Il cuore dell'uomo - Jon K. Stefansson
Recensione di Miriam Donati
“La vita diventa più grande quando leggi, dice
il ragazzo, diventa di più, dice, è come se possedessi qualcosa che nessuno ti
potrà mai togliere, dice, si diventa più felici.”
Con
la trilogia iniziata con Paradiso e inferno, La tristezza degli angeli e
Il cuore dell’uomo l’autore affronta le grandi domande dell’uomo: la vita,
l’amore, il senso ultimo dell’esistenza, il potere dell’arte e della
letteratura in una visione epica e grandiosa.
È
una ricerca affidata al racconto di vite semplici, sullo sfondo l’Islanda di fine
Ottocento con personaggi che restano indelebili nella memoria del lettore. Difficile
ricordarne i nomi per la loro impronunciabilità in italiano, ma i caratteri
rimangono impressi pur se accennati con poche pennellate. Sono commoventi in sé
stessi nella loro semplicità, spesso completamente fagocitati in una società
rigida che li vincola e non permette loro cambiamenti, a volte, ormai arresi, hanno
rinunciato a evolversi, a volte, ribelli e generosi coinvolgono gli altri nella
novità, tutti toccati dallo sguardo trasparente del protagonista che smuove le
coscienze.
Protagonista
è “il ragazzo” che compie un viaggio epico di formazione: nel primo romanzo
affronta il mare, nel secondo il gelo e nel terzo infine il suo cuore e, nella
sua ingenuità, nella sua purezza, nelle domande che pone e si pone, smuove le
coscienze e nessuno, dopo averlo conosciuto potrà restare lo stesso di prima. Il
suo viaggio si trasforma nella ricerca del senso della vita e della scoperta
dell’importanza delle parole.
Il
tutto si svolge in un tempo dilatato che fluisce e rifluisce come nelle maree e
che è accentuato dal ritmo della scrittura. Attraverso la parola, soprattutto
quella scritta nelle lettere che il ragazzo invia e che riceve, si sconvolgono
esistenze che cambiano, rischiano, si mettono in gioco, si assumono
responsabilità. I poeti letti dal ragazzo e le loro citazioni lo accompagnano
in un viaggio di crescita commovente. Commovente è anche il circolo di persone
radunato dall’altra protagonista, quella Geirþrúđur che accoglie miserabili e
spiantati e dà loro una seconda possibilità, una donna libera giudicata in modo
malevolo dal resto degli abitanti.
È
molto difficile commentare la trilogia e Il cuore dell’uomo in particolare perché,
come indica Alessandro Zironi nella postfazione di quest’ultimo romanzo, Stefansson
è un poeta e la mescolanza linguistica usata lascia disarmati; dare un giudizio
usando le solite parole sembra quasi possa “sporcare” quanto letto. Si apprezza
il libro non solo per la complessità della narrazione o per gli innumerevoli
spunti di riflessione, ma per l’emozione spiazzante di cui si è preda durante
la lettura.
C’è
un coro di agenti esterni evanescenti che racconta il percorso del ragazzo e ci
si chiede cosa siano: morti in mare, stelle, mare, tenebre, luce? Non importa, la
loro voce, come un coro greco racconta la solitudine, la fatica, l’incertezza,
la speranza, l’amicizia, l’amore, il potere della poesia che illumina.
“Vivere è un
percorso lungo e complesso, vivere è fare domande.”
Il
viaggio del ragazzo si rifà esplicitamente a Ulisse e a Milton e si conclude
nel Paradiso perduto del proprio cuore. Alla fine il ragazzo si rende conto che
libri e conoscenza, nonostante la premessa, non rendono felici, prima viene
sempre la vita, che deve essere dignitosa e obbediente al proprio cuore
altrimenti si diventa un’ombra grigia.
“Non si può vivere
solo perché non si è morti, è un tradimento. Bisogna vivere come le stelle, e
splendere.”
“Che inferno avere
braccia e nessuno da abbracciare”.
Il
libro si può leggere indipendentemente dagli altri componenti la trilogia, ma non
leggerli sarebbe veramente una perdita immensa.
Genere
narrativa
Anno
di pubblicazione 2011
In
Italia 2014
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