L'EREDITA' DI VILLA FREIBERG - Romina Casagrande -
recensione a cura di Elisa Caccavale
Con questo romanzo Romina
Casagrande ci regala una vicenda toccante che indaga su un aspetto noto, ma mai
abbastanza sviscerato, celato tra silenzi colpevoli e volontarie rimozioni
della Storia.
Il romanzo parte da fatti
realmente accaduti in Alto Adige: le vicende che hanno visto protagoniste due
donne e una villa di famiglia, e il mostruoso esperimento Aktion T4, il nome
con cui si designa il programma nazista di eugenetica.
Le vicende che si
intrecciano in questa narrazione sono molte: quelle di Bess, di Albert, di
Emma, di Benjamin, di Kiki, di Frau Anna e suo marito Enea e molti altri; i
fili della narrazione sono ben dipanati, ci si muove tra passato e presente con
chiarezza e i fatti della Storia si fondono in modo armonioso con quelli della
storia.
La parte migliore del romanzo, nonché la più
drammatica, è quella che ruota intorno alle vicende ambientate nel 1944 e alla
storia di Benjamin, vittima innocente ed incolpevole della follia umana; parti
che fanno stringere il cuore in una morsa di dolore, soprattutto pensando che
quanto narrato in queste pagine è vero, è successo veramente a tanti bambini e
bambine, ragazzi e ragazze, uomini e donne colpevoli solo di non rispondere a
determinati canoni e le cui “vite senza valore” hanno trovato, per i nazisti,
uno scopo solo nel loro renderli cavie; per poi mandarli a morire. Migliaia di
persone i cui nomi sono andati persi nel vento e nel tempo.
Rispetto a questa linea
narrativa l’altra, quella ambientata nel presente, perde un po’ di consistenza;
i personaggi sono caratterizzati in modo piuttosto schematico, vivono emozioni
forti e totalizzanti senza che le motivazioni psicologiche siano ben sviluppate
e chiarite, alcuni personaggi restano sullo sfondo senza che si capisca fino in
fondo il loro ruolo nella vicenda. Anche in questo caso la parte ambientata nel
1944 è migliore: l’autrice riesce a rendere vibranti i sentimenti del lettore
nei confronti dei personaggi (Emma. Benjamin, Frau Anna, Enea …) senza eccedere
in spiegazioni o caricare troppo i tratti caratteriali, che emergono comunque
con forza (impossibile non detestare, ad esempio, Frau Anna, nonostante
l’autrice non carichi mai il tono contro di lei).
Lo stile di scrittura è
molto ricercato, poetico, sicuramente pregevole, anche se talvolta eccede un
po’ troppo nell’autocompiacimento delle sue parole, a scapito della
comprensione di certi passaggi importanti; alcune svolte rilevanti nello
sviluppo della trama vengono lasciate piuttosto fumose, il lettore deve mettere
una sua parte di interpretazione per colmare i buchi: questa è ormai una
tecnica narrativa a cui siamo abituati (anche nell’ambito cinematografico) e
che va per la maggiore. Come tutte le mode personalmente ritengo abbia un po’
stancato, preferirei un ritorno a libri che riempiano ogni spazio, che si
concludano veramente, che portino il lettore verso un commiato definito e ben
concluso; temo però che dovrò attendere ancora a lungo.
Ad ogni modo, in
conclusione, un libro che si legge volentieri, ma soprattutto un libro
importante che contribuisce a ridare voce e memoria a chi voce e memoria, per
troppo tempo, non ha avuto.
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