dove scorre il male (Giallo thriller)
2016 L’altra metà della notte. Bologna non uccide (Giallo
Thriller)
2018 Ombre di vetro. Bologna non muore mai (Giallo Thriller)
2019 Occhi Viola. La prima indagine di Luca Sammarchi
(edizione riveduta e ampliata del romanzo del 2012)
2020 L’altra metà della notte. Bologna non uccide (edizione
riveduta e corretta del romanzo del 2016 pubblicata in occasione del 40°
anniversario della strage del 2 Agosto 1980)
Sto scrivendo un nuovo romanzo con un nuovo personaggio e ne
ho in mente altri tre dei quali uno prevede il ritorno di Cesare Naldi.
Prima dei saluti finali mi piacerebbe avere da te
un’opinione del mondo nel quale ti muovi. Secondo me ci sono scrittori di
grande talento, ed io nel mio piccolo ne ho conosciuti (letti) tanti, che
meriterebbero molto più successo di quello che hanno. Tu, per me, sei uno di
questi. Se non si entra nelle grazie di qualche grande casa editrice che, bontà
sua, decide che il tuo romanzo “debba” avere successo, diventa davvero
difficile “diventare famosi” ed avere un po’ di gloria scrivendo libri. Deve
essere frustrante sapere di avere talento, esprimerlo anche con ottimi romanzi
ma non riuscire a “far passare” l’informazione. Riuscire a far capire al
lettore che oltre ai soliti noti c’è molto altro?
Innanzi tutto ti ringrazio per la stima che mi riservi, per
il resto è un discorso piuttosto complesso e preferisco non sviscerarlo troppo
altrimenti salta fuori un altro spiegone come per il self. Mi limito a dire che
le case editrici, contrariamente a quanto si dica e si pensi definendole come
promotrici di cultura, sono aziende e come tali hanno un bilancio da far
quadrare, è in evitabile che in un mercato come quello italiano dove il
rapporto tra chi pubblica e chi legge è quantomeno “anomalo” queste stesse
aziende cerchino di proporre per gran parte prodotti “sicuri” dove la sicurezza
è numero di copie vendute certe, alla luce di questo diventa facile capire che
lo spazio per le “scommesse” è davvero ridotto, paradossalmente proprio per le
grandi case editrici che per muoversi hanno necessità di uscire con grandi
volumi in termini di copie stampate.
Recentemente ho letto commenti di addetti ai lavori, ma anche no, che si stracciavano
le vesti perché una casa editrice considerata elitaria pubblicherà il libro di
un personaggio molto noto ma considerato trash e quindi non consono al buon
nome di quella casa editrice.
Be’ il suddetto personaggio trash – credo abbiate capito chi sia – è certamente
un soggetto “ambiguo” ma ha una base di riferimento – incredibilmente –
sterminata e questo permetterà alla c.e. non solo di coprire il costi di stampa
del libro ma di guadagnarci abbastanza per proporne molti altri, magari anche
quello di un esordiente.
Ti ringrazio della bella chiacchierata, ti auguro tanta
fortuna e spero che non si affievolisca mai la tua voglia di scrivere perché
sei veramente bravo. Se ritieni puoi aggiungere qualcosa che magari ritieni
importante far sapere ai lettori….
Grazie di nuovo a te, e certamente non sono deciso a mollare
con la scrittura.
Ai lettori voglio dire cercate le vostre storie, l’importante è che siano buone
storie perché sono le storie che può cambiare il futuro e da buone storie può venire
solo un futuro buono.
A presto.
Di nuovo grazie. Complimenti ed a presto.
Consenso trattamento dati personali
Nota bene: Rispondendo alle domande di questa intervista
viene dato il consenso alla sua pubblicazione sul blog Un libro di emozioni e
sui social ad esso legati.
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