giovedì 8 ottobre 2020

INTERVISTA A VALERIA CORCIOLANI

 



Oggi nello spazio interviste ho il piacere di ospitare l’autrice Valeria Corciolani. Benvenuta nel mio blog e grazie per avermi dedicato un po’ del tuo tempo.

 

Prima di parlare diffusamente dei tuoi libri, e di tante altre belle cose, ti faccio qualche domanda di carattere generale, per conoscerti un po’ meglio. Sono le domande che io chiamo “necessarie”, forse un po’ banali, ma alle quali non ci si può proprio sottrarre. Pronta? Allora Valeria raccontaci un po’ di te dove nasci e vivi, la tua formazione, qual è il tuo lavoro e poi dicci come nasce l’idea di scrivere romanzi.

 

Grazie mille dell’invito Gino!

Nasco e vivo da sempre a Chiavari, in provincia di Genova, quindi una ligure d.o.c., sì, ma con una leggera stemperata di geni emiliani da parte dei nonni paterni. Amo moltissimo il luogo in cui vivo, che raccoglie tutti i pregi e i difetti delle tipiche cittadine di provincia, ma qui sta il suo bello: è una miniera di spunti, idee e saporite microstorie, in un brulicare di vite e segreti che si gonfiano e si sgonfiano passando di bocca in bocca. E poi c’è il mare, sconfinato immenso, ma nello stesso tempo culla e rifugio. Il mare è da sempre la mia fuga e nel suo abbraccio ritrovo il mio “centro”: l’acqua si ingoia i pensieri molesti e tornano a galla solo le intuizioni migliori.

La mia formazione si è mossa seguendo i percorsi dell’arte: diploma di Istituto d’Arte e di Accademia delle Belle Arti, infatti il primo approccio al mondo dell’editoria è stato come illustratrice e cartoonist. In realtà il mio “sguardo” non è cambiato poi di molto, ho solo modificato “prospettiva”: prima raccontavo storie con le immagini, ora le racconto anche con le parole.
Ho realizzato che scrivere poteva diventare una faccenda seria dopo, grazie all’inaspettato e travolgente riscontro dei lettori: un po’ come partire con l’idea di assaggiare con l’alluce l’acqua del bagnasciuga e trovarsi felicemente catapultati nella traversata a nuoto della Manica. L’avventura è iniziata nel 2010 con “Lacrime di coccodrillo” per Mondadori, e da lì non mi sono più fermata. Ora la scrittura è la mia attività principale, ma non ho abbandonato l’illustrazione e neppure gli incontri con le scuole, oasi che salvaguardo con le unghie e con i denti: lavorare con bambini e ragazzi porta a rinnovarsi sempre e non adagiarsi mai, spalancandoti ogni volta orizzonti inaspettati.

 

 

Oltre a scrivere sei anche una lettrice? Hai un genere preferito? Preferisci gli e-book o il libro cartaceo?

 

Be’, direi che la passione per la lettura si è tirata dietro quella per la scrittura. L’amore per il “libro” è nato prima ancora di saper leggere: da bambina ero abbastanza iena (del genere mi spezzo ma non mi piego, per intenderci) e tra le altre cose non mangiavo nulla, così mi imboccavano a tradimento leggendomi le favole e le filastrocche de “I Quindici”, qualcuno se li ricorda? Vabbè, per dire che la scrittura è venuta fuori di soppiatto, quasi senza che me ne accorgessi.

In realtà quando leggo non mi pongo più la differenza di genere, specialmente da quando pensavo di non amare il fantasy e poi mi sono ritrovata ad aspettare l’uscita del nuovo Harry Potter con le unghie artigliate alla saracinesca della libreria dalla mezzanotte del giorno prima!

Quindi se un libro mi “agguanta” lo leggo e bon, a prescindere dal genere e dal colore. E poi la lettura è anche una faccenda molto “umorale”, no?, facile che spazi tra i generi a seconda del momento, anche perché leggere è la mia stanza tutta per me, dove la sera mi ripulisco dai pensieri immergendomi in storie non mie, spazio vitale di cui non posso assolutamente fare a meno.

Ciò che domando a un libro è che sappia afferrarmi con la buona scrittura, anche perché l’incalzare della trama mi avvince ma non è indispensabile: quello che mi cattura davvero è incontrare i personaggi, entrare nella loro vita e camminargli accanto come se li conoscessi da sempre.

