Barabba - Pär Fabian Lagerqvist
Recensione di Miriam Donati
“Dio
è morto”
L’autore,
premio Nobel, ce lo dice con una scrittura cupa, scostante, essenziale. La scrittura
indugia su brevi scene “teatrali”, semplificando situazioni complesse, fissando
in lampi pittorici che richiamano Caravaggio per i chiaroscuri e fondali affollati
come quelli di Brueghel o Hieronymus Bosch per le azioni del protagonista e
degli altri personaggi.
Bar-abba,
vuol dire figlio del padre e il nostro diventa nel racconto un parricida
inconsapevole riportando come ricordo dell’avvenimento una vistosa cicatrice,
un segno di riconoscimento indelebile.
Lagerqvist
sceglie Barabba come simbolo dell’uomo che, nonostante sia permeato dalla
voglia di credere, non può e non ci riesce, per dimostrare la sua teoria: si
può credere in Dio solo per cieca fede.
In
sole 142 pagine, però densissime, caratterizza un personaggio che, condannato a
morte, è salvato una prima volta dal Cristo – lo sarà una seconda – si
interroga, osserva, spia, cerca di capire per tutta la vita il motivo per cui è
stato salvato. Dalla resurrezione di Gesù in poi, attraverso molteplici
incontri con i discepoli e con chi ha conosciuto Gesù, sarà testimone del loro
comportamento caritatevole e avrà tutti gli elementi per una conversione, ma
non rinuncerà mai alla sua logica e, in fondo, alla sua solitudine.
Ha
modo di rivedere i suoi atteggiamenti precedenti alla luce di quanto
accadutogli, ma le sue reazioni sono sempre o tardive o controproducenti o
inutili.
Ci
sono passaggi particolarmente strazianti e toccanti come il trasporto notturno
attraverso il deserto del corpo dilaniato dell’amica lapidata e la sua sepoltura
in una caverna, già tomba del suo bambino. Passaggi che sono messi ancor di più
in risalto confrontati con la scrittura generale che è asettica e con una
struttura e uno stile del testo molto scabri ed essenziali, a volte, secondo me,
un po’ troppo semplicistici, forse dovuti alla traduzione.
Barabba,
raggiunta Roma a vent’anni dalla crocifissione di Gesù, è scambiato per
cristiano senza essersi mai convertito ed è condannato. L’unica sua certezza infine
è quella della morte a cui si affida.
Se
non ha potuto credere Barabba con le occasioni avute, come può farlo un
“credente senza fede” e “ateo religioso” come si definiva Lagerqvist con un
efficace ossimoro o un ateo attuale che ha smesso di interrogarsi sul senso
della vita e che non può, come Barabba, confrontarsi con i discepoli di Cristo?
Lagerqvist sembra dirci che il tempo delle domande su Dio sia purtroppo irrimediabilmente
finito insieme all’uomo.
In un particolare percorso di lettura che affronti la
storia di Gesù raccontata da scrittori non credenti, ma “spirituali”,
accompagnerei questo libro con Giuda di Amos Oz, Il vangelo secondo Gesù Cristo
di Josè Saramago e Penultime notizie circa Jeshu/Gesù di Erri De Luca.
Genere Narrativa
Anno di pubblicazione 1950
Versione italiana 2004
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