Una domenica - Fabio Geda
recensione di Miriam Donati
Un uomo che ha trascorso
quarant’anni costruendo ponti in giro per il mondo, ed è da poco rimasto
vedovo, ha preparato con cura un pranzo di famiglia. A causa di un piccolo
incidente occorso alla nipote l’appuntamento salta. Preoccupato, un po’
amareggiato, l’uomo esce a fare una passeggiata e incontra Elena e Gaston,
madre e figlio, soli come lui. Si siederanno loro alla sua tavola, offrendogli
la possibilità di essere padre e nonno, in modo nuovo.
I capitoli sono brevi, intensi, con un controllo
assoluto delle parole, una rara densità e asciuttezza sollecitano nel lettore sia
la curiosità sul tempo presente del romanzo, sia la nostalgia del passato.
La
caratteristica della storia è di essere narrata da lontano e da un occhio
esterno, quello di Giulia, una dei tre figli del protagonista, che ripercorre a posteriori la
vicenda basandosi su quanto confidatole dal padre, che scopriamo essere lontano
da lei, sia fisicamente, sia nei rapporti familiari.
Giulia,
attrice e drammaturga, è la più sensibile dei figli, quella nelle cui corde di
artista vibrano parole, storie, ricordi a partire da frammenti colti qua e là,
come la storia che raccoglie al tavolino di un bar di Roma attraverso una
vecchia fotografia in bianco e nero. È impegnata a ricostruire anche la sua di
storia, o meglio quella della sua famiglia, nel legame profondo con la madre,
persa tragicamente, e in quello vacillante con il padre, logorato dai non detti
e dall’incomprensione.
La
sua è la voce “critica”, quella che non gli ha mai perdonato gli sbagli, le
cadute, perché è stata delusa più volte per le sue assenze, la sua vita non
certo da marito modello, la sua disapprovazione per il mondo del teatro, mondo
che è invece tutto per lei.
Da adulti, ci si trova spesso a
riconsiderare le vite dei genitori e gli episodi del passato acquistano
via via una nuova luce e qualche volta
ci si scopre più indulgenti, o perlomeno più disposti a perdonare chi,
oltre che padre, è stato anche un giovane uomo con tutte le sue fragilità.
Alternando riflessioni di Giulia e il racconto di quella domenica speciale, sullo sfondo di un paesaggio novembrino
torinese che è lui stesso protagonista,
il
lettore è trasportato negli scenari intimi che hanno segnato i personaggi
senza particolari colpi di scena, ma così ben condotto da esserne completamente
coinvolto.
Emergono
una vita sommersa e segreta di una famiglia apparentemente serena, come tante,
ma anche i non detti, le solitudini che già prima della vecchiaia abitavano
quegli spazi.
Giulia
elabora il lutto per le perdite subite e, alla fine, con la sua attenzione
speciale per le persone, troverà un ponte per perdonare e passare oltre.
Il racconto si pone l’obiettivo di ragionare e capire
la logica dei rapporti interpersonali e le loro difficoltà quando questi
cambiano, soprattutto quando si tratta di padri e figli con una narrazione
sincera, senza fronzoli, e per questo arriva immediata al lettore e alla
coscienza di ogni padre, madre, figlio. Solo vita vera, reale, come può essere
quella di chiunque, com’è quella di molti.
Il
passare del tempo, i figli che vanno via di casa e, spesso, via dalla città o
dalla nazione, i genitori che invecchiano, ma che sono stati giovani anche
loro, e le persone che ci lasciano prematuramente, poi i rimpianti, i rimorsi,
i risentimenti, i sensi di colpa e le autoassoluzioni, c’è tutto questo e molto
altro in queste pagine.
«Non
sono mai stata brava a gestire la fragilità dei miei genitori: nei loro
confronti non ho mai smesso di sentirmi figlia e di voler essere io quella
accudita. Mi veniva spontaneo pensare che essendo più vecchi di me dovessero
essere migliori di me, punto: una di quelle cose scritte nel destino. Dovevano
essere più consapevoli, più forti, in grado di governare con più criterio
qualunque situazione. Ma arriva un momento in cui le parti si invertono o per
lo meno si sovrappongono. Nel destino c'è scritto anche questo»
Questo
romanzo ha al centro, tra le diverse tematiche, anche quella della vecchiaia e
della solitudine. Le dita del protagonista sfiorano malinconiche e tremanti il
quaderno di ricette della moglie, morta poco tempo prima: una presenza ancora
viva tra le pagine, anima della famiglia mentre lui, ingegnere, ha passato la
vita all’estero, a costruire ponti e grandi infrastrutture. Schiacciato dalla cognizione
del tempo ormai alle spalle e dal vuoto dentro e intorno a lui, il protagonista
prova a ripartire consapevole di aver dato, nel corso della vita “più
attenzione alle cose urgenti che a quelle importanti” E quali occasioni ha
ancora per colmare i vuoti lasciati per anni? E se le trovasse possono queste
risarcire i figli delle sue lunghe assenze?
La
solitudine si manifesta soprattutto nelle attese.
Lui, per un
giorno, potrà sentirsi nuovamente nonno e papà al tempo stesso, potrà dare un
senso allo scorrere inesorabile del tempo, al lento e fatale erodersi delle
emozioni che porta con sé l'inevitabile invecchiamento e la morte. Mentre cucina, si
vede impacciato, ma si emoziona, si sente ancora vivo nel ricordo della moglie
e della famiglia unita. Ecco dunque perché l’imprevisto che fa saltare il
pranzo lo sprofonda in un’imprevista solitudine, che tuttavia non resterà tale
perché, quando decide di uscire, andrà, senza saperlo, incontro
a una nuova vita, per se stesso e per gli altri due personaggi
che inviterà alla sua tavola. Un
incontro casuale che modifica le vite fragili e solitarie di
tre persone, le cui anime si incontrano e si regaleranno a vicenda un
po’ di felicità e un nuovo futuro.
Geda,
con grande delicatezza, sceglie una prospettiva particolare per raccontare un
padre, senza apologie o riscatti incredibili: coglie con semplicità tutte le
sfaccettature del suo essere profondamente umano, imperfetto e unico.
Genere:
narrativa
Anno di pubblicazione 2019
Nessun commento:
Posta un commento