 

 

Da dove nascono le tue storie. Elabori notizie che leggi o sono esclusivamente di fantasia?

 

Tante volte ti domandi (e ti domandano) come nasce l’idea di un romanzo. Per gli altri autori non so, ma nel mio caso, be’ si tratta sempre di un caso: la frase di una canzone, il fotogramma inquadrato dal finestrino del treno, il dialogo origliato in attesa dal medico, una notizia di sfuggita al TG mentre stai preparando la cena. Insomma, una scheggia da niente che per qualche motivo fa tana tra le volute cerebrali e resta lì, a fermentare.

L’idea della coppia improbabile de “La colf e l’ispettore” ad esempio è nata proprio mentre pulivo casa (due figli adolescenti, un marito sempre di corsa e un felino, avete presente? Ecco, questo per dire che ho visto cose che voi umani… ;)) insomma, mi son trovata a pensare: in fondo, chi meglio di una colf riesce a infilarsi nelle pieghe più nascoste delle vite altrui? E così ha preso vita Alma Boero che, volente o nolente, con il suo lavoro entra in questi micro universi e scopre inevitabilmente “cose”. E poi chi c’è di più invisibile di una donna delle pulizie? Ecco, dopo un attimo questa idea aveva già messo le tende nella mia materia grigia, pronta a lievitare per srotolarsi tra le pagine del nuovo romanzo.

 

 

Hai solitamente una scaletta prefissata o ti fai condurre dalla narrazione?

 

Vere e proprie scalette no, il grosso della storia si sviluppa mano a mano che scrivo, come se io stessa leggessi la storia scritta da un altro: non so esattamente dove mi porterà, che direzione imboccherà, personaggi che ritenevo secondari prendono forza e vita fondendosi con i principali, mi affeziono ad alcuni di loro e decido di dargli nuove possibilità, deviazioni, nuovi impasti, insomma so come comincia e (più o meno) come andrà a finire, ma il cuore della vicenda la scopro solo scrivendo. E il romanzo corale mi permette di raccontare tante storie parallele che poi convergono nella trama principale e ciò mi diverte tantissimo. Per questo a volte capita che la faccenda si dirami dove non avevo previsto neppure io!

Confesso che da lettrice la trama fine a se stessa mi annoia molto. Io sono una che ama rileggere i romanzi che ama, e li amo proprio perché non si esauriscono con la trama: so già come sarà l’epilogo, ma non mi interessa: ciò che conta sono i dialoghi, le descrizioni, il divertimento e l’emozione che provo leggendo.

 

 

Quando scrivi deve esserci assoluto silenzio o ti concentri meglio con una buona base musicale? Scrivi quando riesci o preferisci un momento particolare della giornata?

 

Già, uno si immagina quelle faccende alla Hemingway, vero?, una bella scrivania, bicchiere pieno, il silenzio rotto solo dalla brezza dell’Avana…

No.

Infatti ora cancellate tutto e visualizzate invece una tizia bastevolmente stravolta artigliata al suo portatile, che vaga come una profuga per la casa alla ricerca non di silenzio, figurarsi, che tra figli che studiano chiacchierano o suonano, amici dei figli che chiacchierano studiano e suonano, felino invadente e marito che entra e esce come un tornado, il silenzio in casa sua è da pura fantascienza, no, lei si accontenterebbe di un angolino riparato e bon. C’è da dire che una volta “entrata” nella storia è come infilarmi in una specie di bolla e allora riesco a scrivere ovunque, persino sul treno.

La musica invece non l’ascolto mai mentre scrivo, come non amo ascoltarla mentre leggo, sono due passioni che preferisco gustare separate. Però se dovessi scegliere un base musicale: sono granitica negli affetti, ma estremamente volubile e in ricerca per tutto il resto, quindi la mia colonna sonora potrebbe essere il Canone di Pachelbel, dove sul basso ostinato e immutabile degli affetti si rincorrono le mille mai uguali variazioni della curiosità, del cambiare orizzonte e della scoperta.

 

 

 Ti è capitato certamente di presentare i tuoi libri in pubblico? Preferisci un moderatore che ti pone le domande “giuste” o preferisci lasciare far fare le domande direttamente al pubblico?

