Tatà – Valerie Perrin -
recensione a cura di Lilli Luini
È il 2010 quando Agnés, regista di fama, riceve una
telefonata. Una voce la informa che sua zia Colette Septembre è stata ritrovata
morta nella sua casa di Gueugnon, il piccolo villaggio francese da dove ha
origine la famiglia. La nipote pensa a uno scherzo, o a un errore, perché zia
Colette è già morta da tre anni, ma non è così e allora parte per Gueugnon
decisa a svelare il mistero. Inizia così una narrazione lunga oltre 600 pagine,
in cui incontriamo tanti personaggi e le loro storie, dagli anni della Seconda
Guerra Mondiale fino al nuovo millennio.
L’autrice lo dichiara a chiare lettere, è sicura che tutti
hanno una storia, anche le persone che a prima vista sembrano non averla, come
zia Colette, calzolaia in un villaggio, una vita specchiata, unico hobby la
passione per la squadra di calcio locale. E tutte queste storie lei ce le
racconta, quasi un intero paese in un unico libro.
Il punto di forza di questo romanzo, il quarto che leggo
della Perrin, sta nella gioia di raccontare che si respira a ogni pagina, una
capacità narrativa che si traduce in una scrittura trascinante e di ottimo
livello.
Ma c’è un rovescio della medaglia. In queste pagine c’è di
tutto. Andando per ordine cronologico, Shoah, povertà, genitori disfunzionali,
morti premature, bambini abusati, omosessualità nascosta, violenza familiare, adulterio,
abbandono, crimine e ovviamente Colette che si fa credere morta. Sembra quasi
un feuilleton, insomma, che si legge bene, certo, ma sollevando spesso il
sopracciglio per l’incredulità. Colpi di scena, coincidenze che hanno
dell’incredibile, troppo cattivi i cattivi, troppo buoni i buoni, una volontà
di non dimenticare nessuno al punto che, ormai alla fine del libro, l’autrice
introduce due personaggi fin lì completamente assenti accreditandoli di azioni
assurde.
Insomma, dei quattro romanzi di Perrin letti finora, questo
secondo me è il più debole. Manca un punto cardine della sua narrativa, ovvero
la solida costruzione psicologica dei personaggi, negli altri libri molto
forte, qui sacrificata per dare spazio agli eventi (tanti, troppi) e ai
personaggi (tanti, troppi). Mancano anche, mi permetto di aggiungere, i guizzi
di originalità a cui l’autrice ci ha abituati perché, alla fin fine, la quadratura
del cerchio è un dejà vu in mille romanzi e in mille film, tanto che io c’ero
arrivata a tre quarti della vicenda.
Detto questo, è un libro leggibile e godibile, che
intrattiene e fa scorrere le pagine una dopo l’altra purché non si pretenda
troppo.
genere: narrativa
anno di pubblicazione:2024
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