giovedì 6 febbraio 2025

EREDITA'

 




Eredità - Vigdis Hjorth

Recensione a cura di Miriam Donati 

 

“Che nessuno di voi mi abbia mai chiesto della mia storia è qualcosa che ho vissuto e vivo come un grande dolore…”

 Bergljot è una sessantenne con tre figli, ormai cresciuti ed è nonna. Si è separata e ha una storia d'amore con Lars, che ha una casa in mezzo a un bosco, dove si rifugia quando non vuole stare in mezzo alla gente. Ha un fratello, Bård, più grande di lei di qualche anno che non vede da molti anni. Ha anche due sorelle, Astrid e Åsa, con le quali ha un rapporto discontinuo. Bergljot non vede i suoi genitori da ventitré anni, da quando ha rotto i rapporti con loro a causa di qualcosa che le è successo da piccola ma che è riemerso solo quando era ormai adulta. I genitori hanno due case sul mare, a Hvaler in Norvegia, che comunicano di voler lasciare alle due sorelle minori, come anticipo dell'eredità della famiglia, liquidando Bergljot e Bård con l'equivalente del valore, basato però su una stima al ribasso delle due case. Bård si oppone non capendo il comportamento così ingiusto dei genitori nei suoi confronti e della sorella e questo fa sì che i due si riavvicinino e si schierino contro gli altri. Poi il padre muore e arriva il momento di leggere il testamento. Bergljot coglie l’occasione per finalmente parlare, dire davanti a tutti quello che è successo, avere giustizia o, almeno, comprensione. Vuole che la sua famiglia accetti, dopo tanti anni di silenzi e menzogne, la sua storia, quella che non le è mai stato permesso di raccontare del tutto.

Eredità è una lunga riflessione sul trauma e la memoria ed è il racconto che fa una donna per sopravvivere e per essere creduta.

La trama si sviluppa su due linee narrative parallele, presente e passato, svelando lentamente un terribile segreto di famiglia.
È un romanzo fatto di capitoli brevi, a volte di sole poche righe costellate di richiami alla letteratura e al teatro che rimandano alla vicenda vissuta.

La scrittura essenziale e intensa del flusso di pensieri continuo e ininterrotto della protagonista è fatta di frasi brevi, con continue ripetizioni di parole, di gesti, ritorni a pensieri già espressi, in un continuo processo di rielaborazione che, seppur doloroso, dà forma alla presa di coscienza di ciò che è rimasto a lungo sepolto.

La forza del romanzo sta in due caratteristiche che sembrano opposte, ma che insieme compongono le basi di un dramma familiare: il silenzio e l'ossessiva ripetizione di parole e azioni. 

Eredità è un romanzo che si abbandona al silenzio. Mancano dialoghi diretti e anche le relazioni tra i personaggi sono fatte di silenzio. Tra di loro preferiscono affidarsi a messaggi, email e lettere che a volte non vengono aperte, sono cancellate prima della lettura o vengono travisate. In questa storia la violenza è data dal silenzio e dalla quieta accettazione di chi sta intorno a questa violenza. Bergljot, la figlia maggiore e vittima, vive decenni di silenzio, di mancato riconoscimento del suo trauma. Anzi, il trauma viene sminuito da accuse di invenzioni fatte per "rendersi interessante" e dallo storpiamento della tremenda parola che lo accompagna come se la negazione della parola corretta potesse cancellare quanto accaduto.

La compensazione di questo silenzio è data dall'ossessiva ripetizione di azioni, parole, spiegazioni. Di solito nel parlato quotidiano ripetiamo, aggiungiamo, spieghiamo in maniera a volte confusa. L’autrice si affida a questa scelta stilistica che, in una spirale continua, nello scorrere delle pagine rende il flusso concitato e rende concreta l’ossessione di quando un pensiero si appropria di ogni spazio, rimescola i gesti, sfuma i confini rendendoci così pienamente partecipi dell'angoscia, dell'affanno e del bisogno di riempire il silenzio con cui la famiglia ha coperto per decenni la questione.