 

Devo dire che le domande del pubblico e dei lettori sono quel valore aggiunto che sa trasformare un incontro piacevole in un qualcosa di davvero speciale, quindi le amo moltissimo, sì.

 

 

Valeria, tu hai scritto tantissimi libri. Romanzi ed anche racconti. Le tue prime eroine furono Guia e Lucia. Invece nel romanzo Il morso del ramarro hai scelto altri protagonisti. Poi dal 2017 è iniziata la vera e propria saga di Alma e Jules, La domanda potrebbe apparire quasi inutile ma te la pongo lo stesso. Di norma preferisci scrivere libri stand alone o ti trovi più a tuo agio con personaggi seriali? La mia curiosità maggiore è Alma e Rosset erano nati per esistere in un solo romanzo (o al massimo un paio come Guia e Lucia) oppure era già nelle tue intenzioni farli diventare dei personaggi seriali?

 

No, Alma e Jules non erano nati per diventare una serie, o almeno: i presupposti volendo c’erano, ma non pensati e costruiti per quello scopo. È stato l’entusiasmo dei lettori a “chiamare” un seguito. Confesso che quando mi è stato chiesto di farla diventare una serie non ero proprio felicissima, temevo di annoiarmi e quindi di annoiare, invece la scelta di non “cristallizzare” i personaggi ma farli evolvere man mano si è rivelata forse la carta vincente: perché ciò che vivono e le situazioni che attraversano inevitabilmente li cambia, esattamente come accade nella vita. E poi ogni nuova avventura si tira dietro un corollario di figure nuove e nuovi piccoli universi tutti da raccontare, ed è ciò che amo di più.

 

 

In questo spazio ho il piacere di chiacchierare con bravissimi autori. Quelli che passano di qua sono gli scrittori che io amo di più. Sono quelli che mi hanno veramente emozionato con i loro romanzi. Sono però, quasi esclusivamente, autori self publishing, perché io credo molto a questa soluzione per pubblicare un libro. E cerco nel mio piccolo di dargli più visibilità possibile. In questo campo il tuo è stato un percorso particolare. Hai iniziato con Mondadori poi sei passata a Emma books e da Acqua passata in poi, cioè tutta la serie della colf e l’ispettore, hai preso Amazon come casa editrice. Mi racconti se vuoi questo percorso e poi perché hai deciso di utilizzare Amazon anche come editore? Quanto è limitante avere solo un mercato on line?

Con Mondadori ho imparato moltissimo sulle dinamiche editoriali, mentre con Emma Book è stato come entrare in una effervescente famiglia piena di entusiasmo e collaborazione, grazie a loro ho anche scoperto il mondo ricco e sfaccettato dei blog, capaci di far funzionare il meraviglioso “passaparola” dei libri, e che con Mondadori mi era mancato.

Quanto ad Amazon, sono stati loro a cercarmi: Alessandra Tavella, allora editor di Amazon Publishing, era rimasta colpita dalle numerose recensioni positive e dalle alte vendite dei miei romanzi sugli store, così si li è letti tutti e poi si è rivolta all’Agenzia Letteraria che mi segue dal mio esordio in Mondadori per sapere se avevo qualcosa di nuovo in produzione. Amazon Publishing infatti, a differenza delle altre case editrici, accoglie in lettura solo manoscritti che abbiano passato il vaglio di un’Agenzia Letteraria, per garantirsi già di partenza un prodotto di qualità. Forse non tutti sanno che Amazon Publishing nasce in Italia come casa editrice solo da pochissimi anni, per questo molti la confondono ancora con il Self publishing. Invece Amazon Publishing è una casa editrice esattamente come quelle tradizionali: ha i suoi editor, i suoi grafici, e una cura particolare nella scelta degli autori (tanto è vero che, come dicevo prima, non accetta manoscritti che non abbiano già passatoi il vaglio di un’agenzia letteraria). Quando ho ricevuto la loro proposta ero un po’ perplessa: da ex libraia non mi piaceva il fatto che in Italia (e nel resto del mondo non è così) libri non fossero presenti fisicamente sugli scaffali delle librerie.

