mercoledì 18 giugno 2025

OGNI MATTINA A JENIN

 




Ogni mattina a Jenin Susan Abulhawa .

recensione a cura di Miriam Donati


Dalla "nakba" o cataclisma che ha visto l'invasione della Palestina o, per dirla in altro modo, la fondazione dello Stato di Israele sono passati 77 anni.

Mi aveva sorpreso quando lo lessi per la prima volta più di dieci anni fa che Ogni mattina a Jenin fosse stato il primo romanzo mainstream in inglese a esplorare la vita nella Palestina post 1948 e vale la pena ricordare che la stabilità e la distanza di cui la letteratura ha spesso bisogno sono state scarse per i palestinesi.

L’ho ripreso sull’onda delle notizie che ci arrivano quotidianamente da Gaza, dove orrore e dolore si mescolano all’impotenza.

Il libro di Susan Abulhawa trasporta nell’aspra geografia di Palestina e Israele e nel cuore della lotta tra due parti bloccate in un conflitto senza fine, esaminando quel conflitto dal punto di vista di una scrittrice palestinese. Narra la storia di una nazione e di un popolo attraverso racconti di vite ordinarie vissute in circostanze straordinarie. Poco sensazionale, a volte persino ingenuo, ha un'atmosfera che permette agli eventi di parlare da soli.

La storia segue le vicende della famiglia Abulheja, palestinesi, obbligati a lasciare le loro case a Ein Hod nel 1948 dai soldati israeliani e trasferiti in massa a Jenin, un campo profughi in Cisgiordania, soprattutto attraverso Amal, nipote del capostipite, con le drammatiche vicende dei suoi due fratelli, costretti a diventare nemici: il primo rapito da neonato e diventato un soldato israeliano, il secondo che invece consacra la sua esistenza alla causa palestinese. E, in parallelo, si snodano amori, lutti, matrimoni, maternità e, soprattutto la storia della Palestina, intrecciata alle vicende di questa famiglia che diventa simbolo delle famiglie palestinesi nell'arco di quasi sessant'anni.

Il capitolo finale è ambientato a Jenin nel 2002, all'indomani dell'attacco militare israeliano e della battaglia che è durata dodici giorni provocando distruzione e morte.

L'autrice illustra scrupolosamente l'impatto del conflitto sulle vite individuali, esplorando le profondità emotive dei suoi personaggi, illustrando soprattutto il peso della perdita e della memoria.

Tutti i personaggi sono dipinti con pennellate sfumate, rivelando le loro speranze, sogni, paure e momenti ordinari. Questa molteplicità consente la comprensione di come gli stessi eventi possano influenzare gli individui in modo diverso e mette in evidenza l'impatto intergenerazionale del trauma dello sradicamento.

Le donne nella storia sono ritratte non solo come vittime, ma come partecipanti attive alla lotta per il ritorno alla normalità. Attraverso il viaggio di Amal, la protagonista, la narrazione sfida le percezioni tradizionali delle aspettative di genere e mette in mostra la resilienza e la forza delle donne. Inoltre, l'intreccio di momenti di gioia e amore in mezzo alla disperazione è una testimonianza della resilienza umana; anche se il libro ritrae la dura realtà della vita in un campo profughi, pur nelle circostanze più cupe, i personaggi trovano momenti di risate, unione e speranza.

L'autrice trova un delicato equilibrio tra narrazione e commento sociale, stimolando a riflettere criticamente sulle implicazioni più ampie della narrazione. La trama tocca le complessità della resistenza, della vendetta e dell'impatto della presenza militare sulla vita dei civili, mantenendo una narrazione profondamente personale.

Lo stile di scrittura di Abulhawa esalta la risonanza emotiva della narrazione. L’uso che fa del simbolismo in alcuni tratti arricchisce il testo sollecitando i lettori a interagire su più livelli.

Uno dei temi centrali è il modo in cui il conflitto rimodella le identità individuali e collettive. I personaggi più giovani come Amal crescono in un mondo in cui la loro patria non è più la loro, il che li porta a mettere in discussione il loro senso di sé e di appartenenza mentre sono alle prese con sentimenti di confusione, perdita e rabbia.

La capacità della famiglia di mantenere i legami, di trovare momenti di gioia e di sostenersi a vicenda evidenzia l'imperativo della speranza anche in situazioni difficili, dimostrando che la resilienza passa attraverso le relazioni inducendo a desiderare un futuro nonostante l'incertezza.

Un altro tema chiave è il ruolo della memoria del trauma, in particolare nel plasmare le vite e le esperienze dei personaggi. Abulhawa mostra come i traumi del passato perpetuino cicatrici emotive che possono influenzare le generazioni future. Questo tema è particolarmente rilevante nel contesto delle tragedie storiche, in quanto esplora come il dolore non guarito possa manifestarsi in vari modi. Le continue lotte dei personaggi con i loro ricordi sottolineano la necessità di comprensione, guarigione e riconoscimento delle ingiustizie passate.

Nel libro ci sono episodi realmente accaduti, c'è la storia di un popolo che è stato sradicato dalla propria terra, e di un altro popolo in cerca di un paese da chiamare casa. Ci sono due punti di vista politici opposti che si danno battaglia. Nonostante la tesi di fondo sia filo-palestinese, non punta a screditare l'altra fazione, ma la nobilita inserendo personaggi ebrei di notevole spessore, fra cui l'amico d'infanzia del padre di Amal, Ari Perelstein.

Il romanzo intreccia realtà personali e politiche, trascinando i lettori nelle vite dei personaggi e illuminando i temi più ampi del conflitto, dell'identità e della resilienza ispirando la riflessione e la discussione. In un mondo sempre più polarizzato, ricorda la nostra umanità condivisa e la ricerca universale di pace e comprensione. In sintesi, Ogni mattina a Jenin è una lettura toccante ed emotiva che trascende i confini della narrativa storica.

Un libro così con una storia che si eleva al di sopra della politica e tocca le corde emotive dei lettori, con stile e grazia aiuta la causa palestinese ad avere giustizia più di mille proclami e conferenze.

Ed è per questo che è apprezzabile al di là dei difetti che per me ci sono: la scrittura in generale è troppo esplicativa e a volte didascalica, ha punte efficaci, quasi poetiche e punte ridondanti, il linguaggio figurato è carico di metafore e similitudini, che conferiscono al testo (specialmente negli ultimi capitoli) un tono a volte troppo enfatico. L’alternanza fra la terza e la prima persona è calzante in particolare nei momenti di maggiore tensione, in altre parti resta però sconnessa.

 

Genere Narrativa storica

 Anno di pubblicazione 2010

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