“Quanto è terribile constatare che ciò che è stato distrutto diffonde a sua volta distruzione, e che è così difficile evitarlo…”

L’autrice racconta con grande efficacia la solitudine, la rabbia e la delusione di una vittima quando non viene creduta dalla propria famiglia e le conseguenze feroci che questo rifiuto porta con sé.

Mi ha molto impressionato la sua capacità di dare spessore al dolore della protagonista, di rendere i suoi rapporti con i genitori, di raccontare la personalità, la psicologia complessa e le sfumature ambigue e sottili delle sorelle e della madre, senza mai dar loro la parola direttamente. Il suo racconto si sviluppa svelando lentamente, creando una tensione crescente per capire cosa sia realmente accaduto all’interno della famiglia e la spinta ad affrontare il nodo cruciale della sua esistenza, condizionata negativamente anche a distanza di anni, e soprattutto la ricerca di un equilibrio difficile nel rapporto di coppia che ha cercato di costruire con i suoi partner.

La resa dei conti familiare sopraggiunge quando entra in gioco l’eredità, alla morte del padre. Se in passato la volontà paterna si era espressa in una divisione equa e imparziale tra i quattro figli, emerge che le due case di vacanza a Hvaler sono invece destinate alle due figlie minori, Astrid e Asa, rimaste fedeli al culto della famiglia perfetta e armoniosa, escludendo i due figli maggiori. Si apre una controversia che oltrepassa l’aspetto materiale dell’eredità, per andare a sconvolgere gli equilibri affettivi tra i fratelli e con la madre, dando vita a due schieramenti contrapposti.
Se per Bård è difficile fare i conti con l’ingiustizia di cui si ritiene vittima – in realtà si ricollega a tutta l’indifferenza pregressa nei suoi confronti da parte soprattutto del padre – la questione si fa in misura maggiore pesante per Bergljot che ha tagliato i ponti con la famiglia d’origine già ventitré anni prima, quando la storia era riaffiorata, e aveva dovuto sottoporsi ad analisi per superare il trauma.

Bergljot, durante tutto il processo di analisi, si esamina ed esamina i genitori alla luce della loro relazione disfunzionale: il desiderio ossessivo di controllo del padre ha costretto la madre a vederla come una rivale sessuale con delle modalità aberranti. Ciò che più ha fatto soffrire Bergljot e che ha determinato il definitivo allontanamento dalla famiglia è il fatto di non essere stata creduta. Solo il fratello è solidale con lei perché anche lui ha provato la violenza in forma di botte e di indifferenza totale.

Parte di ciò che rende questo libro così straordinario è la consapevolezza di Bergljot del dolore che la circonda, incluso quello delle persone che hanno causato il suo stesso dolore. La sua sofferenza non fa nulla per negare la loro e non toglie la sua capacità di testimoniarla. Non cerca di mostrare i suoi genitori e le sue due sorelle peggiori di quello che sono, ma lascia che sia il lettore a giudicare la loro condotta e spesso tra le sue parole si percepiscono delusione, terrore, rimorso, paura, ma mai solo rabbia distruttiva.

Asa preferisce attraverso l’indifferenza e l’ostilità verso Bergliot, retaggio della gelosia e invidia infantili, non prendere nemmeno in considerazione la possibilità di crederle, mentre Astrid si trincera dietro una supposta obiettività, si compiace di essere ponte tra le parti, non prendere posizione, ma in effetti, la prende, eccome; è il personaggio più complesso e contradditorio e meglio approfondito insieme a quello della madre. Forse più raccapricciante della madre stessa nella sua ostinata e simulata oggettività.

Tagliare drasticamente i legami fondamentali è lacerante; è inevitabile che il dolore porti alla disperazione, ma la famiglia è davvero un porto sicuro? È quel luogo solido che dovrebbe arginare dai pericoli?

Unica pecca del libro la lunghezza; personalmente ritengo che una sforbiciata di un centinaio di pagine avrebbe giovato ancora di più alla storia e all’eccellente impianto narrativo concepito dalla Hjorth.

 

Genere narrativa

Anno di pubblicazione 2020


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