Poi ho scoperto che in realtà i libri Amazon Publishing i librai possono gestirlo esattamente come gli altri e infatti qualcuno lo fa, ma sono davvero pochissimi, Amazon è visto un po’ come l’Orco, e li capisco, anche se mi dispiace. Senza contare che questo fatto automaticamente li esclude da molti Premi e Festival letterari, come spesso accade anche con i romanzi self publishing e quelli solo digitali.

Quanto alla casa editrice non posso che dirne bene: scrupolosi, attenti, coccolano gli autori come una piccola casa editrice che però fa numeri enormi sia in Italia che all’estero, so esattamente quante copie vendo di ora in ora e persino in quel parte del mondo. Un’ottima esperienza, insomma.

Per ciò che riguarda il self publishing non ho esperienza se non da lettrice, e concordo con te Gino sul fatto che ci siano veramente tanti romanzi di qualità che meriterebbero molta più visibilità, cosa che a tu fai con il tuo meraviglioso passaparola!

 

Ma eventualmente ti contattasse una casa editrice con un progetto serio la prenderesti in considerazione?

 

Eh, qui c’è una piccola novità: è successo, infatti ora sto scrivendo una nuova serie con nuovi personaggi per una grande casa editrice, l’offerta è stata davvero stuzzicante e mi sto divertendo moltissimo!

 

 

Ora finalmente iniziamo a parlare dei tuoi libri. Passiamo ad analizzare il tuo ultimo libro. Quando lo hai scritto e cosa ti ha ispirato?

 

Si tratta della penultima avventura de “la colf e l’ispettore”, l’ho terminato pochi mesi fa (ogni nove mesi ne devo sfornare uno, quasi un piccolo “parto”, insomma ;)) e il desiderio era quello di far compiere ai nostri un viaggio reale, sì, ma anche un vero e proprio viaggio nel passato dell’ispettore Rosset, per conoscere il suo “prima”, chi era, cosa lo ha cambiato, per provare a comprendere le sue scelte e perché no, anche i suoi spigoli.

 

 

Dicci il titolo e raccontaci un po’ la trama, dove è ambientato, i suoi personaggi principali. Facci venir voglia di leggerlo. Forse è giusto ricordare brevemente anche gli altri libri della serie che raccontano delle indagini di Jules Rosset e di Alma Boero. Quest’ultimo pubblicato è il quinto che li riguarda, vero?

 

Il titolo è “Peggio per chi resta”, anche questa volta tratto da un vecchio proverbio: “Male per chi va, peggio per chi resta”.

Tutto comincia come una vacanza, ma dopo neppure tre ore diventa uno dei casi più destabilizzanti che l’ispettore Jules Rosset si sia mai trovato ad affrontare: Lia Favre, una sua amica di infanzia (e primo grande amore) è scomparsa senza lasciare traccia, catapultando Jules in un passato che avrebbe preferito non far tornare a galla.

Ci penserà Alma a cercare di annodare i fili tra presente e passato, anche se la trasferta scombussola pure lei. A dar loro manforte l’immancabile Alfonsina, coadiuvata questa volta dal liscio sapere contadino della signora Bruna e dalla combattiva viceispettrice di Aosta, Piera Jantet.

Piano piano i nodi vengono al pettine, anche più di quelli che ci si aspettava: perché “è male per chi va”, certo, ma a volte è forse “peggio per chi resta”. E come avrete capito questa volta c’è un cambio di scenario: abbandoniamo il salmastro della riviera per raggiungere i luoghi dove l’ispettore Rosset è nato e cresciuto: la Valle d’Aosta, dove Jules e Alma, con tanto di prole e suocera al seguito, pensavano di concedersi una breve vacanza. Pensavano, appunto, perché come dice Jules: chi torna da un viaggio non è mai la stessa persona che è partita.

 

 

Hai dovuto fare un lavoro di studio degli argomenti trattati o li hai ambientati in luoghi e descritto situazioni che conosci bene?

 

Ambienti e situazioni di solito li conosco bene, ma quasi sempre scrivere ti porta a studiare, documentarti, scavare e domandare, sempre. Però è giusto avvertire che spesso e volentieri scrivere ti porta a spremere chi ne sa per scoprire fin dove puoi spingerti a piegare la scienza a uso e consumo della trama che hai in testa, per questo è giusto avvisare che sempre di romanzo si tratta, e come tale va letto.

