Il processo – Franz Kafka -
recensione a cura di Francesca Tornabene
Questa nuova avventura letteraria mi ha condotta in una
località sconosciuta dove vive il signor K., impiegato di banca arrestato senza
alcuna accusa esplicita.
Questi sopraffatto dal conflitto con il nulla e dalla
vergogna di un crimine, che sembra inesistente, viene come divorato da un limbo
esistenziale e alienante.
Nessuno dei personaggi che incontra riesce a sciogliere i
suoi dubbi, ma anzi, tutti sembrano suggerirgli l'inevitabile condanna.
È un incubo ad occhi aperti.
Un processo ingiusto che non lascia scampo!
L'intero sistema giudiziario sembra totalmente astratto,
inaccessibile, incomprensibile, inconstrastabile e senza alcun senso.
Ho avuto come l'impressione di aggirarmi lungo le strade di
un labirinto burocratico irreale e oppressivo.
Un luogo angusto dove la giustizia opprime i diritti anziché
proteggerli.
Ho letto lentamente e con fatica questo romanzo e sono
arrivata alla fine come trascinata dalle sue atmosfere oniriche, paradossali e
spesso grottesche.
Il finale arriva come una doccia fredda. È ambiguo, tragico,
destabilizzante, lascia l'amaro in bocca, ma forse proprio per questo, a mie
occhi, straordinario.
Il rientro a casa è affollato da profonde riflessioni sulla giustizia, il potere, sulla natura umana, sul conflitto esistente tra colpa e innocenza, sul giusto processo, sul valore del contraddittorio, sull'onestà intellettuale e la professionalità degli avvocati e dei giudici al servizio della verità processuale.
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