giovedì 23 gennaio 2025

LA CITTA' E I CANI

 




La città e i cani - Mario Vargas Llosa

Recensione a cura di Miriam Donati

 

“Al mondo la violenza è una sorta di fatalità. In un Paese sottosviluppato come il mio, la violenza è esteriore, epidermica, è presente in ogni momento della vita individuale, è la radice di tutti i rapporti umani.”

Questa la risposta del Premio Nobel a chi, al momento della pubblicazione, gli chiedeva se La ciudad y los perros – bruciato in piazza dai militari, considerato dalla critica il migliore tra i suoi romanzi, – fosse un romanzo “sulla violenza”. E la violenza, non solo fisica, fa da sfondo al microcosmo del Collegio Leoncio Prado di Lima dove avviene l'educazione dei protagonisti. Un collegio retto da militari in cui confluiscono sia i figli delle classi inferiori ammessi per merito sia quelli delle classi alte mandati lì dalle famiglie nella speranza di domarli, e dove la sopraffazione, la forza bruta, il dispotismo sono le leggi della convivenza, a dispetto di regolamenti e norme.

Con La città e i cani che è il suo primo romanzo, pubblicato in Spagna nel 1963, Vargas Llosa racconta un paese intero, il Perù, profondamente diviso tra regioni, etnie e culture differenti. E lo fa attraverso l’intuizione di ambientare la narrazione al Leoncio Prado: un collegio militare di Lima in cui lo scrittore stesso aveva studiato, un ambiente violento, maschilista, crudele, un vero e proprio inferno dove il giovane Mario si era ritrovato per la prima volta con compagni che rappresentavano tutte le diversità che componevano e compongono il suo paese.

È un libro che parla della violenza insita nel cuore umano e nell'ambiente sociale, nell'apparato educativo scolastico e nei rapporti familiari, nella sessualità e nelle schermaglie amorose tra uomini e donne. La vicenda ruota intorno ai giovani cadetti che frequentano il collegio militare, costretti a una disciplina durissima e ottusa, a esercitazioni massacranti, vessati da sopraffazioni continue da parte di commilitoni, sorveglianti e superiori. Adolescenti di una stessa camerata, ragazzi di estrazione sociale diversa, bianchi, neri, mulatti, indios, ragazzi provenienti dalla costa, dalla montagna (i cosiddetti serranos), che devono superare sia i rituali di iniziazione imposti loro dagli allievi più grandi (scherzi osceni, umiliazioni, pestaggi, furti), sia le corvée delle marce e delle manovre, delle punizioni fisiche, delle consegne in isolamento. In questo clima di rigore disumano, i ragazzi tentano una loro resistenza individuale e collettiva, fatta di violenze contro i più deboli, di fughe dal collegio, di ruberie e di esibizioni sessuali al limite della depravazione. Tra di loro si chiamano con soprannomi allusivi: Boa, Giaguaro, Chiavica, Schiavo. e Alberto, definito “il poeta” perché in grado di scrivere lettere d’amore e storielle pornografiche da vendere ai compagni.

È un romanzo corale, che usa sapientemente diverse prospettive di narrazione, alternando capitoli in prima e in terza persona, dialoghi, monologhi, brani diaristici, descrizioni paesaggistiche e confessioni personali con la tecnica del flusso di coscienza.

La narrazione è crudele, molto dura, violenza richiama violenza, e per tutta la lettura si respira uno stato costante di allerta, tensione e spaesamento, come quello che dovevano provare i protagonisti. I continui salti temporali creano sensazioni e aspettative contrastanti che arricchiscono le storie personali dei protagonisti e aumentano l'empatia e l'interesse per tutti loro.

Un romanzo straordinario, per tecnica e argomento, in cui nulla è scontato e tutto può accadere in un graduale avvicendarsi di circostanze e sentimenti che portano all’epilogo grandioso. 

Superando le prime cinquanta pagine, dove si fatica riconoscere i personaggi ed entrare nel racconto, si aprono le porte di un grandissimo romanzo che scava dentro con la sua intensità e con una violenza emotiva e verbale disturbante, come una barriera che il lettore deve oltrepassare a fatica per calarsi in un inferno squarciato da esplosioni di colore, di pura poesia e anche di romanticismo.

Romanzo anche sociologico, è un pesante atto di denuncia verso le istituzioni: scuola militare e famiglia. Poiché anche il ragazzo peggiore ha una sua purezza di fondo che viene fuori andando avanti con la lettura, il romanzo sembra suggerire l’idea che ogni ragazzo in un ambiente del genere potrebbe essere vittima o carnefice. Questo si vede nella figura di Alberto, alter ego dell’autore, che ha un rapporto schizofrenico con l’ambiente: sa stare con il debole ma anche con i prepotenti.

Sono tutti vittime e carnefici in uno scontro di sensibilità, vigliaccheria, forza bruta che si conclude in tragedia. Vittima è anche l'unico educatore intelligente e responsabile, che paga con un trasferimento punitivo la sua onestà. Nemmeno l'esistenza fuori dal collegio risulta aliena da difficoltà per i cadetti, sia nei rapporti con i vecchi amici rimasti a vivere di espedienti nei quartieri più poveri, sia nelle famiglie sfasciate che non li accolgono volentieri durante le licenze, sia nei tentativi abortiti di esperienze amorose o nel sesso vissuto squallidamente. La figura femminile della ragazza orfana Teresa, fulcro esterno della vicenda, restituisce l’umanità e la dignità andate perdute. E sarà Alberto a tentare un riscatto in una nuova vita di cui essere l'unico padrone. Capolavoro.

 

Genere narrativa

Anno di pubblicazione 1963

In italiano versione Einaudi 2016

 


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