Lezioni di letteratura russa - Vladimir Nabokov –
recensione a cura di Patrizia Zara
“Il vero passaporto di uno scrittore è la sua arte” V. N.
Comincio subito con il dire che le lezioni dell’“acribioso” professore
universitario di letteratura russa, alias lo scrittore Vladimir Nabokov, quello
di Lolita per intenderci, mi sono piaciute tantissimo.
Originalità, Inventiva, Esuberanza, Ardore ecco come posso riassumere la
lettura. Mai, dico mai, un momento, un secondo, un microsecondo di noia.
Nondimeno, lo dico con cognizione di causa, per apprezzare le pagine ricavate
dalle lezioni americane del prof. Nabokov, bisogna, in primis, stare al gioco
del singolare accademico: sedersi morbidamente e serenamente nel banco e
lasciarsi incantare dalle sue parole, dalle sue battute, dalle sue allusioni,
dalle sue provocazioni, lasciarsi rapire dalle sue interpretazioni
irresistibili, dalle sue esaltazioni (mirabile il suo Tolstoj) e dalle sue
stroncature (dinamico il conflitto con Dostoevskij). Soltanto così si possono
apprezzare le sue incomparabili lezioni, il cui approccio risulta del tutto
individuale sganciato dalle consuetudini, dalla didattica e dalle mode della
critica letteraria, sulla grande letteratura russa dell’Ottocento, reputata
l’epoca d’oro e che ancora oggi viene considerata unica per la composita
struttura narrativa, per lo stile sanguigno e per la vocazione naturale verso
la giustizia civile.
In seguito lo studente/lettore può anche dissentire su alcuni punti perché è
pronto, avendo appreso le chiavi di lettura ovvero ha acquisito il metodo
nobokiano che lo farà entrare nella quiddità dell’opera, per sentirsi parte
dinamica e intraprendente dell’opera stessa con grande soddisfazione del nostro
professore che ha raggiunto il suo scopo: con le sue enfatiche e
meticolose lezioni ha scrostato la patina di provinciale mediocrità che ne
impediva la condivisione attiva e personale.
Con la lettura di “Lezioni di letteratura russa” i lettori apprenderanno,
anche, dall’ardita ma genuinamente passionale voce del prof. Nabokov che la
lettura dei grandi classici, e della buona lettura in genere, non insegna a
vivere: l’aspetto prosaico dell’esistenza è innegabile e incancellabile anche
se i bisogni esistenziali si riducono allo stretto indispensabile. Del resto
non è questo lo scopo della letteratura, non ha alcun fine di sublimare
esistenze o sottolineare grandezze e neppure inviare espliciti messaggi
sociali, politici e psicologici “la letteratura non riguarda qualcosa, ma è la
cosa in se stessa, la quiddità”. E' in questo ultimo punto che lo scontro
con Dostoevskij è, a mio avviso, inevitabile.
L’approccio, o forse è meglio dire lo studio, delle belle opere letterarie con
lo scopo di non tralasciare nulla onde evitare di non trovare l’essenza, il
punto strategico che gli autori baciati dalla genialità del talento hanno
plasmato nei dettagli e nelle parole creando immagini universali, può abbattere
muri e sconfiggere il tempo. Insomma la buona e bella letteratura scorteccia la
maschera di un filisteismo compiaciuto – oggi, ahimè, così dilagante -,
mettendo a nudo la qualità di rinnovarsi e di reinventarsi in virtù di ciò che
l’ingegnoso passato ci ha regalato.
Quindi godiamoci Nikolaj Gogol, Ivan Turgenev, Fëdor Dostoevskij, Lev Tolstoj,
Anton Cechov, Maraim Gor’kij dalla viva voce dell’esuberante professione
Nabokov che generosamente ci mette a disposizione la propria competenza
creativa rendendoci partecipi ascoltatori, nella speranza di suscitare ciò che
chiamava “la fitta alla spina dorsale” o “la scintilla sensoriale”, e
insegnarci a rinvenirli nella vita di tutti i giorni, negli incantesimi della
natura oltre che in quelli dell’arte.
Un consiglio: “Lezioni di letteratura russa” è un libro, a mio avviso, indicato
a chi conosce almeno un’opera degli scrittori suindicati.
"... perché come la famiglia universale degli scrittori di talento supera
le barriere nazionali, così il lettore dotato è una figura universale, non
soggetta a leggi spaziali o temporali. È lui - il buon lettore, l'eccellente
lettore - che ha salvato più e più volte l'artista dalla distruzione per mano
degli imperatori, dei dittatori, dei preti, dei puritani, dei filistei, dei
politici, dei poliziotti, dei direttori delle poste e dei pedanti. Mi si
permetta di definire questo ammirevole lettore. Non appartiene a una nazione o
a una classe specifica. Non c'è direttore di coscienza o club del libro che
possa gestire la sua anima. Il suo modo d'accostarsi a un'opera di narrativa
non è determinato da quelle emozioni giovanili che portano il lettore mediocre
a identificarsi con questo o quel personaggio e a "saltare le
descrizioni". Il buon lettore, o il lettore ammirevole, non s'identifica
con il ragazzo o la ragazza del libro, ma con il cervello che quel libro ha
pensato e composto. Non cerca in un romanzo russo informazioni sulla Russia,
perché sa che la Russia di Tolstoj o di Cechov non è la Russia della storia ma
un mondo specifico immaginato e creato da un genio individuale. Al lettore
ammirevole non interessano le idee generali; ma la visione particolare. Gli
piace il romanzo non perché gli permette di inserirsi nel gruppo (per usare un
diabolico luogo comune delle scuole avanzate); gli piace perché assorbe e
capisce ogni particolare del testo, gode di ciò che l'autore voleva fosse
goduto, sorride interiormente e dappertutto, si lascia eccitare dalle magiche
immagini del grande falsario, del fantasioso falsario, del prestigiatore,
dell'artista. In realtà, di tutti i personaggi creati da un grande artista, i
più belli sono i suoi lettori."
anno di pubblicazione: 1980
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