lunedì 11 novembre 2024

LO STRANIERO

 




Lo straniero – Albert Camus -

recensione a cura di Patrizia Zara

 

Oggi 7 novembre è l'anniversario della nascita di Albert Camus e io ho finito, proprio adesso alle ore 23 14, di leggere "Lo straniero".
Coincidenza. Non lo so. So con certezza che Camus è uno degli scrittori che si avvicinano moltissimo al mio modo d' interpretare l'esistenza.
Dopo aver letto "La peste", che mi ha letteralmente stregato, "Lo straniero " mi ha felicemente sconvolto e, cosa assurda ma vera, non so spiegarmi il perché. È  probabile che  tale mancanza di motivazione è da ricercare nel modo in cui vedo il mondo circostante: un insieme di volti e figure in chiaroscuro che si affaticano nel catalogare le apparenze in base a banali preconcetti ritenuti fondamentali dalla legge degli uomini.
Ho letto "Lo Straniero" a voce alta nella solitudine di una stanza assolata e ho ripercorso con l'enfasi dell'indifferenza
gli eventi di Meursault, senza farmi illusioni, senza cercare certezze, senza cadere nell'abisso della ragione o  senza salire all'apice della trascendenza. Mi sono fatta trascinare dagli eventi del protagonista senza trarne opinioni né affrettati giudizi.
E come Meursault ho guardato la stanza nella sua essenzialità immortalando ogni singolo particolare nella mia memoria, riuscendo a estraniarmi dal "grande" mondo: è stato bello!
La libertà del non decidere, di non gravarsi di responsabilità lasciando al caso la scelta, qualunque essa sia, ecco come vive Meursault. E dall'unica certezza di una inevitabile universale condanna, che sia sentenziata dalla giustizia umana o divina, assaporare attimi memorabili di pura felicità in quei momenti di chiara e limpida facoltà di ricordare
Cercare di occupare quell'inevitabile scorrere del tempo colmando i vuoti di una noia moraviana con i particolari dei particolari con cui si è riempita la memoria, ecco il segreto!  Perché prima o poi tutti siamo condannati all'oblio, al vuoto senza possibilità alcuna, alla faccia della promessa trascendentale di un Dio che ha condannato l'umanità già dalla sua creazione.
E allora perché perdere tempo nel decidere se l'epilogo è inevitabile? Se siamo puniti a spingere quel masso fino alla sommità di un monte dal quale rotola inesorabilmente a valle costringendoci a ricominciare da capo l'inutile impresa, beh almeno godiamoci il continuo e ripetitivo tragitto registrando nella memoria scene di personale quotidianità che ci permetteranno di sorridere nei buchi del tempo.
E ciò non significa fregarsene del mondo o avere una visione negativa dell’esistenza. Anzi. Significa non instaurare alcun rapporto con il mondo, non lasciarsi travolgere da sterili emozioni, scialbi pietismi, eclatanti buonismi, ipocrite generosità e avere la lucida, piena consapevolezza della sorte di ogni esistenza, nella sincera e piena fiducia in ciò che non sarà mai.
E allora ditemi: quante volte avete provato quel senso di estraneità in contesti familiari? Quante volte siete rimasti insensibili in situazioni dove altri hanno pianto? Quante volte non avete provato coinvolgimento in una grande tragedia? Quante volte siete stati giudicati colpevoli malgrado la vostra innocenza?
Siate sinceri.
P.s. il vero colpevole è il sole con i suoi inesorabili, impassibili, immutabili, egoistici, roventi raggi di luce.


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