Lo straniero – Albert Camus -
recensione a cura di Patrizia Zara
Oggi 7 novembre è l'anniversario della nascita di Albert
Camus e io ho finito, proprio adesso alle ore 23 14, di leggere "Lo
straniero".
Coincidenza. Non lo so. So con certezza che Camus è uno degli scrittori che si
avvicinano moltissimo al mio modo d' interpretare l'esistenza.
Dopo aver letto "La peste", che mi ha letteralmente
stregato, "Lo straniero " mi ha felicemente sconvolto e, cosa
assurda ma vera, non so spiegarmi il perché. È probabile che tale
mancanza di motivazione è da ricercare nel modo in cui vedo il mondo
circostante: un insieme di volti e figure in chiaroscuro che si affaticano nel
catalogare le apparenze in base a banali preconcetti ritenuti fondamentali
dalla legge degli uomini.
Ho letto "Lo Straniero" a voce alta nella solitudine di una stanza
assolata e ho ripercorso con l'enfasi dell'indifferenza
gli eventi di Meursault, senza farmi illusioni, senza cercare certezze, senza
cadere nell'abisso della ragione o senza salire all'apice della
trascendenza. Mi sono fatta trascinare dagli eventi del protagonista senza
trarne opinioni né affrettati giudizi.
E come Meursault ho guardato la stanza nella sua essenzialità immortalando ogni
singolo particolare nella mia memoria, riuscendo a estraniarmi dal
"grande" mondo: è stato bello!
La libertà del non decidere, di non gravarsi di responsabilità lasciando al
caso la scelta, qualunque essa sia, ecco come vive Meursault. E dall'unica
certezza di una inevitabile universale condanna, che sia sentenziata dalla
giustizia umana o divina, assaporare attimi memorabili di pura felicità in quei
momenti di chiara e limpida facoltà di ricordare
Cercare di occupare quell'inevitabile scorrere del tempo colmando i vuoti
di una noia moraviana con i particolari dei particolari con cui si è riempita
la memoria, ecco il segreto! Perché prima o poi tutti siamo condannati
all'oblio, al vuoto senza possibilità alcuna, alla faccia della promessa
trascendentale di un Dio che ha condannato l'umanità già dalla sua creazione.
E allora perché perdere tempo nel decidere se l'epilogo è inevitabile? Se siamo
puniti a spingere quel masso fino alla sommità di un monte dal quale rotola
inesorabilmente a valle costringendoci a ricominciare da capo l'inutile
impresa, beh almeno godiamoci il continuo e ripetitivo tragitto registrando
nella memoria scene di personale quotidianità che ci permetteranno di sorridere
nei buchi del tempo.
E ciò non significa fregarsene del mondo o avere una visione negativa dell’esistenza.
Anzi. Significa non instaurare alcun rapporto con il mondo, non lasciarsi
travolgere da sterili emozioni, scialbi pietismi, eclatanti buonismi, ipocrite
generosità e avere la lucida, piena consapevolezza della sorte di ogni
esistenza, nella sincera e piena fiducia in ciò che non sarà mai.
E allora ditemi: quante volte avete provato quel senso di estraneità in
contesti familiari? Quante volte siete rimasti insensibili in situazioni
dove altri hanno pianto? Quante volte non avete provato coinvolgimento in una
grande tragedia? Quante volte siete stati giudicati colpevoli malgrado la
vostra innocenza?
Siate sinceri.
P.s. il vero colpevole è il sole con i suoi inesorabili, impassibili,
immutabili, egoistici, roventi raggi di luce.
Nessun commento:
Posta un commento