La spinta – Ashley Audran –
recensione a cura di Lilli Luini
Libro d’esordio di un’autrice canadese, un ottimo esordio,
bisogna dirlo.
La spinta, titolo geniale la cui connessione con la trama si
capisce verso la fine, è una storia di maternità realistica e crudele. Ce la
racconta Blythe, aspirante scrittrice, con un monologo in cui si rivolge al
marito. Il passato della donna è devastante: sua madre Cecilia e sua nonna Etta
sono state pessime madri. “Le donne di questa famiglia… beh, siamo diverse”
dicevano. Etta ha abbandonato Cecilia e Cecilia ha abbandonato Blythe, che non
si sente affatto sicura di poter spezzare la catena.
All’università incontra Fox, futuro architetto, bel ragazzo
che viene da una famiglia felice. Il loro è un amore luminoso, raccontato
talmente bene da farmi ritrovare ricordi e profumi della mia giovinezza. Per
dieci anni le cose funzionano a meraviglia, finché Fox convince la moglie a
fare un figlio. La nascita di Violet è un arricchimento nella vita del padre,
uno tsunami in quello della madre, che si occupa di lei a tempo pieno,
sentendosi inadeguata, incapace di fronte a una bambina che, fin da subito, mostra
una spiccata predilezione per il papà e un freddo distacco dalla mamma. In
queste pagine il romanzo diventa claustrofobico: viviamo l’esasperazione di
Blythe, il suo dolore sordo, la sua incapacità di sentirsi connessa con la
bambina, in definitiva la mancanza di quell’amore materno che ci insegnano
essere in dotazione di tutte le donne. Di fronte a tutto questo Blythe è sola,
come sempre lo sono le donne: il marito non comprende le sue difficoltà, si
arrabbia di fronte a certi suoi atteggiamenti (e a volte ha ragione,
diciamocelo), solo la suocera sembra preoccuparsi per quella che comincia ad
essere una discesa nell’infelicità e nella depressione. Una discesa che molte
donne compiono e di cui è responsabile una narrazione di famiglia e di maternità
tipica del passato ma ormai impraticabile nel mondo così cambiato. Eppure
tutti, e le madri in primis, continuano a esserne condizionati.
“Le donne della nostra famiglia… beh, siamo diverse”: e
diversa è anche Violet, Blythe se ne rende conto, ma nessuno le crede. E noi
lettori, a chi crediamo? Pagina dopo pagina la situazione si fa sempre più
inquietante e ambigua. Mi fermo qui con la trama, perché questo è anche un
thriller psicologico, che ti mozza il respiro. Una vicenda senza lieto fine, un
libro che non si dimentica.
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