La grammatica è una canzone dolce - Erik Orsenna
Recensione a cura di Patrizia Zara
La lettura di questo delizioso, piccolo romanzo la dedico a mia sorella poiché
il libro l'ho trovato nella sua libreria stipato fra "Alice nel
paese delle Meraviglie" e il "Don Chiscotte della Mancia".
Ricordo che mia sorella, molto prima di andare via, in un giorno come tanti, mi
disse che tale libro conteneva una storiella simpatica sull'importanza delle
parole.
Queste, spesso, vengono usate a casaccio, mortificate, ferite, stuprate dalla
violenza dell'ignoranza.
Voleva proporla come lettura estiva ai suoi piccoli studenti appunto, sia per
la semplicità del linguaggio, seppur articolato di ricchi vocaboli, sia
per l'originalità della storia alquanto fantastica. Questa sicuramente avrebbe
aiutato i suoi piccoli ad avere un lessico più ricco e variegato, a saper
utilizzare le parole giuste appropriandone in maniera corretta anche
nella conversazione quotidiana fra amici e familiari. Sosteneva
caparbiamente che un buon linguaggio favorisce la comprensione.
Lei ci teneva a utilizzare le parole giuste, a soppesarne il significato, a
dare un tono all'esatta pronuncia. Era una donna che non utilizzava a vanvera
le parole "amore", "amicizia", "correttezza",
"coerenza", "dignità" e così via. Ne aveva rispetto, quasi
soggezione per paura di ferirle nell'utilizzo improprio e in contesti fittizi e
inflazionati (mica aveva torto, dico io).
Teneva in considerazione una buona frase con le parole al posto giusto e nelle
forme corrette.
Si appassionava a studiare l'etimologia delle parole, la loro lunga intima
storia che altro non è che la storia dei popoli.
"Bisogna essere autorevoli ma mai e poi mai autoritari con le parole,
altrimenti queste si offendono diventano aridi segni, stridenti suoni
cacofonici" perorava convinta.
"Le parole hanno un loro carattere e una spiccata personalità; hanno
alle loro spalle una lunga e ricca storia e per tali ragioni bisogna
rispettarle".
Potevo non apprezzare la storia di Giovanna e Tommaso, fratelli legati da
odio/amore, piccoli naufraghi nell'isola abitata dalle parole? Potevo non
innamorarmi di un'isola dove i nomi si sposano con gli articoli in municipio,
un'isola dove i nomi possono comprare in un vasto mercato una miriade di
aggettivi per abbellirsi e personalizzarsi, un'isola in cui esiste un ospedale
ben organizzato per curate con devozione e missione le parole che hanno subito
violenza?
Certo che si, e vi confesso che la lettura di alcune pagine mi ha provocato un
gemito incontrollato di nostalgica emozione provocato indubbiamente dalla mia
personale interpretazione. Chissà se mia sorella si trova in quest'isola
sconosciuta, dalle spiagge vellutate, il cielo azzurro, il mare
trasparente, i pesci e gli uccelli colorati, circondata dall'amore di tante
parole immortali. In compagnia di Charles Lewis e la sua Alice, di Giacomo e il
suo colle infinito, di Antoine e il suo piccolo principe. Chissà.
Non c'è una storia, di ogni genere e grado, in cui non vedo qualcosa che mi
appartiene. E questo mi fa sentire meno sola. Ecco perché amo leggere!
Ritornando al libro in questione, lo consiglio come intermezzo rilassante
per riordinare la memoria e le idee: una boccata di aria fresca dopo letture
impegnative. Ritornare bambini non fa mai male. Anzi consiglio la lettura sia a
fanciulli/e dai 8 anni in su, e agli adulti che non sono riusciti a colmare le
lacune infantili non solo linguistiche, e a chi, come me, ha bisogno di
alleggerire la pesantezza dell'esistenza.
"C'era una volta. La frase magica che, ogni giorno, dall'infanzia alla
morte, ci porta in viaggio. C'era una volta.
Le quattro parole che danno inizio alle nostre partenze più belle.
Ecco perché mormorare "c'era una volta" è come issare la vela. Pagina
bianca, vela bianca. Ci imbarchiamo nelle parole o sul mare. Davanti a
noi, gli orizzonti misteriosi"
genere: narrativa
anno di pubblicazione: 2002
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