 

 

Secondo te c’è un pubblico specifico per questi libri?

 

Editorialmente parlando il mio è un “genere” del genere, nel senso che si tratta di un genere incasellato nei “Gialli\thriller” ma con tratti ironici e divertenti tipici della commedia, quindi ogni tanto si ride senza incappare in morti troppo cruente o smembramenti di arti, quindi adatto a un pubblico ampio e variegato, che va dagli adolescenti ai centenari ;). E comunque sì, come è facilmente intuibile questa dei “generi” non è un’etichettatura programmata a raccogliere le sfumature, tanto più che per iniziale del cognome capito sempre accanto a nomi “thrillerossissimi” tipo Carrisi Connely Cornwell… ecco, appunto.

Ma a quanto pare i lettori sono sempre due curve avanti, e la cosa funziona comunque.

 

 

Facci un piccolo excursus nella tua bibliografia. Hai pubblicato altri romanzi precedentemente a questo. A quale genere appartengono? Stai scrivendo qualcosa in questo periodo? Hai già previsto di scrivere un sesto capitolo della storia di Jules e Alma?

 

Tutti ascrivibili al genere commedia\giallo\noir, compresi i racconti. Ecco, tra tutti forse il meno “giallo” è “Pesto dolce”, anche perché mi avevano domandato di scrivere un racconto rosa che avesse a che fare con il cibo, solo che più che rosa è venuto fuori un po’… boh, arancione direi ;).

 

Ecco tutti i miei romanzi e racconti in ordine di apparizione:

per Mondadori Lacrime di coccodrillo (riproposto da Emma Books)

Il Gatto, l’Astice e il Cammello (Antologia “Giallo Panettone”, Mondadori, ora Emma Books) Mephisto (Antologia “Animali noir”, Falco Editore e ora Oakmond Publishing).

Per Emma Books Il morso del ramarro (finalista al Premio internazionale di letteratura Città di Como 2015), il racconto Pesto dolce – la ricetta della possibilità e La mossa della cernia.

Acqua passata, Non è tutto oro, A mali estremi, E come sempre da cosa nasce Peggio per chi resta (Amazon Publishing)

La favola per bambini “Mai perdere la testa” Erba Moly editore.

 

 

 

Prima dei saluti finali mi piacerebbe avere da te un’opinione del mondo nel quale ti muovi. Secondo me molti scrittori non hanno la considerazione che meriterebbero. Che il loro talento pretenderebbe. Io nel mio piccolo ne ho conosciuti (letti) tanti, che meriterebbero molto più successo di quello che hanno. Tu sei senz’altro uno di questi. Se non si entra nelle grazie di qualche grande casa editrice che, bontà sua, decide che il tuo romanzo “debba” avere successo, diventa davvero difficile “diventare famosi” ed avere un po’ di gloria scrivendo libri. Deve essere frustrante sapere di avere grandi capacità, esprimerlo anche con ottimi romanzi, ma non riuscire a “far passare” l’informazione. Non riuscire a far capire al lettore che oltre ai soliti noti c’è molto altro. Cosa ne pensi?

 

L’editoria è un mondo strano e insondabile, per certi versi molto simile a quello musicale e cinematografico.

Cosa determina il successo di un libro, un disco, un film?

Una volta un mio amico e famoso scrittore, Carlo A. Martigli, mi disse:

«Per scrive un romanzo di successo sono necessarie solo quattro C e così suddivise

Creatività 10%

Cultura 10%

Capacità di scrittura 10%

Culo 70%»

 

Credo che non ci sia bisogno di aggiungere altro.

 

 

Ti ringrazio della bella chiacchierata, ti auguro tanta fortuna e spero che non si affievolisca mai la tua voglia di scrivere perché sei veramente brava. Se ritieni puoi aggiungere qualcosa che magari ritieni importante far sapere ai lettori….

 

Grazie infinite a te Gino! E cos’altro posso dirvi se non: leggere leggere leggere. Sempre. Perché sì, leggere rende liberi e più bella cosa non c’è.

 

Di nuovo grazie. Complimenti ed a presto.

 

 

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Nota bene: Rispondendo alle domande di questa intervista viene dato il consenso alla sua pubblicazione sul blog Un libro di emozioni e sui social ad esso legati.

 


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