Bambino - Marco Balzano -
recensione
di Miriam Donati
Marco
Balzano ha dichiarato di aver voluto scrivere questo romanzo partendo da un
luogo e da un ruolo di protagonista rovesciato: non più vittima, ma carnefice.
Il
luogo è Trieste. Terra di confine, crogiuolo di lingue, etnie, religioni, nodo
nevralgico di culture, commerci, miscuglio di odi e amori vecchi e nuovi,
principale porto dell’impero austroungarico imbevuto di spirito mitteleuropeo. Confine
caldo negli anni del fascismo e della guerra dove furono annunciate le
leggi razziali e dove aveva sede la Risiera di San Sabba, città contesa,
scenario delle atrocità prima dei fascisti, poi dei nazisti e infine dei
titini. E a Trieste, anche lei protagonista di questo libro, Bambino, il
personaggio principale riserva un amore incondizionato.
Mattia
Gregori nasce a Trieste nel 1900. Secondogenito di un orologiaio, fin da
piccolo ha un carattere scontroso e ribelle, è irrequieto e rissoso. Alla
vigilia della prima guerra mondiale, Adriano, il primogenito, emigra in America
e successivamente anche il migliore amico, Ernesto, abbandona Mattia. Sul letto
di morte la madre Tella gli confessa che la sua vera madre è una sconosciuta
con cui il padre ha avuto una relazione. Da ferita insanabile, la rivelazione
diventa per lui un’ossessione devastante. Nel desiderio spasmodico di
rintracciare chi sia la madre diventa fascista sperando di approfittare di una
rete di relazioni che lo aiuti a scoprirne finalmente l’identità che il padre
non vuole rivelare. Nemmeno una vecchia fotografia conservata dal padre gli
permette di individuarla e questo gli crea oltre che delusione una rabbia che
sfocia in violenza verbale e fisica sugli innocenti che incontra sul suo
percorso: li deruba, li picchia, li umilia. Preferisce farsi temere come
capomanipolo dagli squadristi che comanda e di cui non diventa amico che farsi
benvolere. Nonostante il soprannome “Bambino” che gli è attribuito per il volto
glabro, ostenta una ferocia e una brutalità che nasconde inquietudine,
fragilità e bisogno d’amore. Un adulto che non riesce a uscire dalla condizione
di bambino, come si definisce lui stesso attraverso la lingua tagliente di
Balzano mentre combatte in Albania: “Ero davvero un bambino di quarant’anni,
non abbastanza vecchio per evitare il fronte, ma non così giovane per
costruirmi una famiglia”.
Sono
queste espressioni sincere che fanno sì che il lettore si affezioni nonostante
tutto a un protagonista così odioso che, in una lettera all’amico Ernesto che è
diventato partigiano, confessa: “…non ho mai avuto degli ideali, tu invece
sì. Chissà perché alcuni li hanno, altri no”.
Accanto
a comportamenti violenti, atroci e brutali si accompagnano i pensieri
per la madre, per la matrigna Tella, per una prostituta che rivelano un acuto
desiderio di amore e un candore inaspettati. Una purezza legata anche al padre
Nanni, certo che il figlio si possa alla fine riparare come gli orologi che lui
aggiusta. Non approva le scelte del figlio, sta dall’altra parte, i fascisti
gli hanno devastato il negozio, eppure non chiude mai la sua porta, non lo
esclude, non lo rinnega, lo protegge sempre. Ha cercato con pazienza e
precisione di insegnargli il proprio mestiere senza riuscirci e ogni volta che
Mattia torna, lo accoglie.
Passano
gli anni e Mattia parte volontario per l’Albania lasciando il suo passato di
squadrista e conosce una nuova realtà fatta di freddo, gelo, fame, stenti e
ordini inutili, odiando comandanti e generali, perfino lo stesso Duce e,
rientrato in Italia, per sopravvivere, si dedica al mercato nero sfruttando
ancora una volta i più deboli. Dopo l’armistizio con l’occupazione tedesca di
Trieste diventa delatore per conto dei nazisti consegnando ebrei, comunisti e oppositori.
Partecipa a violenze, spedizioni punitive in Slovenia, esecuzioni davanti alle
foibe più per inclinazione naturale alla violenza che per credo. Quando nel 1945
arrivano le truppe di Tito a liberare la città viene arrestato e inviato al
capo di Borovnica dove, aggiustando un orologio del comandante, riesce a
salvarsi da morte certa per fame e stenti, ma ancora una volta fa il delatore
per i servizi segreti jugoslavi. Si rifugia con i documenti falsi procuratigli
dal padre in una malga veneta dove lavora per mesi iniziando un percorso di
rinascita. Al rientro a Trieste è però è catturato dai partigiani sloveni. Ormai
ha capito che la violenza non porta alla giustizia e di non aver diritto al
perdono.
Balzano
ha creato un personaggio duro, complesso nella sua ferocia, lontano dagli stereotipi,
con un’inquietudine profonda che non trova mai vero sfogo nemmeno nelle gesta
più efferate, in una discesa all’inferno sempre più profonda: “Ho ucciso e
fatto uccidere. Ho sempre cercato di stare dalla parte del più forte e mi sono
sempre ritrovato dalla parte sbagliata.”
Con
una scrittura affilata, trascinante, serrata, che alterna descrizioni e riflessioni
questo romanzo storico e di formazione recupera il tema civile della memoria e
indaga il rapporto tra individuo e collettività, le scelte personali e i
rivolgimenti della Storia dove torti e ragioni si mischiano, ritrae uno
squadrista della prima ora che si nasconde nel branco per aggredire e scansare
le fatiche del lavoro e della guerra prendendo volutamente la strada della
violenza.
Mattia
nell’incipit dichiara che la sua infanzia è stata noiosa e interminabile,
l’esatto contrario di come dovrebbe essere. Forse tutto è cominciato da lì.
Genere:
narrativa
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